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Educazione musicale tra ricerca scientifica e ricerca di base

François Delalande

Aspetti metodologici

Il problema di una buona relazione tra la ricerca sul campo e la ricerca scientifica nell’ambito dell’educazione musicale potrà avere nei prossimi anni un’influenza determinante nello sviluppo della pedagogia musicale.

Queste due forme di ricerca appaiono oggi in crisi, ma può essere proprio la possibilità di riconsiderarle nella loro articolazione reciproca a fornire una soluzione alle difficoltà attuali e a prospettare nuovi sviluppi. Chiaramente la sola consapevolezza del problema non basta: occorrono risposte sia a livello organizzativo che istituzionale.
Se assumiamo il punto di vista della ricerca scientifica, soprattutto in campo psicologico o psico-sociologico, possiamo affermare che il laboratorio scientifico costituisce oggi una sorta di rifugio per il ricercatore. La persona che deve realizzare una tesi, per esempio, è generalmente spinta a trovare un soggetto di ricerca all’interno di un campo già esplorato, del quale esiste un’ampia letteratura, dove sia possibile attivare contatti con altri ricercatori che su quel soggetto hanno già lavorato. Una scelta di questo tipo faciliterà inoltre la possibilità di pubblicare un’articolo sul suo lavoro, che andrà ad aumentare la collezione di ricerche che trattano l’argomento.
L’esempio evidenzia quello che Kuhn ha definito un problema di paradigmi e riguarda, oggi, tanto il piano dei soggetti che quello della metodologia. Qual è l’inconveniente principale di questo fenomeno? E’ che ci troviamo con una serie di temi approfonditi all’eccesso, mentre altri, dei quali ci sarebbe un forte bisogno di conoscenza per poter promuovere una pedagogia musicale all’avanguardia, non vengono neanche esplorati. Il campo pedagogico-musicale è ricco di situazioni innovative che mettono in gioco comportamenti e leggi psicologiche che non riescono ad essere oggetto di osservazioni sistematiche: gli educatori pongono ai ricercatori numerose domande su questioni fondamentali che non trovano risposta perchè questi ultimi sono impegnati a lavorare sempre nei medesimi ambiti di ricerca.
Esiste quindi un primo tema che riguarda la restituzione del lavoro scientifico al mondo dell’operatività, che è una sfida lanciata alla ricerca scientifica. Non si tratta, è ovvio, di concepire esclusivamente una ricerca applicata, quanto di assumere il problema del rapporto tra la ricerca scientifica e la sua utilità sociale: qui in modo particolare in quando rivolta agli educatori.
Una seconda ragione che spinge in questa direzione è di carattere tipicamente scientifico e riguarda l’impossibilità di isolamento dei fattori nel campo della ricerca pedagogico-musicale: una ricerca, per esempio, sui comportamenti musicali infantili, non può essere mai completamente dissociata dall’ambiente in cui si trova il bambino. Questo problema è ben conosciuto nell’ambito della psicologia: ci sono dei fattori di contesto che non si possono eliminare completamente, altrimenti si rischia di osservare delle situazioni che non hanno più alcun rapporto con la realtà.
Supponiamo di lavorare sull’invenzione musicale: il bambino che è abituato a lavorare in un certo contesto, con altri bambini, con un adulto che lo guarda, con corpi sonori che conosce, produrrà un certo tipo di musica; se queste condizioni non ci fossero probabilmente non nascerebbe in lui alcuna idea musicale. Dunque è impossibile fare un’osservazione sull’invenzione musicale a prescindere dal contesto. Questo principio vale anche per il laboratorio scientifico: quello che si osserva è da considerare un risultato direttamente dipendente dalla situazione artificiale che è stata creata e non è mai dimostrabile che le conclusioni che si traggono in quel contesto abbiano una qualche pertinenza altrove. Si può dire che non ci sono delle osservazioni di comportamento in astratto, ma solo comportamenti nel contesto e, se cambiamo radicalmente il contesto, le leggi che abbiamo stabilito non sono più valide: quindi anche le leggi del laboratorio scientifico non sono trasportabili, non sono applicabili, non sono più valide, possono perfino essere sbagliate in un contesto diverso.
Rendersi conto che non è possibile isolare delle variabili che sono essenzialmente collegate al fenomeno che si osserva è una concezione relativamente moderna della ricerca scientifica, ma che, qualche volta, è ancora contrastata. Penso a un’opera che è apparsa relativamente di recente sullo sviluppo del senso musicale del bambino. Gli autori che ne hanno scritto l’introduzione affermano che la ricerca scientifica deve essere sviluppata per proprio conto e che solo una volta che ha stabilito le sue conclusioni potrà essere trasmessa agli insegnanti che la applicheranno nella loro operatività. Ci troviamo qui di fronte al permanere di un errore comune per la ricerca e nel libro stesso la maggior parte degli autori coinvolti dicono e dimostrano in realtà il contrario: il lavoro scientifico ha bisogno di poter osservare la realtà pedagogica e ha bisogno di raccogliere le osservazioni che nascono e si sviluppano in campo operativo.
Non si può comunque non registrare, anche nell’ambito scientifico, l’aumento di consapevolezza e di responsabilità in merito alla necessità di un avvicinamento tra ricerca scientifica e ricerca sul campo condotta dagli educatori.
Se ho mostrato fin qui i limiti di una modalità di ricerca scientifica che esclude l’ambiente pedagogico, cioè il luogo di vita dei bambini, provo ora ad osservare il problema dall’altro punto di vista, convinto che se l’attività pedagogica assumesse la dimensione della ricerca, ci sarebbe per gli educatori un guadagno sia sul piano dello sviluppo della propria carriera professionale che del loro interesse e motivazione al lavoro quotidiano.
Educatori, insegnanti, animatori sono tutte persone che realizzano costantemente qualcosa che ha a che fare con la ricerca, anche se solo ad uno stato embrionale: non svolgono cioè una vera e propria osservazione scientifica, ma notano, per esempio, che i bambini sono più stimolati a fare una certa cosa se si trovano in un determinato contesto, che la loro capacità di invenzione è stimolata dalla presenza di un pubblico, che hanno degli stili musicali individuali legati alla loro personalità. Nel loro contatto quotidiano coi bambini, gi educatori, sviluppano una serie di osservazioni non organizzate che, anche se non sono scritte, registrate, sistematizzate, costituiscono un’immensa ricchezza, un vero e proprio sapere che purtroppo non è preso in sufficiente considerazione. Il risultato di questo mancato riconoscimento, oltre ad essere frustrante per gli operatori, è deplorevole per la capitalizzazione del sapere.
Il lavoro educativo è spesso ripetitivo e, alla lunga, può essere immobilizzante; al contrario il lavoro di ricerca è un progresso costante. Un educatore, un insegnante, o anche un genitore che vedono vivere un bambino e fanno certe osservazioni dovrebbero poi poterle trasmettere, scrivendo un breve testo, comunicandole ai colleghi o semplicemente partecipando a delle riunioni di lavoro che permettano loro di mettere in comune le conoscenze acquisite sul campo. Occorre quindi costruire situazioni di avvicinamento tra ricercatori ed educatori, affinché questo sapere possa essere accumulato e valorizzato; necessitano istituzioni che favoriscano questo processo, che coordinino e organizzino un lavoro che permetta agli insegnanti di comunicare le loro osservazioni e ai ricercatori di aiutarli a sviluppare questo sapere originario ed intuitivo.
Ciò che servirebbe è un dispositivo istituzionale in grado di favorire questo processo, di cui esistono alcuni rari esempi, generalmente isolati e comunque non organizzati su grande scala.
Gino Stefani, alcuni anni fa, ha favorito una ricerca di base effettuata da persone che non avevano una qualifica scientifica elevata, ma che erano comunque degli ottimi osservatori. Ha per esempio favorito la pubblicazione di un libro esemplare da questo punto di vista, “Dal blues al liscio”, in cui autori debuttanti hanno assemblato delle osservazioni su alcune pratiche di musica popolare che non erano mai state oggetto di uno studio approfondito, ottenendo risultati molto utili sul piano scientifico.
Personalmente ho avuto l’occasione di collaborare con altri progetti esemplari da questo punto di vista, quali un’esperienza di laboratorio pedagogico musicale a Reggio Emilia e un progetto di formazione all’osservazione in alcuni nidi di Firenze. In quest’ultima esperienza la ricerca condotta direttamente dalle puericultrici e dal personale dei nidi, accompagnate nel lavoro da alcuni ricercatori specializzati, ha prodotto un corpo di osservazioni sulla produzione musicale infantile nei nidi che ritengo essere uno dei più ricchi che esista, anche in ambito scientifico.
Il limite maggiore di tutte queste esperienze, come si diceva, è l’ isolamento, la mancanza di possibilità di comunicazione e interscambio tra sperimentazioni e ricerche di tal genere.
Il dispositivo istituzionale di cui auspico la nascita dovrebbe essere in grado di accumulare queste esperienze e di articolarle con gli ambiti scientifici. Penso ad uno strumento in grado di creare una continuità tra lavoro educativo e ricerca scientifica in cui, per esempio, gli educatori possano cominciare ad annotare le loro prime osservazioni, presentarle ad altri, prima di tutto ai colleghi, per confrontarle ed organizzarle ad un primo livello. In un secondo momento potrebbe subentrare un’osservazione più sistematica, facilitata, per esempio, dal coinvolgimento nel processo di studenti universitari.
L’osservazione spontanea legata alla pratica educativa non dispone di strumenti idonei a svolgere annotazioni complete, non riesce ad indagare con adeguatezza le differenti variabili: un insegnante quando osserva i bambini che ha davanti non può annotarsi tutte le osservazioni, è limitato dal proprio compito di insegnamento, per diversi motivi può non riuscire a proporre una situazione analoga per tutti i bambini, è sempre legato alla dimensione imprevista della vita quotidiana; in sintesi potremmo dire che, anche se il suo campo di osservazione è molto ricco, la sua possibilità di osservazione è limitata.
E’ dunque necessario prevedere un secondo livello di osservazione più organizzato, sistematico, per il quale gli studenti universitari possono essere utili risorse. Ci sono molti giovani ricercatori che hanno bisogno di un soggetto di tesi per la laurea o per il dottorato. Potrebbe essere stimolante immaginare allora delle coppie formate da giovani ricercatori ed insegnanti, raggruppando due ruoli differenti, indispensabili l’uno all’altro, ed orientandoli ad un progetto comune. L’educatore che, per esempio, ha aperto una problematica sulla quale ha raccolto una serie di osservazioni, potrà mettere a punto, insieme al ricercatore, un piano di nuove osservazioni e con lui formulare delle ipotesi su singoli aspetti del problema. A questo punto potrà lavorare con i bambini sfruttando diverse soluzioni (lavoro collettivo, individuale, autonomo) mentre il giovane ricercatore potrebbe essere presente in classe, realizzare una documentazione audio, video, scritta, che sarà oggetto di successive osservazioni più sistematiche. Tali osservazioni potranno, a loro volta, essere confrontate su un piano scientifico con le teorie conosciute per cominciare a trarre delle conclusioni.
Questa idea di un secondo livello di osservazione, che fa lavorare simultaneamente un’insegnante e un ricercatore, consente di costituire un corpo di documenti da sottoporre ad altre équipe all’interno di seminari ai quali potrebbero partecipare, oltre agli educatori e ai giovani ricercatori interessati, degli studiosi, degli esperti, che conoscendo bene la letteratura del problema, potrebbero mettere in relazione le osservazioni fatte sul campo con il sapere delle discipline psicologiche, cognitive, sociologiche, ecc., e formulare delle ipotesi per un eventuale e ulteriore lavoro di laboratorio. Avremmo così attivato una circuitazione equa tra tre poli: gli educatori, i giovani ricercatori, i ricercatori esperti.
A questo punto può essere significativa la presenza di un terzo livello di osservazione, legato ad esperienze di laboratorio scientifico, quando, per esempio, si isolano delle questioni psicologiche più ampie del campo osservato. Potrebbe essere il caso del ruolo giocato dall’invenzione nella costruzione della forma musicale nel quale interviene, con un ruolo determinante, la memoria del bambino. Un bambino di tre anni non usa la memoria allo stesso modo di uno di sei, perché a questa età ci sono dei processi cognitivi più complessi che permettono, per esempio, al soggetto di costruirsi una rappresentazione mentale del pezzo che sta realizzando, di fare previsioni sul futuro, entra quindi in gioco una capacità di anticipazione degli eventi che non è propria dell’esperienza musicale. Si tratta quindi di riuscire a considerare capacità più generale, piani diversi che permettono però di trarre delle informazioni che possano essere applicabili all’esperienza musicale.
Esistono dunque problematiche più acute, più generali del campo di applicazione, che avranno interesse a essere trattate in situazioni che chiamo di laboratorio, situazioni completamente controllate, dove tutte le variabili, risultanti dalle diverse esperienze sviluppate, possano essere maggiormente isolate e analizzate.
Credo sarebbe quindi molto positivo che si possano sviluppare dei dispositivi in grado di favorire un processo di ricerca scientifica che si sviluppi dall’ambiente educativo, in cui l’oggetto di ipotesi venga formulato dalla base verso l’alto e che sia progressivamente depurato attraverso osservazioni sempre più sistematiche, che possano essere riprese, in certi casi, nei laboratori scientifici.
La circolazione potrà così migliorare anche nell’altro senso, perché se una cosa sarà stata ben sviluppata dalla ricerca scientifica interesserà maggiormente gli educatori, soprattutto se porta nuove informazioni e risposte ai loro problemi. Ma per far funzionare questa circolazione sono necessarie delle istituzioni, probabilmente a livello universitario, in grado di far vivere il sistema, di promuovere relazioni tra centri di ricerca periferici e centrali, di agevolare l’incontro tra studenti universitari ed educatori, di organizzare seminari e curare la pubblicazione dei lavori con regolarità.
C’è un modello di istituzioni da immaginare.

Riferimenti bibliografici:
– T.Kuhn, “La structure des révolutions scientifiques”, Flammarion, Paris (tr. italiana, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, Einaudi)
– AAVV, “Musique en tète”, actes du Colloque sur la psychopedagogie de la musique (Gennevilliers, novembre 1979), EAP, Issy-les-Moulineaux, France, 1981; si veda anche, a cura di I.Deliège, J.Sloboda, “Naissance et développement du sens musical”, PUF, Paris, 1995.
– A cura di G.Stefani, “Dal blues al liscio”, IANUA Verona.

Il testo, redatto su richiesta del Centro Studi Musicali e Sociali Maurizio Di Benedetto di Lecco, è stato tradotto e curato da Maurizio Vitali

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