Progetto interculturale
La scuola, come sappiamo, è uno dei luoghi in cui si vivono quotidianamente i problemi sociali più scottanti, che vanno sempre affrontati con la massima attenzione e, spesso, con urgenza, dato che ogni singola classe “…è, in realtà, un gruppo sociale, anche se derivato da un’aggregazione imposta dall’alto e non spontanea”.
Tant’è vero che, soprattutto nell’attuale fase di “globalizzazione”, la questione di come impostare un’educazione interculturale è particolarmente sentita dagli insegnanti che lavorano, ormai da qualche decennio, con gruppi- classe all’interno dei quali la presenza degli alunni stranieri è sempre più rilevante.
Nella scuola media statale “Antonio Gramsci” di Roma, dove insegno Educazione musicale, gli alunni stranieri sono più del 41%, poiché la scuola è situata all’interno della borgata del Trullo, dove risiedono numerose famiglie di immigrati di diversa provenienza: rumeni, filippini, indiani, bengalesi, boliviani, peruviani, marocchini, etiopi, macedoni, albanesi, bosniaci e rom. Inoltre, la scuola risponde ai bisogni formativi della popolazione adulta del territorio – caratterizzata, ovviamente, da un elevato numero di immigrati – poiché la Gramsci è anche Centro territoriale di educazione permanente e comprende i distretti XXIII e XXIV, l’Istituto penale minorile Casal del Marmo e il Carcere circondariale Regina Coeli.
Dunque, è già da alcuni anni che gli insegnanti della Gramsci progettano e attivano percorsi di didattica interculturale che facilitino l’incontro, l’interazione e lo scambio tra ragazzi di culture diverse e, in particolare, a partire dall’anno scolastico 1998/99 è stato attivato un Progetto Intercultura finanziato dalla Regione Lazio con legge n° 17/90 (“Benefici a favore dell’immigrazione”), realizzato in convenzione con la cattedra di Etnologia III dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Lavorando alla realizzazione del suddetto progetto, ho avuto l’opportunità di coordinare due laboratori di didattica musicale interculturale: uno con un griot mandinga (a.s. 1998/99) e l’altro con un cantastorie siciliano (a.s.1999/2000) .
Il percorso educativo-didattico dei laboratori con due poeti-cantori appartenenti a culture differenti (uno africano e l’altro italiano), era finalizzato a far conoscere, confrontare e sperimentare ai ragazzi stessi due diverse tecniche per raccontare in musica.
Gli alunni coinvolti nel progetto sono stati guidati a lavorare sulle loro storie individuali e familiari, che hanno confrontato con quelle degli “altri”- narrate dai professionisti del raccontare in musica – per conoscere meglio se stessi in relazione al mondo esterno; in un secondo momento, gli studenti si sono esercitati a percepire e memorizzare alcuni moduli ritmico-melodici, tradizionalmente impiegati dai cantastorie, che hanno utilizzato per intonare le poesie e le ballate da loro stessi composte sulle storie dei propri nonni e su alcuni avvenimenti di cronaca, emblematici di problematiche sociali (come, ad esempio, il rispetto dei diritti dei minori). Imparando a fare uso delle tecniche compositive dei cantastorie siciliani, in particolare, i ragazzi hanno anche illustrato le storie narrate su cartelloni di tela. Infine, lavorando sulla musicalità delle parole e sull’espressione corporea, è stato possibile sviluppare la creatività e migliorare la socializzazione degli alunni.
Soprattutto, però, le esperienze vissute dagli studenti che hanno partecipato ai laboratori con i cantastorie, documentate con fotografie e registrazioni, hanno confermato che la musica – assieme ad altre forme di comunicazione non verbale – facilita il dialogo educativo interculturale; inoltre, il confronto con i produttori di musica di culture diverse contribuisce alla costruzione dell’identità personale dei ragazzi.
Il laboratorio con il griot mandinga
Il Progetto Intercultura, finanziato dalla Regione Lazio, è stato avviato con due classi prime della scuola media statale di Roma “Antonio Gramsci”, nell’anno scolastico 1998/99.
Per guidare i ragazzi ad affrontare il seguente tema: “La tradizione orale. Alla ricerca della propria identità: dalla conoscenza di sé al confronto con le storie degli altri”, è stato attivato un laboratorio educativo-didattico interdisciplinare e interculturale con la collaborazione del griot senegalese Pape Kanouté.
Gli alunni coinvolti nel progetto hanno partecipato al primo incontro con Pape Kanouté dopo aver ricercato, raccolto, confrontato e analizzato la documentazione relativa alle proprie storie familiari. In particolare, ciascun ragazzo ha intervistato i propri nonni e ha raccolto proverbi, filastrocche e ninne-nanne; successivamente, sulla base del materiale raccolto, gli studenti hanno scritto in classe una poesia sui nonni (allegato Da piccoli i miei nonni…).
Seguendo il percorso del laboratorio con il cantastorie dell’Africa occidentale, i ragazzi hanno avuto l’opportunità di confrontare le storie delle loro famiglie con quelle degli “altri”; infatti, hanno conosciuto la storia personale di immigrazione di Pape Kanouté e quella della colonizzazione del continente africano, raccontata dal punto di vista di un senegalese (ascolto 1).
Nel corso degli incontri, gli studenti hanno ascoltato alcuni canti del repertorio tradizionale dei griot mandinga eseguiti da Pape, che si è accompagnato suonando la kora (ascolto 2) e hanno imparato ad intonare il canto di pace “Kelo” (vedi allegato), in lingua mandinga; inoltre, è stata offerta loro la possibilità di familiarizzare con alcuni strumenti musicali africani (in particolare, la kora, il n’goning e il djembé ) (ascolto 3). Recitando la poesia sui nonni accompagnati da Pape con la kora (ascolto 4) e con il n’goning, poi, i ragazzi hanno comunicato direttamente con il cantastorie africano imparando ad ascoltarsi reciprocamente. Inoltre, gli alunni sono stati guidati ad usare la voce in modo espressivo e, ballando una danza mandinga (ascolto 5), hanno lavorato per conoscere le possibilità comunicative del proprio corpo.
A conclusione del laboratorio con il griot mandinga, gli alunni impegnati nel progetto hanno recitato, cantato e ballato con Pape Kanouté in uno spettacolo finale dal titolo: I nonni e i cantastorie raccontano.
I ragazzi stessi hanno costruito la scenografia: ai lati della scena un caminetto e un baobab per rappresentare simbolicamente i luoghi d’incontro tipici della cultura occidentale e africana; al centro della scena un televisore, con funzione di “Album dei ricordi”, sul quale scorrevano le fotografie di famiglia degli studenti.
Nella scuola media statale “Antonio Gramsci” di Roma, dove insegno Educazione musicale, gli alunni stranieri sono più del 41%, poiché la scuola è situata all’interno della borgata del Trullo, dove risiedono numerose famiglie di immigrati di diversa provenienza: rumeni, filippini, indiani, bengalesi, boliviani, peruviani, marocchini, etiopi, macedoni, albanesi, bosniaci e rom. Inoltre, la scuola risponde ai bisogni formativi della popolazione adulta del territorio – caratterizzata, ovviamente, da un elevato numero di immigrati – poiché la Gramsci è anche Centro territoriale di educazione permanente e comprende i distretti XXIII e XXIV, l’Istituto penale minorile Casal del Marmo e il Carcere circondariale Regina Coeli.
Dunque, è già da alcuni anni che gli insegnanti della Gramsci progettano e attivano percorsi di didattica interculturale che facilitino l’incontro, l’interazione e lo scambio tra ragazzi di culture diverse e, in particolare, a partire dall’anno scolastico 1998/99 è stato attivato un Progetto Intercultura finanziato dalla Regione Lazio con legge n° 17/90 (“Benefici a favore dell’immigrazione”), realizzato in convenzione con la cattedra di Etnologia III dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Lavorando alla realizzazione del suddetto progetto, ho avuto l’opportunità di coordinare due laboratori di didattica musicale interculturale: uno con un griot mandinga (a.s. 1998/99) e l’altro con un cantastorie siciliano (a.s.1999/2000) .
Il percorso educativo-didattico dei laboratori con due poeti-cantori appartenenti a culture differenti (uno africano e l’altro italiano), era finalizzato a far conoscere, confrontare e sperimentare ai ragazzi stessi due diverse tecniche per raccontare in musica.
Gli alunni coinvolti nel progetto sono stati guidati a lavorare sulle loro storie individuali e familiari, che hanno confrontato con quelle degli “altri”- narrate dai professionisti del raccontare in musica – per conoscere meglio se stessi in relazione al mondo esterno; in un secondo momento, gli studenti si sono esercitati a percepire e memorizzare alcuni moduli ritmico-melodici, tradizionalmente impiegati dai cantastorie, che hanno utilizzato per intonare le poesie e le ballate da loro stessi composte sulle storie dei propri nonni e su alcuni avvenimenti di cronaca, emblematici di problematiche sociali (come, ad esempio, il rispetto dei diritti dei minori). Imparando a fare uso delle tecniche compositive dei cantastorie siciliani, in particolare, i ragazzi hanno anche illustrato le storie narrate su cartelloni di tela. Infine, lavorando sulla musicalità delle parole e sull’espressione corporea, è stato possibile sviluppare la creatività e migliorare la socializzazione degli alunni.
Soprattutto, però, le esperienze vissute dagli studenti che hanno partecipato ai laboratori con i cantastorie, documentate con fotografie e registrazioni, hanno confermato che la musica – assieme ad altre forme di comunicazione non verbale – facilita il dialogo educativo interculturale; inoltre, il confronto con i produttori di musica di culture diverse contribuisce alla costruzione dell’identità personale dei ragazzi.
Il laboratorio con il griot mandinga
Il Progetto Intercultura, finanziato dalla Regione Lazio, è stato avviato con due classi prime della scuola media statale di Roma “Antonio Gramsci”, nell’anno scolastico 1998/99.
Per guidare i ragazzi ad affrontare il seguente tema: “La tradizione orale. Alla ricerca della propria identità: dalla conoscenza di sé al confronto con le storie degli altri”, è stato attivato un laboratorio educativo-didattico interdisciplinare e interculturale con la collaborazione del griot senegalese Pape Kanouté.
Gli alunni coinvolti nel progetto hanno partecipato al primo incontro con Pape Kanouté dopo aver ricercato, raccolto, confrontato e analizzato la documentazione relativa alle proprie storie familiari. In particolare, ciascun ragazzo ha intervistato i propri nonni e ha raccolto proverbi, filastrocche e ninne-nanne; successivamente, sulla base del materiale raccolto, gli studenti hanno scritto in classe una poesia sui nonni (allegato Da piccoli i miei nonni…).
Seguendo il percorso del laboratorio con il cantastorie dell’Africa occidentale, i ragazzi hanno avuto l’opportunità di confrontare le storie delle loro famiglie con quelle degli “altri”; infatti, hanno conosciuto la storia personale di immigrazione di Pape Kanouté e quella della colonizzazione del continente africano, raccontata dal punto di vista di un senegalese (ascolto 1).
Nel corso degli incontri, gli studenti hanno ascoltato alcuni canti del repertorio tradizionale dei griot mandinga eseguiti da Pape, che si è accompagnato suonando la kora (ascolto 2) e hanno imparato ad intonare il canto di pace “Kelo” (vedi allegato), in lingua mandinga; inoltre, è stata offerta loro la possibilità di familiarizzare con alcuni strumenti musicali africani (in particolare, la kora, il n’goning e il djembé ) (ascolto 3). Recitando la poesia sui nonni accompagnati da Pape con la kora (ascolto 4) e con il n’goning, poi, i ragazzi hanno comunicato direttamente con il cantastorie africano imparando ad ascoltarsi reciprocamente. Inoltre, gli alunni sono stati guidati ad usare la voce in modo espressivo e, ballando una danza mandinga (ascolto 5), hanno lavorato per conoscere le possibilità comunicative del proprio corpo.
A conclusione del laboratorio con il griot mandinga, gli alunni impegnati nel progetto hanno recitato, cantato e ballato con Pape Kanouté in uno spettacolo finale dal titolo: I nonni e i cantastorie raccontano.
I ragazzi stessi hanno costruito la scenografia: ai lati della scena un caminetto e un baobab per rappresentare simbolicamente i luoghi d’incontro tipici della cultura occidentale e africana; al centro della scena un televisore, con funzione di “Album dei ricordi”, sul quale scorrevano le fotografie di famiglia degli studenti.