Una testimonianza su Gian Maria Testa
Si dice che chi scrive un libro lo fa solo a metà poiché, per l’altra metà, lo scrive chi lo legge. E’ proprio così, anche se la percentuale non è matematicamente sempre misurabile. I libri che più ci piacciono sono quelli in cui ci possiamo più facilmente riconoscere, in cui il nostro “io” vi si può insediare fino a diventare noi stessi protagonisti di quel libro. Posarlo e poi riprenderlo dopo due minuti: ecco un sintomo per riconoscere questo tipo di libri. In quei due minuti facciamo scorrere nella nostra mente la nostra esperienza rispetto a quello che stiamo leggendo e poi lo misuriamo con quello che ci dice lo scrittore. Così, ad un certo punto, sentiamo anche noi l’esigenza di scrivere di quel libro, in un certo senso di “riscriverlo” attraverso la nostra sensibilità. E’ qualcosa che va aldilà della semplice recensione promozionale. Personalmente, non facendolo di professione, scrivo solo se spinto da un forte bisogno interiore, altrimenti non riesco a scrivere nemmeno un biglietto di auguri. Un bisogno che parte dalle viscere e spesso non mi lascia nemmeno il tempo di aspettare che si accenda il computer.
Questo è ciò che mi è capitato leggendo “Da questa parte del mare” di Gianmaria Testa, pubblicato da Einaudi, dopo averlo acquistato in seguito alla emozionante presentazione-spettacolo di Sasà Calabrese nella prestigiosa libreria “Cerrelli” di Crotone. Scorrendone le pagine mi sembra di averlo, in qualche modo, scritto io, ma vi prego non scambiate questo per presunzione. E’ che conoscendo già quasi a memoria le canzoni dell’omonimo lavoro del grande cantautore nella versione discografica, avevo già immaginato, non certo nei particolari ma nello spirito generale, le storie che vi sono dietro in un modo molto simile a quello che fa l’autore nel libro, con le pagine di prosa che introducono ogni testo di canzone, che invece usa uno stile necessariamente sintetico, anaforico e ripetitivo. Un’idea originale e bellissima quella di fare un’ operazione di confronto tra due generi letterari e che diventa culturale dal momento che l’ascoltatore può sapere di prima mano il contesto in cui nasce un testo cantato che ha già imparato ad amare solo ascoltandolo.
Le canzoni di Gianmaria Testa le ho scoperte in un convegno di storia e non di musica. In quel periodo lavoravo intorno alla possibilità di fare storia attraverso le canzoni e si parlava di questo cantautore che, che con uno sguardo nuovo e di segno contrario, era riuscito a riallacciarsi alla tradizione delle canzoni sulla grande emigrazione italiana tra fine Ottocento e inizi Novecento, quella che arriva a “Santa Lucia luntana”, per intenderci. Mi documentai e l’anno successivo tenni un laboratorio per insegnanti organizzato dall’Associazione per la didattica della storia “Clio 92”. Utilizzai alcune canzoni di “Da questa parte del mare”, della “Trilogia del Titanic” di Francesco De Gregori insieme con classici sull’emigrazione. Inoltre, da calabrese, mi stavo occupando in quel periodo del grande esodo verso le Americhe di un cospicuo numero di artisti miei conterranei. Le canzoni di Gianmaria hanno fatto da sfondo a questa mia ricerca, che poi è culminata con un libro che ho recentemente pubblicato dal titolo “I piedi sul mare, la musica in mente”-Vita di Vincenzo Scaramuzza ed altre storie-. Avevo già scritto e rappresentato “La Cantata Corsara per Uccialì”, in cui si affronta in chiave storica il problema degli sbarchi clandestini sulle coste della mia Terra, che ritrovavo nelle canzoni di “Da questa parte del mare”, ma era anche un rievocazione del personaggio di Don Chisciotte, caro al cantautore che lo ha trattato in un suo bellissimo lavoro “Chisciotte e gli invincibili” realizzato con lo scrittore Erri De Luca ed ii musicista Gabriele Mirabassi, suoi grandi inseparabili compagni di viaggio.
Così ho cominciato a sentire assai vicino questo artista di cui mi incuriosiva anche la sua singolare storia: da Capostazione a cantautore di successo, facendo del viaggio la sua metafora poetica e musicale, come a voler sottolineare una continuità con la sua precedente professione. Mi ripromettevo di incontrarlo, anche se tra la conoscenza dell’artista e dell’uomo c’è sempre quel sano distacco estetico. L’ho comunque poi conosciuto a Roccella Ionica, quando, con tutta la mia famiglia abbiamo deciso di andarlo a sentire nello spettacolo “Italy” (tratto dal poema di Giovanni Pascoli), recitato da Giuseppe Battiston ed intercalato dalle sue canzoni. Dall’alto dei nostri “anta” abbiamo dormito in tenda per assistere a quello spettacolo. Avrei voluto chiedergli mille cose, di quello che io sentivo di avere in comune con lui: la musica, la passione di scrivere canzoni, la mia Torino dei parenti emigrati e degli studi, dell’ interesse per gli sbarchi clandestini, di Don Chisciotte….. ma la sua disarmante semplicità mi ha indotto solo a chiedergli di posare con Carmen, mia figlia decenne per una fotografia, cosa che ha fatto con una gioia che gli si leggeva negli occhi, conservo gelosamente quella foto. L’incontro con Gianmaria mi aveva lasciato comunque un senso di incompiutezza che adesso con la lettura di questo suo libro si è in parte colmato. Lo consiglio a chiunque, come me, ama questo artista e voglia conoscerlo più da vicino, nella sua quotidianità, in particolare agli insegnanti ai quali apre un gran numero di finestre sulla storia, sulla attualità e sulla musica, sulla differenza tra codici letterari, con il valore aggiunto che tutto questo lo si può fare anche cantando le sue meravigliose canzoni, per un ragazzo di oggi non esiste, credo, un viatico culturale più stimolante della canzone, specialmente quella intelligente e profonda. D’altra parte, l’uso didattico delle canzoni di Gianmaria Testa non è nuovo a questa rivista che lo ha più volte trattato e ai relativi articoli rimando il lettore.