Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Le musiche, gli strumenti, i virus e Zardoz

Franco Fabbri

Considerazioni sugli strumenti e i generi musicali

Non si impara a usare uno strumento (che sia la chitarra, il computer, il cacciavite) nello spazio astratto delle possibilità teoriche che l’interazione uomo-strumento sembra offrire: lo si impara nello spazio concreto delle applicazioni e delle tecniche che a queste sono finalizzate.
Mi sembra che perfino il cacciavite sia usato in modo diverso, che so, da un falegname e da un meccanico o da un elettricista; ma sono certo per lunga esperienza personale che il tipo di linguaggi e di problemi affrontati segni profondamente il lavoro di un programmatore o di un comune utente di computer, e aggiungo (come un dato di fatto) che di solito i meno disinvolti a servirsene sono proprio quelli che si accostano allo strumento in modo puramente teorico e generico, come gli studenti di informatica. Terminando a ritroso questo percorso cibernetico, credo che qualunque chitarrista mi possa dare atto che non si impara a suonare la chitarra, ma semmai «una certa» chitarra (classica, jazz, elettrica, fingerpicking, flamenca: cioè un tipo di strumento associato a una tecnica associata a un repertorio) o – se proprio vogliamo rovinarci col plurale – si imparano a suonare le chitarre.
Esiste cioè una pluralità di tecniche e di repertori (e in alcuni casi, come quello della chitarra, una pluralità di strumenti sostanzialmente diversi ma denominati allo stesso modo): una pluralità che riflette l’articolazione delle culture musicali, dei generi musicali (termini che in senso teorico considero sinonimi). Le tecniche esecutive e la stessa didattica strumentale fanno parte del repertorio di norme, di convenzioni sociali, che definiscono un genere.
(continua nel file allegato)

 

Vuoi leggere l'articolo completo? Effettua il login

Materiali PDF
Materiali audio
Materiali video
Condividi l'articolo