Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Identificarsi in una canzone… non basta!

Maurizio Spaccazocchi

Il mondo delle canzoni

 

Quanto possiamo sostenere che l’identificarsi in una canzone che trasmette un chiaro senso di positività o di negatività esistenziale, possa obbligarci a sostenere che quel senso di negatività o di positività sia intimamente presente e attivo in quel giovane che si è identificato in quel brano?

   Il vasto e vago mondo delle canzoni è oggi tanto carico di generi, di stili, di sound, di personaggi singoli o di gruppi che con molta frequenza e pure con forti ragioni economiche promuovono specifici brand socioculturali che inducono alla messa in scena di posture psicomotorie e psicoemotive mirate a dare un “colore” e un “calore” negativo o positivo alla vita di certi giovani che in un certo momento possono più o meno sentirsi in sintonia con determinate canzoni.

Oltre a questa varietà e ricchezza del prodotto-canzone non possiamo fare a meno di prendere in considerazione un’altra grande e complessa ambiguità che non sempre permette la realizzazione di analisi focalizzate su determinati livelli della canzone, come ad esempio la presenza di un testo che, senza considerare ora la sua qualità letteraria e la sua quantità di contenuti più o meno profondi, non sempre è vissuto, pur essendo magari importante, come elemento dominante e pregnante per indurre l’interesse o l’identificazione del giovane con quel determinato brano. Infatti tantissime sono state le volte che abbiamo assistito alla presenza di testi carichi di valori sociali ed emotivi che sono stati vissuti in forma occultata per colpa di una melodia non pertinente, o per colpa di una voce troppo emergente o, addirittura, per colpa di una base ritmica provocatrice di forti coinvolgimenti psicomotori come ad esempio il bisogno di mettersi a danzare più che ad ascoltare tutti gli altri tratti musicali presenti in quella canzone.

Non possiamo inoltre trascurare il fatto che con la canzone siamo in presenza, oggi, di una ricca e complessa misticanza di linguaggi espressivo-comunicativi:

musicale (melodia, ritmo, armonia, sound, gestione energetica ecc.,),

linguistico-letterario (testo fatto di parole più o meno significanti o insignificanti, ecc.),

estetico (aspetto fisico del cantante e/o del gruppo e il loro abbigliamento e trucco, della scenografia e della coreografia, ecc.),

video (attraverso il quale si diffonde o si rende nota la canzone nella sua veste più o meno estetica, ecc.).

Tutto ciò rende ogni canzone un evento di non facile intellegibilità. In altre parole la canzone è un prodotto che vive un non semplice grado di traducibilità, poiché sono troppi gli elementi audio-video-gesto-motori emotivi e linguistico espressivi che molto spesso, per scelte economiche ed estetiche, entrano in un gioco di relazioni complicato, ambiguo, e quindi non sempre gestito sulla base di tattiche convergenti (non dimentichiamo che la canzone, in quanto mezzo che cerca di avvalersi anche di valori estetici, è molto spesso portato a creare ambiguità, contrasto di sensi, sinestesie, auto-riflessività, tratti tipici della poetica in generale.). E anche se fossero stati studiati e realizzati secondo i più rigidi rapporti di convergenza, dovremmo non trascurare il tipo di attenzione-percezione del giovane ascoltatore che, in un modo o nell’altro, mette “addosso” a quella canzone l’insieme dei suoi più che personali vissuti musicali ed extramusicali. Vissuti che non possono assolutamente sfuggire alla sua più intima dimensione identitaria carica quindi di inevitabile egocentrismo. Oltre a tutto, essendo tutti stati giovani ascoltatori di canzoni (sebbene molto diverse sul piano estetico, etico, formale, melodico, timbrico e tecnologico, ecc.), sappiamo che in ogni specifico momento esistenziale umano il rapporto con la canzone non è mai un legame univoco. La nostra giornata e dei nostri attuali giovani non è mai accompagnata da una sola e specifica canzone, poiché ogni attimo della nostra vita è fatta di mutamenti di persone, luoghi, ambienti e tecnologie che ci “offrono” sempre e comunque canzoni diverse. Insomma, se davvero ascoltassimo una stessa canzone per tutta una giornata, non saremmo certo di fronte a una relazione di interesse personale, ma quanto piuttosto dimostreremmo di agire in presenza di una condotta extramusicale sorretta soprattutto dalla presenza, in noi, di un certo livello di patologia.

Canzoni e identificazioni!

Certo, a chi non è mai capitato di identificarsi in una canzone d’amore, di interesse sociale, ecologico, di chiaro stimolo motorio o addirittura con una forma sonora manifestante un forte carica vitale, energetica, in grado di esprimere forza e voglia di vivere; come al contrario in presenza di una canzone con un basso tasso energetico, quasi deprimente, come magari ci sentiamo noi in quel stato umorale negativo, e chissà quante altre identificazioni ancora ci possono venir offerte da un qualche aspetto musicale, o del testo o della coreografia o ancora della scenografia di una specifica canzone.

Tutti abbiamo vissuto le canzoni in queste e altre modalità identitarie, tutti queste identificazioni le abbiamo quasi sempre vissute in forma mista, passando da una all’altra, giocando magari di più con una canzone ma tornando molto spesso a specchiarci in tante altre canzoni, più o meno profonde, più o meno intelligenti, più o meno in sintonia con i nostri ballonzolanti stati d’animo. Infatti è una caratteristica tipica dell’adolescenza, della pubertà, ovvero dell’incertezza del saper essere, del sapere e del saper fare, instabilità tipica dell’essere giovani in quel complicato per quanto ricco momento della nostra esistenza. Ecco allora che lo stato di informe plasticità fisica, emotiva, psicologica e relazionale, tipica della giovinezza, pur essendo diversa nei vari momenti storico-culturali, si attiene al principio delle pratiche di vita non-costanti, e dunque basate sul bisogno della mutazione incerta, del passaggio instabile, del non sentirsi de-finiti.

Da ciò possiamo dedurre che il lungo rispecchiarsi di un giovane “dentro” il flusso sonoro di una sola canzone, è come il sentirsi costretti a fare una sosta troppo lunga su una forma identitaria che certamente non potrà essere quella definitiva. E si tratterà certamente di una sosta manifestante una se pur limitata condotta patologica che comunque, non può essere indotta o motivata da quella specifica canzone. Qui è l’indole della giovinezza che viene mossa dal mutamento, dalla diversità, dalle differenze: tutte condizioni utili e inevitabili per andare alla ricerca di un “posto” in una realtà sociale più o meno bella, più o meno comoda, come è stato e sarà per tutta la gioventù. Quindi, se la trasformazione in movimento, è aspetto pertinente della giovinezza, le scelte sane in musica, come in tutti gli altri linguaggi a disposizione delle ragazze e dei ragazzi d’oggi, non potranno che avvalersi del criterio della diversità, della trasformazione, e dunque dobbiamo sperare che le nostre giovani donne e i nostri giovani uomini dimostrino la loro azione mutante sviluppando il maggior numero di identificazioni con le canzoni (di diverso genere, di diverso contenuto emotivo e relazionale, di diverso valore estetico ed etico, ecc.) poiché è questa la “fiamma” stilistica del loro momento esistenziale.

Identificazioni indotte

I giovani, come tutti i giovani di tutti i tempi, proprio per la loro informe plasticità psicofisica si possono facilmente “indirizzare” verso l’assunzione di comportamenti caratteriali, emozionali, gesto-motori, estetici, o tipici di un determinato personaggio del momento, ecc. Comportamenti indotti dai vari e attuali linguaggi espressivi artistici come pure dai mezzi di diffusione di mode e stili di vita. Ad esempio il modo di vestirsi è uno di questi, come lo è il modo di assumere certe bevande o certi cibi, o come è l’uso tipico di un linguaggio settoriale, o addirittura l’uso di droghe che, diciamo così, sono di moda. Se esiste questa possibilità di identificarsi in varie modalità e linguaggi, è altrettanto vero e possibile che un giovane possa essere indotto a identificarsi anche attraverso la presenza ben mirata di un certo stile musicale o di un certo brano creati apposta per “trovare proseliti” idonei per quella specifica forma d’identificazione (positiva o negativa che sia). Quanti giovani, già nel lontano 1968, possono negare di essersi abbandonati al gioco identificativo a visione pacifista con la canzone Blowin’ in the wind di Bob Dylan, o più tardi in quello a chiaro sfondo umanitario indotto da We are the world, o addirittura quando nel 2007 il rapper Fabri Fibra ha cantato 100 modi per morire in cui molte ragazze e ragazzi si sono lasciati prendere dalla pesantezza del solo titolo per poi, e solo poi, notare la più reale vena ironica presente nel testo che qui riportiamo in un frammento:

Ci sono cento modi per morire,

Cento modi per morire,

Cento modi, cento modi, cento modi per morire.

Ci sono cento modi per morire,

Cento modi per morire,

Cento modi, cento modi, cento modi per morire.

Il primo modo per morire è quando stiri

I panni e le mollette si intrecciano tra i fili

Magari ti sbilanci per prendere un maglione

Si stacca lo stendino e cadi giù dal balcone

Per questo io non stiro, a volte neanche lavo

Se c’è l’acqua e la corrente che mi fulmina dal cavo

Rischi la morte dal giorno in cui nasci

Per questo è decisivo ogni istante che lasci

I rischi sono in giro soprattutto in città,

Io t’investo alla fermata del tram

Oggi è caldo, mi faccio una doccia che mi rinfresco

Poi scivolo sul marmo cado e sbatto la testa

Ho fatto una festa coi fuochi d’artificio

Ho perso il controllo, è esploso l’edificio

E anche quello di fianco, vedi i morti nel cortile

Tu passavi col booster e sei esploso dal sedile.

Ecc…

 

E chissà quanti esempi ancora potremmo indicare in merito alla tipologia delle possibili forme di identificazione che le varie generazioni di giovani possono attivare attraverso la canzone. Ma tutto ciò, sia ben chiaro, non fa altro che aumentare il tasso di ambiguità presente nella diffusissima pratica dell’identificarsi con queste o quelle canzoni, con questo o quel genere musicale, ecc.

Identificarsi nella indicibilità

A questo punto la domanda si fa sempre più impellente: Quanto possiamo sostenere che l’identificarsi in una canzone che trasmette un chiaro senso di positività o di negatività esistenziale, possa obbligarci a sostenere che quel senso di negatività o di positività sia intimamente presente e attivo in quel giovane che si è identificato in quel brano?

Se è la canzone a trasmettere un certo senso della vita non è poi così facile sostenere che sia presente il medesimo (o l’opposto) senso della vita in chi si identifica in essa. I motivi dell’identificazione, in questo caso, possono essere tanti e a volte pure molto superficiali o superflui, per non dire addirittura casuali. Ed è per ciò che tale categoria di identificazioni non può essere sorretta da evidenti e credibili motivazioni. Se al contrario è il giovane che si trova in un suo personalizzato stato emotivo, provocato e giustificato da una specifica condizione patologica, qualora possa trovare una canzone entro la quale identificare la sua condizione, non è certo la canzone che diventa la motivazione della sua patologia anzi, questa può funzionare come un’ideale forma “terapeutica” funzionante come una “compagna” che non ti fa sentire sola in quello stato esistenziale, più o meno come afferma il detto popolare Mal comune mezzo gaudio. (Chi in gioventù, e forse ancora oggi, non si è mai “crogiolato” nell’ascoltare tantissime volte lo stesso brano musicale che “descriveva”, senza voler indurre alcuna identificazione, una qualche idea di vitalità negativa presente in noi, in quel determinato momento di vita?). E d’altra parte nessuno vieta allo stesso giovane di identificarsi anche, e magari nello stesso momento, con una canzone che induce verso stati vitali molto positivi, cioè contrari alla sua più o meno momentanea e più o meno sofferente condizione esistenziale, mettendosi alla ricerca di “compagnie” vitali più positive della sua? In quest’altro caso, come faremmo a dire che chi si identifica con questo brano positivo è anche lui in una condizione vitale positiva?

Identificazione e canzone: quanto di vero e quanto di falso c’è?

Queste ultime righe servono per riaffermare la non semplice valutazione di ogni forma di identificazione che i giovani, e forse noi stessi, possiamo attivare con ogni linguaggio come appunto quello musicale, pittorico, filmico, poetico, narrativo, ecc. Ci sentiamo di affermare ciò sia da quanto scritto sino a ora e sia dalla vaghezza potenziale che ognuno di noi vive nel momento in cui afferma che si sente o che si mette nei panni di… Infatti, la diretta corrispondenza fra il noi e il mettersi, ad esempio, nello stato d’animo di un altro, non sono per nulla facili da misurare, da qualificare in modo chiaro.

Tutto questo tema sull’identificazione nelle canzoni è più o meno comparabile a quando qualcuno di noi si accinge a raccontare qualcosa di sé a qualcun altro, come ad esempio un frammento della propria autobiografia. Sì, un frammento autobiografico che, a volte inconsciamente o altre volte con consapevolezza, raccontiamo all’altro ma… quanto quello che stiamo raccontando corrisponde al vero? Quanto di quello che percepirà il nostro ascoltatore è davvero in sintonia con la “verità” del vissuto esternalizzato in quel momento? Quanto chi racconta si è in quel momento identificato con quel suo “pezzo” biografico? Quanto chi ascolta si è davvero identificato pur dicendo con affermata certezza, alla fine del “nostro” frammento di vita: Quanto ti capisco.? E se addirittura con il linguaggio parlato le persone dialoganti possono raggiungere un livello sufficiente di comprensione, quale livello di verità o di falsità possiamo valutare nel momento in cui sosteniamo di esserci identificati profondamente con quella determinata canzone, in cui la musica si rende ben più ambigua della parola?

Finalino musicale ad libitum

Il nero americano John Duff, seduto su una pietra nel ciglio della strada polverosa, si ritrova cantare a squarciagola un grintoso e ritmico blues. Un davvero blues vivace, con un’energia vocale davvero possente e con parole positive inneggianti il bello della vita e della donna. Nel frattempo passa di lì un bianco americano che lo ascolta e resta colpito dalla grande vivacità musicale e dalla carica positiva di quella canzone. Curioso, si avvicina, attende la fine del blues e dice al cantore nero: Perché hai scelto di cantare questo grintoso e vitale blues? John Duff ci pensa un attimo… e poi con sommessa lentezza risponde: L’ho cantato per non piangere!

Per non piangere.

Per non piangere.

Per non piangere.

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