Il primo è il suono dell’acqua. È un suono pianissimo, realizzato con uno strumento che si chiama Torre della pioggia. È quasi inudibile, per questo l’ho scelto. A Gaza una delle cose più terribili che è stata fatta è l’aver privato gli abitanti dell’acqua. Questo filo d’acqua quasi inesistente forse può servire per ricordare quel gesto del tutto inumano e violento.
Il secondo è un respiro. Acqua e aria sono la vita, fanno la vita. Eccoli entrambi, mischiati uno con l’altro, a formare un “duo” che mi pare simbolicamente potente.
Su questa vita, su queste vite, si è sovrapposto, si è fatto presenza dominante, perenne, a segno di intimidazione e sorveglianza, un bordone, il ronzìo dei droni di Gaza, denominati “zanana” (letteralmente “bambino piagnucoloso”), droni che l’esercito israeliano ha continuato a tenere accesi nel cielo di Gaza, in base ad una ormai lunga pratica in cui il suono è usato come arma, con moltissimi esperimenti che hanno caratterizzato tutto il secolo scorso, fino ad usare il suono come strumento di tortura[1]. I bambini di Gaza si sono addormentati con il suono di questi droni per mesi, per anni, tanto che alcuni di loro, una volta usciti da Gaza, non riuscivano più a dormire senza quel suono. L’uso del suono da parte di Israele non ha assunto solo questa forma: ad esempio, lo spazio aereo è stato utilizzato per riprodurre registrazioni audio di donne e bambini che chiedevano aiuto, in modo da spingere gli abitanti palestinesi ad uscire allo scoperto, per poi colpirli più facilmente. Il suono come esca. Ascoltiamolo per qualche decina di secondi e proviamo ad immaginarcelo esteso a giorni, notti, mesi, anni. Suoni in guerra, suoni di guerra.
A Gaza prima di questa guerra c’erano tante voci, ricorda Mohammad Yaghi, ingegnere del suono a Gaza:
[…] e poi c’era il suono del mare, la musica, il rumore dei mercati, delle auto, delle feste. Tutto sparito, da due anni a questa parte. Al loro posto, per l’udito dei gazawi, è diventato familiare il rombo degli aerei dell’esercito israeliano, la sirena delle ambulanze, il rotolìo dei detriti mentre si scava tra le macerie per cercare i superstiti, il vociare degli ospedali da campo. Non c’è più una correlazione tra la durata di un suono e il suo valore, tra il tempo che scorre e la sua efficacia. Il fischio di un razzo dura un istante e distrugge tutto ciò che incontra. Il segnale dei soccorsi può sentirsi a lungo e non salvare nessuno.[2]
Al bordone dei suoni sovrappongo due spot che recentemente ho ascoltato, due spot di Emergency, entrambi fatti solo di suono. Il primo consiste in 35 secondi in cui si ascolta il paesaggio sonoro di Gaza: droni, grida, canto degli uccelli, esplosioni vicine e lontane. Infine, un cuculo. 35 secondi[3].

Il secondo è la voce di un’operatrice di Emergency che racconta. Un duo quindi, figura e sfondo, melodia e accompagnamento, voce e bombe[4].

Aggiungo una seconda voce, che è quella di Greta Thunberg, in una delle sue dichiarazioni dopo essere stata liberata[5].
Poi c’è la gente delle piazze, e anche la musica, come in piazza Carignano a Torino[6], in una delle prime manifestazioni de La musica contro il silenzio, da cui è tratta anche l’esecuzione del Lacrimosa di Mozart.
Sul bordone del drone c’è anche chi ha provato a cantare, a riusarlo in direzione contraria, come il maestro di musica palestinese Ahmed Muin Abu Amsha, che ha invitato ragazzi e ragazze a trasformare in musica il suono minaccioso dei droni, con un gesto di esistenza e di resistenza[7].

Concludo con le voci dei bambini di Gaza che festeggiano gioiosi la tregua il 9 ottobre.
Dal 9 ottobre i droni non ci sono più sotto il cielo di Gaza, ma non ce ne dobbiamo dimenticare. Dobbiamo ricordare cosa è successo, sono suoni di cui dobbiamo fare memoria.
L’ultimo suono è quello del mare, che speriamo venga restituito a loro, agli abitanti di Gaza, insieme alla loro terra.
Concludo leggendo una testimonianza di Martina Marchiò, di Medici Senza Frontiere:
Gaza è un luogo dove il silenzio non esiste, il suono dei droni è sempre presente, costantemente, giorno e notte. Non è facile perché ti senti sempre costantemente osservato da qualcuno dall’alto. Molto spesso si accompagna al boato di un’esplosione piuttosto che al sibilo di un missile e alle urla delle persone. Di sottofondo c’è sempre il rumore del mare che è quello che molto spesso non senti più e poi è quello che ti aggancia e ti riconnette con la vita e anche un po’ con la speranza”.[8]

[1] Su questo tema segnalo due libri: Steve Goodman, Guerra sonora, Nero, Roma, 2024; Juliette Vocler, IL suono come arma. Gli usi militari e polizieschi dell’ambiente sonoro, Derive Approdi, Roma, 2012.
[2] Paola Zanca, Che rumore fa la guerra? Il racconto sonoro di Mohammad Yaghi, in Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2025 (https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/21/gaza-rumore-guerra-racconto-sonoro-mohammad-yaghi/8168485/)
[3] https://www.youtube.com/shorts/YFGNsosm1pg
[4] https://www.youtube.com/shorts/hlCN5MgenoA
[5] https://www.facebook.com/watch/?v=1196555792681462&ref=sharing
[6] La manifestazione “La musica contro il silenzio” si è svolta a Torino il 1 Giugno 2025. L’evento torinese ha fatto parte di un movimento nazionale iniziato a Firenze. Una ricomposizione dei suoni di piazza Carignano più estesa si può ascoltare su RadioMusicheria, La musica contro il silenzio: Piazza Carignano Soundscape, https://www.musicheria.net/radio/la-musica-contro-il-silenzio/. Il frammento in cui si ascoltano le voci in piazza che sfociano nel Lacrimosa di Mozart sono tratte da quella registrazione.
[7] https://www.youtube.com/watch?v=0frWA7vgm-M&t=3s
[8] Testimonianza tratta da, Martina Marchiò, A Gaza il silenzio non esiste, https://www.youtube.com/watch?v=3zRsTomvxQo.