Il gesto poco elegante di Fabio Fazio (come per spaccare in due il ‘flauto dolce’) in risposta alle parole del giovane direttore d’orchestra Andrea Battistoni, ha suscitato vaste reazioni. Ecco il comunicato del CSMDB e della redazione di Musicheria e le lettere scritte a Fazio e a Littizzetto da Mario Piatti e Enrico Strobino. Anche Giovanni Piazza ha scritto a Fazio e ci ha autorizzato a pubblicare la sua lettera. In allegato una documentazione sui commenti su facebook e altri siti.
A proposito di flauto dolce e musica a scuola
Comunicato del CSMDB e Redazione di Musicheria.net
Ancora una volta il mondo dell’educazione musicale è animato da una polemica che parte da un episodio di disinformazione e di deprezzamento della musica a scuola. Al termine dell’intervista al giovane direttore d’orchestra Andrea Battistoni nella trasmissione “Che tempo che fa” del 24 marzo u.s., con riferimento a un passo del libro di Battistoni “Non è musica per vecchi”, Fabio Fazio ha ipotizzato, con un gesto evidente, di spezzare in due i “flauti dolci” dei propri figli, considerandoli quindi un oggetto non confacente alla formazione e all’educazione.
Il gesto e le parole che lo avevano preceduto hanno teso a mettere in evidenza una supposta deficienza dell’educazione musicale nelle scuole, in particolare nei riguardi della cosiddetta “musica d’arte”. A prescindere dal fatto che il flauto dolce è uno strumento con una propria dignità, usato in diversi generi musicali, scelto per la relativa facilità d’uso e per il buon rapporto qualità/prezzo rispetto ad altri aerofoni. Nelle scuole ci sono comunque anche tanti altri strumenti, tra cui quelli portati da casa dagli studenti e acquistati dalle famiglie che ormai devono farsi carico di tante spese (dalle risme di carta per le fotocopie, alla carta igienica, ecc.).
È ovvio considerare che se le scuole fossero messe in grado, con opportuni finanziamenti, di avere a disposizione un buon numero di strumenti musicali, magari con laboratori musicali adeguatamente attrezzati, gli insegnanti avrebbero la possibilità di fare coi ragazzi esperienze musicali molto più complete e gratificanti.
Ciò che comunque infastidisce di più, e non è la prima volta che accade nel programma di Fazio, è la superficialità e la non sufficiente competenza con cui si parla di musica a scuola, anche quando a parlare sono illustri personaggi del mondo musicale che di quanto accade realmente a scuola ogni giorno sanno poco o nulla, oltre ad ignorare quasi completamente la storia della pedagogia musicale italiana. Da almeno quarant’anni anche in Italia ci sono persone, associazioni, editori, riviste, gruppi, ricercatori oltre ad insegnanti di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria che portano avanti con grande professionalità questo bellissimo lavoro e la riflessione sui modi più efficaci per farlo.
Viene da chiedersi come mai nel “servizio pubblico” non si dia la parola anche a loro, a chi cioè opera nel settore con competenza e con sacrificio, a qualcuno (e ce ne sono tanti) che sappia dimostrare come sia possibile coinvolgere i ragazzi nel fare e ascoltare musica, attivando cori e gruppi strumentali di buon livello, all’altezza delle altre scuole europee. Prevale sempre invece il luogo comune della povertà musicale nella scuola italiana, che certamente esiste, come in qualsiasi altro campo. Ma forse in questo momento sarebbe meglio valorizzare prima le buone prassi, dando voce alle tante professionalità e competenze specifiche maturate in questi decenni.
Non stona poi ricordare lo stato di disinvestimento in cui si dibatte la scuola e al suo interno la disciplina musicale dopo il taglio delle ore del tempo pieno nelle primarie, del tempo prolungato alle medie, la non obbligatorietà di almeno un’ora di musica nelle scuole superiori (anche in quelle di indirizzo umanistico e socio-pedagogico), alla reticenza degli Uffici Scolastici Regionali per l’apertura dei corsi a indirizzo musicale nelle scuole secondarie di primo grado, alla non assunzione e di personale qualificato per attuare nelle scuole primarie quanto previsto per altro dalle Indicazioni nazionali per il curricolo.
Ci auguriamo che quanto prima anche in qualche buon programma televisivo, come reputiamo sia “Che tempo che fa”, si possa far conoscere il bello e il buono che anche con la musica si fa nella scuola italiana.
Il Comitato scientifico del Centro Studi musicali e sociali Maurizio Di Benedetto di Lecco
La Redazione della rivista on-line Musicheria.net
Lettera di Mario Piatti
Gentile Fabio Fazio
non mi è piaciuto, al termine della puntata del 24 marzo, il suo gesto di spezzare in due i “flauti dolci” che ha a casa. E’ stato un gesto forse accondiscendente verso il suo giovane interlocutore Andrea Battistoni che ha ritenuto di individuare nell’uso dei flauti dolci nelle scuole medie la causa dello “scarso amore per la musica da parte dei giovani italiani”, come riportato anche in un ampio comunicato dell’Adnkronos. E’ stato però un gesto offensivo verso tutti quegli insegnanti che, ANCHE col “flautino”, riescono a far fare un po’ di musica ai ragazzi, nonostante il poco tempo e gli scarsi mezzi a disposizione. I ragazzi e gli insegnanti sarebbero felici di poter fare musica con tanti altri strumenti: il fatto è che le scuole non hanno nemmeno i soldi per la carta igienica, figuriamoci per gli strumenti musicali da mettere a disposizione dei ragazzi.
Dov’era Battistoni, e dov’era Lei, Fazio, e dov’erano Morricone, Piovani, Accardo, Battistelli (i musicisti interpellati dall’Adnkronos) quando il governo Berlusconi ha tolto le ore di musica nelle scuole superiori, ha ridotto il tempo scuola nelle medie, ha tagliato il tempo pieno durante il quale molti insegnanti facevano musica? Perché non avete fatto sentire la vostra voce affinché fosse mantenuta almeno un’ora di musica e affinché le scuole potessero dotarsi di attrezzati laboratori musicali?
Gentile Fazio, oso chiederLe una trasmissione riparatrice, in cui si faccia conoscere quanto di bello si fa nelle scuole italiane con la musica: centinaia e centinaia di cori, un migliaio di ensemble orchestrali che si esibiscono in rassegne e concorsi, e che faranno sentire la loro voce in occasione della Settimana nazionale della musica a scuola indetta dal Ministero nel prossimo mese di maggio (cfr.: http://www.istruzione.it/web/istruzione/prot642_10). Una documentazione al riguardo la trova anche sul sito del Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica: http://archivio.pubblica.istruzione.it/comitato_musica_new/index.shtml.
Insomma: siamo stanchi dei soliti luoghi comuni che illustri musicisti, dall’alto dei loro comodi e ben pagati scranni, propinano in continuazione in merito alla presunta assenza della musica a scuola. Il loro amore e la loro passione per la Musica non giustifica la loro ignoranza sulla reale situazione di ciò che migliaia di insegnanti fanno per appassionare i ragazzi alle molteplici manifestazioni delle musiche del mondo (e non solo alla cosiddetta musica classica occidentale).
Nella speranza di ascoltare prima o poi anche a Che Tempo che Fa qualche voce “fuori dal coro” di chi deprezza o misconosce quanto di bello si fa nelle scuole con la musica, la saluto cordialmente e la ringrazio dell’attenzione.
Qui lo spezzone incriminato http://youtu.be/N4l-bxM9CXM
Una breve postilla
Sono pienamente cosciente delle “nostre” (categoria: insegnanti di musica nella scuola pubblica) debolezze (anche se andrebbero analizzate le cause, che spesso non sono da imputare alla cattiva volontà dei singoli, ma al sistema che ha permesso l’immissione in ruolo di persone bravi musicisti ma forse impreparate didatticamente), e mi guardo bene dal farmi paladino dell’uso generalizzato del “flauto dolce”. Quello che mi fa inc…are è che in televisione i “grandi” musicisti sanno parlare solo dei mali della musica a scuola, facendo credere che la situazione sia quella da loro descritta. Ormai è anni che dico che bisognerebbe guardare il bicchiere mezzo pieno e pubblicizzarlo, come abbiamo scritto e documentato anche su Musicheria. Ma a quanto pare non ci si riesce!
La nostra indignazione è solo una piccola bolla di sapone che volteggerà un po’ nell’aria e poi si infrangerà….
Ma noi, io, continuerò a soffiare nella mia cannuccia…
Mario Piatti
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Lettera di Enrico Strobino
Gentilissimi Fabio Fazio e Luciana Littizzetto
in riferimento all’intervento di Andrea Battistoni riguardo all’insegnamento della musica nella scuola, anch’io, come molti altri in questi giorni, intendo segnalare alla Vostra attenzione che nel nostro paese, da quarant’anni e forse più, ci sono persone, associazioni, editori, riviste, gruppi, ricercatori e tantissimi splendidi insegnanti di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria che portano avanti con grande professionalità questo bellissimo lavoro e la riflessione sui modi più efficaci per farlo. Ridurre il dibattito al tema “flauto sì/flauto no” è sintomo di disinformazione e di scarsa attenzione verso la tradizione di ricerca pedagogica in quest’area, nonché verso le centinaia di “buone pratiche” che caratterizzano il lavoro di chi cerca, ogni giorno, di portare l’esperienza musicale nella scuola di tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, in modo creativo, intelligente, gratificante.
Non intendo qui fare “elenchi” delle varie documentazioni di queste buone pratiche presenti e raggiungibili anche in rete. Ma non intendo fermarmi nemmeno al solo livello critico rispetto alla puntata di sabato scorso. Faccio quindi una proposta: perché non pensare a una trasmissione dedicata alla reale situazione della musica nella scuola italiana, invitando però chi fa questo mestiere, chi ricerca da decenni in questo campo, chi ha al suo attivo pubblicazioni di pedagogia e didattica musicale, insomma chi conosce questo mondo “dal vero” e non solo per luoghi comuni?
Certo non è tutto oro, ci sono anche situazioni che non funzionano e in cui la musica è insegnata male, come in qualsiasi altro campo. Ma credo che in questo paese ci sia bisogno di portare alla luce, oltre ai guai che ci circondano, anche ciò che funziona, valorizzando le persone e le professionalità, dando voce alle competenze specifiche e non a chi, in nome della propria notorietà guadagnata in altri ambiti, pretende di esprimere opinioni e di suggerire percorsi riguardo a un territorio che non frequenta e quindi non conosce quasi per nulla.
Stimando il programma “Che tempo che fa” e reputandolo uno dei migliori esempi di “buona televisione”, sono certo che saprete cogliere questa occasione per fare buona informazione anche sulla musica nella scuola italiana.
RingraziandoVi anticipatamente per l’attenzione Vi porgo i più cordiali saluti
Enrico Strobino
Insegnante, Formatore, Pedagogista, Musicista
in riferimento all’intervento di Andrea Battistoni riguardo all’insegnamento della musica nella scuola, anch’io, come molti altri in questi giorni, intendo segnalare alla Vostra attenzione che nel nostro paese, da quarant’anni e forse più, ci sono persone, associazioni, editori, riviste, gruppi, ricercatori e tantissimi splendidi insegnanti di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria che portano avanti con grande professionalità questo bellissimo lavoro e la riflessione sui modi più efficaci per farlo. Ridurre il dibattito al tema “flauto sì/flauto no” è sintomo di disinformazione e di scarsa attenzione verso la tradizione di ricerca pedagogica in quest’area, nonché verso le centinaia di “buone pratiche” che caratterizzano il lavoro di chi cerca, ogni giorno, di portare l’esperienza musicale nella scuola di tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, in modo creativo, intelligente, gratificante.
Non intendo qui fare “elenchi” delle varie documentazioni di queste buone pratiche presenti e raggiungibili anche in rete. Ma non intendo fermarmi nemmeno al solo livello critico rispetto alla puntata di sabato scorso. Faccio quindi una proposta: perché non pensare a una trasmissione dedicata alla reale situazione della musica nella scuola italiana, invitando però chi fa questo mestiere, chi ricerca da decenni in questo campo, chi ha al suo attivo pubblicazioni di pedagogia e didattica musicale, insomma chi conosce questo mondo “dal vero” e non solo per luoghi comuni?
Certo non è tutto oro, ci sono anche situazioni che non funzionano e in cui la musica è insegnata male, come in qualsiasi altro campo. Ma credo che in questo paese ci sia bisogno di portare alla luce, oltre ai guai che ci circondano, anche ciò che funziona, valorizzando le persone e le professionalità, dando voce alle competenze specifiche e non a chi, in nome della propria notorietà guadagnata in altri ambiti, pretende di esprimere opinioni e di suggerire percorsi riguardo a un territorio che non frequenta e quindi non conosce quasi per nulla.
Stimando il programma “Che tempo che fa” e reputandolo uno dei migliori esempi di “buona televisione”, sono certo che saprete cogliere questa occasione per fare buona informazione anche sulla musica nella scuola italiana.
RingraziandoVi anticipatamente per l’attenzione Vi porgo i più cordiali saluti
Enrico Strobino
Insegnante, Formatore, Pedagogista, Musicista
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Lettera di Giovanni Piazza
Gentile Fabio Fazio,
condivido con Mario Piatti (che per primo le ha scritto) il fatto che il suo gesto di spezzare i “flautini” (a conclusione della intervista a Andrea Battistoni) non sia stato felice anche se, da parte sua, mi è parso che fosse mimato con intenzione abbastanza innocente, senza presupporne la valenza fortemente emblematica che avrebbe assunto nei confronti di chi si occupa di educazione musicale.
Chi, come me, se ne occupa da svariati decenni sa per primo quanto possa essere micidiale un uso scolastico indiscriminato – per così dire – del flauto dolce. Ma altrettanto, se usato al medesimo modo, lo sarebbe un violino che, quanto a problemi di intonazione (uno degli argomenti accusatori più spesso invocati) non gli è certo secondo.
Il punto, dunque, sta innanzitutto nella competenza didattica di chi usa in classe un qualsivoglia strumento sonoro o musicale. Più in particolare il punto sta nella modalità d’uso – e torno al “flautino” – in relazione allo scopo che ci si prefigge. Scopo che, ancora in troppi casi, è quello di usarlo come mero tramite “massificato” per imparare la teoria e la notazione musicale: astrazioni quanto mai incomprensibili per un bambino all’inizio del suo rapporto con la musica.
Cito, con l’autorizzazione di un collega, l’annotazione del figlio (allievo di prima media) sul proprio quaderno pentagrammato, relativa alla seconda lezione di “musica” (gli appunti relativi alla prima li ometto per brevità e per non infierire troppo):
Seconda lezione:
La croma è una figura musicale che vale un ottavo. Due crome si suonano in un quarto. Quando la croma è da sola si disegna con un ricciolino.
Sfido qualsiasi adulto a capire cosa possa significare una frase contorta e criptica come questa.
Tanto per aggiungere un altro esempio, mi è giunta di recente anche la testimonianza di un genitore il cui figlio, a richiesta, comunicò che “quel giorno avevano imparato il sol”.
Su questo piano, dunque, siamo i primi ad essere consapevoli di quanto si sia ancora lontani da una diffusione trasversale, strutturale e qualitativamente elevata dell’educazione musicale. E sappiamo anche da cosa ciò dipenda: da una arretratezza culturale istituzionale che non considera la pratica musicale scolastica come mezzo di formazione della persona (formazione non solo “alla” musica ma “mediante” la musica: pensi che Orff lo scriveva già nel 1963) e dalla cronica carenza (ma a volte anche dalla destinazione sbagliata) di risorse finanziarie.
Dunque, per fornire un quadro della situazione più rispondente al vero i media dovrebbero trovare i modi per illustrare e far emergere non solo quello che nella scuola “non va” ma anche quello “che va”, non solo quello che “non c’è” ma anche quello “che c’è”, dando spazio non solo all’angolo visuale di chi valuta la situazione dall’esterno (e da un esterno spesso distante dal problema in sé) ma anche a quello di chi ci lavora dentro.
Andrebbero evidenziate alcune realtà.
Il fatto che, accanto alle pratiche astruse fin qui adombrate, esistano nella scuola vaste aree di buone ed eccellenti pratiche musicali, grazie all’iniziativa di dirigenti scolastici motivati e insegnanti preparati e competenti (inclusi quelli che sanno usare con ottimi risultati persino il “flautino”), e che debbono spesso districarsi fra complesse prescrizioni regolamentari e legislative, oltre che fare i conti con le dotazioni finanziarie. Pratiche che vanno da un accesso pratico all’esperienza musicale accuratamente misurato sull’età evolutiva fino alla costituzione di innumerevoli orchestre e cori scolastici giovanili oltre a gruppi cameristici, magari proprio di flauti dolci.
Il ruolo che oggi nella scuola ricoprono, in funzione dell’introduzione nella scuola di buone pratiche musicali gestite da esperti esterni, innumerevoli Scuole e Associazioni musicali e corali disseminate sull’intero territorio nazionale. Organismi che spesso hanno svolto e svolgono opera di ricerca, sperimentazione e diffusione di didattiche musicali aggiornate e adeguate ai nostri tempi, a volte più di quanto l’Istituzione stessa non possa o non sappia fare. Organismi che sul territorio, oltre che nella scuola, provvedono ad una ampia diffusione musicale educativa e formativa.
La realtà di centinaia di insegnanti, di diplomati o studenti di conservatorio, di operatori musicali che, in assenza di alternative istituzionali, investendo il proprio tempo e il proprio denaro, vanno proprio presso alcuni di questi organismi territoriali ad aggiornare e approfondire la propria formazione sapendo di trovare ciò che poi, nella loro attività didattica, effettivamente serve, e scoprendo spesso mondi pedagogico-musicali del tutto insospettati.
Considerando questo panorama, è veramente riduttivo – oltre che immeritato – limitarsi alla critica del “flautino”. Anche perché, come è risultato dallo scambio di idee fra stimati personaggi della musica che è seguito al suo gesto (scambio dal quale pure sono emerse svariate osservazioni appropriate e pertinenti), ciò può dar luogo ad un’altra semplificazione. Dall’insieme di tali considerazioni, infatti, è emersa, come rimedio primario, la pratica dell’ascolto (perorata anche da Battistoni). Da una parte l’esecrato “flautino” con tutto il suo carico di negatività, dall’altro l'”ascolto” come deus ex machina di una educazione musicale compiuta e fruttuosa. Una antitesi a sua volta assai riduttiva. Non si insegna ad ascoltare facendo (o costringendo ad) ascoltare tout court: compito peraltro assai arduo, se non impraticabile, in una classe infantile. La motivazione all’ascolto nasce piuttosto, e si sviluppa, a partire da un avvio felice all’esperienza musicale.
Un bambino va introdotto e accompagnato in esperienze musicali pratiche e collettive, che gli facciano sperimentare, anche nelle forme più elementari, come la musica nasce, come la si possa articolare, quali siano le sue componenti e le sue possibili strutture, come essa possa interrelazionarsi con altre potenzialità espressive. Troppo spesso si confonde la “musica” con la mera “notazione”.
Di valori musicali – o meglio di notazione ritmica – ci si impratichisce a meraviglia (e senza tribolazioni) anche attraverso giochi di composizione con scansioni verbali o frammenti di filastrocche.
La notazione melodica si acquisisce in modo solido attraverso sperimentatissime didattiche di pratica corale.
La forma e il contenuto di un brano musicale (ma che sia “a misura di bambino”: non certo la Quinta di Beethoven o la sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Dvořák) vengono acquisiti con estrema chiarezza “suonandoci insieme”, rivestendolo cioè di gesti sonori ovvero di semplici e trasparenti sequenze timbriche o melodiche.
Si può fare musica insieme, fin dall’inizio dell’esperienza musicale, per elaborare semplici arrangiamenti, usando un insieme ricco e timbricamente variegato di strumenti didattici ad hoc e tecniche didattiche adeguate, ormai consolidate da tempo.
Esistono tecniche didattiche che consentono semplici ma assai formative esperienze di improvvisazione elementare (persino jazzistiche) anche prima di conoscere le note e che diventano, anzi, mezzi per impararle.
Poi vengono, naturalmente, gli strumenti d’arte, la conoscenza teorica, i processi di acquisizione razionale e tecnica, assai più facilmente affrontabili nel momento in cui l’approccio alla musica sia stato vivo, creativo, divertente e non arido e tribolato.
L’esperienza musicale va vissuta dal bambino come un gioco partecipato. Non usando un qualche tipo di futile gioco per contrabbandare un po’ di nozioni musicali. La musica in sé “è” il gioco. Lo è per un bambino come per un grande interprete: per il quale essa rappresenta il gioco esistenziale, coinvolgente ed esclusivo, del massimo livello emotivo, intellettivo e spirituale. Non si capirebbe, altrimenti, come un grande solista o direttore o anche un eccellente professore d’orchestra, potrebbe dedicare tanto del proprio impegno e del proprio tempo a qualcosa di incomprensibile e noioso, come ciò che troppo spesso si finisce per propinare a un bambino.
Tutto ciò – tuttavia – pure notevolmente diffuso dentro e fuori della nostra scuola, scompare di fronte alla maledizione del flautino. Anzi: non compare proprio perché – per quanto assai spesso si vociferi dell’importanza della musica – i media in generale (così come le Istituzioni) ne ignorano sostanzialmente l’esistenza.
Noi, fautori di pedagogie musicali che intendono la musica come mezzo di formazione umana oltre che come scopo in sé, e che miriamo a farla vivere al bambino come esperienza diretta, non monodirezionale, non rinchiusa in recinti astrusi e accademici ma ricca e sfaccettata, siamo – in definitiva – un popolo di invisibili.
Capisco che la mail è un po’ lunga ma spero che abbia la pazienza di leggermi.
D’altra parte temi come questo non sono liquidabili in poche righe.
Invoco la solidarietà di Luciana Littizzetto che, oltre ad avere un diploma di pianoforte, ha insegnato musica per ben 9 anni in una scuola media della sua Torino.
Assai cordialmente
Giovanni Piazza