Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

La buona scuola musicale e i buoni docenti di musica

Maurizio Spaccazocchi

Cultura in corpore sano… e la mente?

Queste sono le prime riflessioni particolari che posso per ora fare leggendo la pagina 89 (il punto 4.1 del vasto progetto del governo Renzi, LA BUONA SCUOLA) interamente dedicata all’Educazione musicale, con il titolo Cultura in corpore sano: musica, storia dell’arte e sport.

Certo è giusto e corretto che la musica partecipi alla formazione di un corpore sano, ma l’idea che sia solo un corpo ha riceverne i benefici, mi sembra davvero limitata in tempi in cui Descartes è già da molti lustri passato giustamente di moda, per permetterci di accedere a una visione più ampia e armonica della persona intesa come una mente piena di corpo o un corpo pieno di mente, come direbbe oggi la dottoressa americana Nancy Scheper Hughues utilizzando il suo ampio neologismo di Mindful-body.
Ed è altrettanto sano pensare alla musica come identità che alimenta la nostra creatività, anche se il concetto d’identità musicale è ben più ampio e vasto dell’acquisizione di tattiche creative, poiché si radica nel profondo delle nostre percezioni sensoriali, sinestesiche e somoestesiche, nelle nostre memorie emo-fono-musicali che s’intrecciano pure con i nostri vissuti ritmico-motori, tono-muscolari, ecc. Insomma con il termine identità musicale, abbiamo accesso ad esperienze che con-fondono i suoni e le musiche con la vita, le persone, gli ambienti, i tempi, le relazioni, le emozioni e gli affetti, gli sguardi, i profumi, le parole, i respiri e i contatti, ecc.
Può certamente essere altrettanto giusto che l’insegnamento pratico della musica va portato nelle scuole primarie attraverso docenti qualificati, ma come mai si è preferito parlare d’insegnamento e non di una educazione con e alla musica? E non potremmo correre il rischio che proprio qualche docente qualificato, interpretando il termine insegnamento pratico sulla base di quel rapporto unidirezionale prodotto di quelle vecchie tattiche gerarchiche ben poco scientifiche e pur ben poco propedeutiche, possa continuare ha “bruciare” quella passione, quel desiderio che tanti figli hanno di suonare uno strumento per il puro piacere di provare, di mettersi alla prova, di giocare con i suoni, di gratificarsi e realizzarsi in forma creativa proprio attraverso la manipolazione spontanea, ecc.? E se questa manipolazione spontanea, presente da millenni in tutte le culture musicali etniche del mondo, non venisse ben accetta da quel docente qualificato che vede nella musica solo, appunto, una pratica da insegnare? E ancora, con l’idea d’insegnamento pratico della musica siamo certi che l’esperienza musica umana, quella davvero formatrice del soggetto Mindful-body, possa essere globalmente soddisfatta?
Si spera tanto che questo insegnamento pratico della musica i docenti qualificati (anche se sarebbe meglio dire Educatori musicali qualificati) non lo prendano troppo alla lettera, dimenticandosi di quell’intero campo di esperienze musicali indicate dall’uomo lungo i millenni e in tutte le culture: un campo che dimostra quanto la musica pratica (Homo Sonans) abbia bisogno di arricchirsi e armonizzarsi assieme a tutte le altre musicalità (ovvero gli Homines: Audiens, Movens, Loquens, Cantans, Videns e Sapiens) e non relegarsi ad una visione del fare musica intesa come una vera e propria de-formazione professionale.
Ed è proprio attraverso quell’unione inscindibile di persona intesa come un corpore sano in una mens sana che possiamo pensare di formare i cittadini del futuro come soggetti ricchi di sapere, saper fare e saper essere al quale una vera educazione dovrebbe tendere.
Purtroppo è anche per queste ragioni che sono un poco scettico nel pensare quanto sia corretto sul piano umano chiedere a chi ha consacrato la propria carriera alla musica di entrare in classe, per dire e fare che cosa? Che per diventare un concertista famoso bisogna faticare? Che per suonare il violino o la tromba esiste un solo modo o una sola tecnica? Che la musica è solo quella dei grandi compositori storici? Che l’interpretazione musicale deve essere solo quella filologica? Che chi suona è certamente più musicista di chi canta? Che le culture musicali etniche o certi repertori non colti sono “peggiori” di altri? ecc.?
E sul rischio di diffondere questi e tanti altri limitati principi dell’insegnamento musicale pratico, quale cittadino del mondo stiamo progettando?

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