In ricordo
Il grande maestro Umberto Eco ci ha salutato nella sua pertinenza fisica per continuare a tramandare i suoi insegnamenti di filosofo profondamente impegnato e di persona spontaneamente ludica, quasi d’istinto; di semiologo profondo nel compilare un complesso Trattato sulle teorie della comunicazione umana e di raffinato narratore in grado di risvegliare al mondo il piacere della conoscenza nel segno di Pendoli e nel Nome della rosa.
Stiamo parlando di quel grande uomo che nella vita, e ancor dopo, lascerà in tutti noi il ricordo di una persona pronta ad affrontare l’Opera aperta delle poetiche contemporanee, di un uomo disposto a farci incontrare nella strada di mezzo fra i paradigmi Apocalittici e Integrati, di quel provocatore delle possibili relazioni fra Kant e l’Ornitorico, ma soprattutto noi di Musicheria vorremmo ringraziare lo studioso che, magari anche senza saperlo, ha offerto all’Educazione musicale la possibilità di accedere al mondo degli interpretanti, alla teoria della competenza musicale di base bel sviluppata dall’amico Gino Stefani, al concetto di musica come dato metonimico e metaforico, alle modalità che la musica ha di diventare oggetto estetico che si articola fra i concetti di ambiguità e di autoriflessività.
Ma soprattutto Eco ci lascia la grande coscienza del limite dei linguaggi e del loro complesso rapporto fra diversi gradi di effabilità e di ineffabilità, fra comprensione e incomprensione:
«…il linguaggio verbale è l’artificio semiotico più potente che l’uomo conosca; ma che esistono tuttavia altri artifici capaci di coprire porzioni dello spazio semantico generale che la lingua parlata non sempre riesce a toccare.
Quindi, anche se il linguaggio verbale è l’artificio semiotico più potente, si vedrà che esso non soddisfa compiutamente al principio della effabilità generale: e per diventare più potente di quel che è, come di fatto avviene, deve avvalersi dell’aiuto di altri sistemi semiotici. È difficile concepire un universo in cui degli esseri umani comunichino senza linguaggio verbale, limitandosi a gestire, mostrare oggetti, emettere suoni informi, danzare: ma è ugualmente difficile concepire un universo in cui gli esseri umani emettano solo parole.
[…]
Perciò una analisi semiotica, che tocchi altri tipi di segni tanto legittimabili quanto le parole, chiarirà la stessa teoria di riferimento, che così spesso è stata considerata un capitolo della sola analisi del linguaggio verbale, in quanto quest’ultimo veniva considerato il veicolo privilegiato del pensiero» (Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975, p. 235).
Da tutto ciò, noi dal mondo dell’Educazione musicale, possiamo dedurre che l’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi, pur nel suo limitato grado di effabilità e di ineffabilità traduttiva, presente nel rapporto fra il linguaggio verbale e tutti gli altri sistemi segnici (fra i quali anche quello musicale), non può fare a meno, per aumentare il tasso di effabilità, di praticare i vari linguaggi non verbali e, tantomeno, di attivare il maggior numero di traduzioni interlinguistiche e plurilinguistiche pur risultanti più o meno dicibili o più o meno indicibili.
E tutto questo proprio perché l’uomo, nel suo dirsi e nel suo darsi agli altri attraverso le sue varie forme linguistiche (verbali e non), conferma tutto il suo limite traduttivo e interpretativo e, proprio per ciò, sente il bisogno di avvalersi di più modi e forme di dire se stesso, di dare se stesso, di attribuire il maggior numero di sensi e significati alla sua vita, al suo vivere accanto agli altri, alle pratiche che vive e con le quali si identifica, come fa con i suoni e con le musiche del mondo.
Ci piace salutare Umberto Eco con una frase da lui citata nell’introduzione del suo testo Kant e l’ornitorinco (Bompiani 1997) tratta da Boscoe Pertwee autore del XVIII secolo: Tempo fa ero indeciso, ma ora non ne sono più sicuro.
Questa era la complessa leggerezza di Eco.
Grazie Umberto.