Considerazioni sugli strumenti e i generi musicali
Non si impara a usare uno strumento (che sia la chitarra, il computer, il cacciavite) nello spazio astratto delle possibilità teoriche che l’interazione uomo-strumento sembra offrire: lo si impara nello spazio concreto delle applicazioni e delle tecniche che a queste sono finalizzate.
Mi sembra che perfino il cacciavite sia usato in modo diverso, che so, da un falegname e da un meccanico o da un elettricista; ma sono certo per lunga esperienza personale che il tipo di linguaggi e di problemi affrontati segni profondamente il lavoro di un programmatore o di un comune utente di computer, e aggiungo (come un dato di fatto) che di solito i meno disinvolti a servirsene sono proprio quelli che si accostano allo strumento in modo puramente teorico e generico, come gli studenti di informatica. Terminando a ritroso questo percorso cibernetico, credo che qualunque chitarrista mi possa dare atto che non si impara a suonare la chitarra, ma semmai «una certa» chitarra (classica, jazz, elettrica, fingerpicking, flamenca: cioè un tipo di strumento associato a una tecnica associata a un repertorio) o – se proprio vogliamo rovinarci col plurale – si imparano a suonare le chitarre.
Esiste cioè una pluralità di tecniche e di repertori (e in alcuni casi, come quello della chitarra, una pluralità di strumenti sostanzialmente diversi ma denominati allo stesso modo): una pluralità che riflette l’articolazione delle culture musicali, dei generi musicali (termini che in senso teorico considero sinonimi). Le tecniche esecutive e la stessa didattica strumentale fanno parte del repertorio di norme, di convenzioni sociali, che definiscono un genere.
(continua nel file allegato)