Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Musica Intercultura Interdisciplinarietà

Maurizio Sciuto

Riflessioni sul tema

Relazione tenuta il 17 ottobre 2009 al seminario della Rete lombarda ELLIS (Educazioni, Letterature e musiche, Lingue, Scienze storiche e geografiche): www.reteellis.it.

Pare oggi un dato piuttosto consolidato che fondamento dell’educazione musicale siano la comprensione del senso dell’esperienza musicale e la capacità di produrre senso attraverso l’esperienza musicale.
Ma quale esperienza musicale? Relativamente a quali ambiti culturali?
Già da qui un problema interculturale, se non specifico, almeno fortemente connesso all’ambito musicale, in quanto rispetto ad altri campi del sapere, i ragazzi hanno già una specifica competenza musicale, data dal loro stesso vissuto extra-scolastico. Caratteristiche di questo vissuto non sono solo i repertori, ma anche le modalità esperienziali intorno alla musica.
Questa competenza pregressa può essere croce o delizia per l’educazione musicale.
Ciò che può essere vantaggioso nell’ottica di una cooperazione educativa (intesa come scambio fecondo tra chi impara e chi insegna) può d’altra parte rappresentare un limite a causa dell’eccessiva abitudine a stare dentro al proprio “orticello” senza il coraggio di abbattere i “muri” esistenti tra culture diverse, proprio in quanto in fatto di musica i ragazzi non sono affatto “tabula rasa” .
Una educazione musicale che voglia essere autentica deve assolutamente partire dal vissuto degli alunni e valorizzarlo facendo anche comprendere come in realtà si tratti di un vissuto piuttosto eterogeneo all’interno delle singole classi delle nostre scuole.
Molti metodi musicali del ‘900 sono spesso applicati ignorando questa competenza di base. Quanto sarebbero sprecate le intuizioni di Jaques-Dalcroze sull’improvvisazione se non tenessero conto della loro utilizzazione nell’ambito della “popular music”. Ma un’autentica educazione musicale dovrebbe, del resto, far scoprire che per una buona parte di quegli stessi repertori è possibile un’esperienza diversa, più profonda di quella sperimentata dai ragazzi: sarebbe già, questo, un andare al di là del proprio “orticello”.
Ulteriori esperienze estetiche potrebbero essere scoperte guardando ad altri ambiti, non solo la così detta “musica d’Arte”, ma anche la musica delle tradizioni popolari del mondo . Rispettare i bisogni dei soggetti non deve portare a confondere la valorizzazione del vissuto con l’ instaurazione di una autarchia culturale per cui “io basto a me stesso , non ho bisogno di conoscere i prodotti (e i progetti) culturali – popolari o colti che siano – esterni al mio orizzonte”. Tale autarchia o, come scrive Antonella Pietta, “egocentrismo spaziale “ (riferendosi alla geografia) e che io preciserei come spazio-temporale (cioè anche in senso storico) è visibile nella sempre più marcata abitudine dei ragazzi a fare “zapping” anche nei contenuti dell’apprendimento (e spesso anche con compagni e docenti), uno zapping che potrebbe essere condotto in modo critico e consapevole se guidato dagli stessi docenti. Si tratta dunque di districarsi in quello che Cesare Scurati chiama il “rumore mediatico della società dell’ipercomunicazione“.
Mi sembra, a questo punto, inopportuno considerare l’utilizzo della musica eurocolta una forma di colonialismo e di classismo culturale: l’assunto del libro “Com’è musicale l’uomo?” dell’antropologo John Blacking è appunto che “tutta la musica è musica popolare”, la stessa musica colta può infatti essere vissuta attraverso alcune modalità tipiche della “popular music”. Anche una prassi didattica basata sulla grammatica tradizionale occidentale (il linguaggio musicale tonale) potrebbe già in se stessa educare alla pace e al relativismo culturale se attuata relativizzando le caratteristiche della grammatica insegnata rispetto alle grammatiche esistenti, esistite e possibili.
Riguardo al classismo supposto tra i repertori, mi piace ricordare Don Milani che in “Lettera ad un giovane comunista” si dice disponibile ad entrare insieme a quel giovane nella casa del ricco oppressore ma assolutamente escludendo di potersi sostituire al vecchio proprietario. Si consideri, a tal proposito, che la musica dei ragazzi ha alle spalle un formidabile “competitor” che è l’industria discografica con la sua capacità di plasmare e condizionare i gusti a prescindere da qualsiasi capacità critica rispetto ai fenomeni musicali. Pensiamo alla dimensione spesso “passiva” del consumo indotto dai media: gli stessi repertori ”popular” permetterebbero un’altra dimensione estetica se fosse favorita una partecipazione attiva al far musica. Una pedagogia democratica dovrebbe sostenere le culture deboli, ma quale è dunque la cultura debole? E qual’è quella dominante: quella dei media…quella accademica? Forse varrà la pena che ognuno giudichi caso per caso.
Va fatta una ulteriore riflessione sul patrimonio musicale esplorabile: il patrimonio musicale dell’umanità non è solo trasversale ai luoghi ma anche alla storia. La musica sacra del Tibet va valorizzata come le secolari statue dei Budda abbattute in Afghanistan, come anche il canto gregoriano o i primi blues di New Orleans. Questo anche perché i linguaggi dell’arte – a differenza dei condizionamenti della moda – non conoscono l’idea di progresso: l’antico e il nuovo possono avere la stessa forza vitale. La musica del passato è musica antica non musica “vecchia”, né, di per sé, musica di oppressione solo perché tradizionalmente legata al mondo accademico e conservatoriale.
Nei giorni scorsi Umberto Eco ha così concluso la sua prima lezione di questo anno accademico : “Chi non legge ha solo la sua vita, che vi assicuro è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di avere attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e aver incontrato nani e giganti”.
A proposito del colonialismo eurocentrico in musica e del porsi tra acculturazione e inculturazione vorrei invece citare un episodio di cui sono stato testimone in quanto organizzatore di un convegno di Amnesty International: l’allora rappresentante in esilio dell’African National Congress – Benny Nato – portò (con mio vivo stupore) come esempio della disperata condizione legata all’apartheid proprio la negata possibilità per i ragazzi neri di apprezzare le opere di Giuseppe Verdi!
Ultimo punto: da “musica ed intercultura“ a “musica e interdisciplinarietà“. Più di altri ambiti la musica si presta al confronto con altre discipline e questo per due motivi particolari:
a) perché i prodotti musicali sono spesso “multimediali” , cioè convivono con altri linguaggi; b) perché gli stessi prodotti squisitamente musicali hanno una loro interna dimensione “extramusicale” (per esempio in termini di logica strutturale o di attivazione energetica a livello psico-fisico) .
Anche su questo fronte va considerata una specificità della condizione della musica in una società come la nostra che, al di là delle scelte dei ragazzi, propone l’esperienza musicale prioritariamente attraverso il filtro della dimensione visiva. Il peso della società dell’immagine è riscontrabile anche nell’ordinamento scolastico, basti guardare alla presenza della musica nella secondaria superiore (ulteriormente ridimensionata dalla riforma Gelmini): inspiegabilmente l’unico linguaggio non verbale considerato in tutti gli indirizzi scolastici è il linguaggio visivo, eppure i tempi sarebbero maturi per riconoscere una pari dignità al linguaggio dei suoni (come avviene in altre nazioni europee ed extraeuropee). Anche, poi, nella valutazione globale degli alunni (per esempio in sede di scrutinio) la grande trasversalità dell’ambito musicale è uno strumento prezioso ma spesso volutamente sottodimensionato in particolare da molti dirigenti scolastici.
Musica e altri linguaggi dunque ma anche musica e storia, geografia e, non in ultimo, musica e corpo (musica del corpo, musica col corpo, musica sul corpo!) e ancora ; musica e scienze umane. Nel Liceo socio-psico-pedagogico e delle Scienze Sociali in cui insegno conduco con una docente di scienze sociali un’attività di compresenza che mi ha dimostrato quanto i ragazzi siano affascinati, per esempio, dal parallelismo tra i sogni ( o i lapsus) e la creazione artistica, ma… dal prossimo anno – con buona pace per l’interdisciplinarietà – le compresenze spariranno grazie alla nuova riforma!

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