Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Ritmo musicale e linguaggio parlato

Ugo Rodolico

Esperienze e proposte per il solfeggio ritmico

L’educazione ritmica occupa un posto importante nell’apprendimento di uno strumento e varie sono le soluzioni didattiche adottate. Ugo Rodolico, musicista e insegnante di percussioni nei corsi a indirizzo musicale delle scuole secondarie, ha sviluppato una metodologia che intreccia il ritmo musicale e il linguaggio parlato. Abbiamo rivolto a Rodolico alcune domande relative alla sua esperienza, rimandando per approfondimenti al suo articolo “Ritmo e linguaggio: se lo parli… lo suoni”.

Musicheria: Innanzitutto come è nato il suo interesse in merito al rapporto tra ritmo e linguaggio parlato, e quali sono gli aspetti più significativi di questo rapporto?

Ugo Rodolico: Più di dieci anni fa cominciai a lavorare a fianco del M° Marcello Napoli in un progetto didattico incentrato su una sua personale rielaborazione della metodologia Orff-Schulwerk denominato PGS (Parola-Gesto-Suono). Furono cinque anni intensi di progetti nelle scuole pubbliche e private in cui mi resi conto del potere ritmico del linguaggio parlato. Nella sua tesi Psicopedagogia della metodologia Orff-Schulwerk, il M° Napoli approfondisce il percorso intrapreso da Carl Orff sotto un profilo neurocognitivo, psicopedagogico, artistico e culturale. Alcuni suoi spunti si rivelarono per me molto interessanti. Il metodo indicato da Orff unisce tre elementi: la parola, il gesto e il suono. Vengono utilizzate alcune filastrocche associate a movimenti nello spazio (locomotoria) e a movimenti sul corpo (propriocezione) e successivamente adoperate su uno strumentario ritmico-melodico. Capii che la parola poteva essere un supporto del gesto musicale e che gli strumenti a percussioni, di cui da musicista mi sono sempre occupato, erano lo sbocco naturale di questo percorso. La “verbalizzazione ritmica”, attraverso le filastrocche, fa emergere gli elementi ritmici di una parola o di una frase inducendo una reazione motoria con una gestualità talvolta propriocettiva.

M.: Nella sua esperienza didattica quali sono le difficoltà maggiori che i ragazzi incontrano nel solfeggio ritmico?

U.R. : Ho notato negli anni che il classico approccio al solfeggio creava un ostacolo nella traduzione dei segni musicali nei corrispondenti suoni in termini di durata delle note. Come se ci fosse una frattura tra ciò che è scritto sullo spartito e ciò che realmente viene trasformato in suono. Il ritmo musicale nasce da un movimento, da un’alternanza di eventi in movimento, da un ordine che questi eventi assumono nello spazio e nel tempo. Ma questo spazio e questo tempo non possono essere astratti: debbono necessariamente avere a che fare con l’esperienza del corpo, di tutto il corpo. Il linguaggio parlato viene elaborato nella stessa area cerebrale che è deputata ai movimenti corporei. Per avvicinare un bambino o un adolescente alla lettura e all’esecuzione delle figure musicali, non si può partire da un approccio di tipo matematico e divisivo che sarà possibile affrontare solo successivamente ad una prima fase basata sull’esperienza di cose che al bambino piace fare: come scandire uno scioglilingua, una filastrocca, una storia ritmata e tradurre la parola in movimenti del corpo, come la marcia, il battito delle mani, la percussione sulle parti del corpo (body percussion).

M.: Lei collabora con Marcello Napoli nell’ambito dei corsi Orff. Quali sono le potenzialità di questa metodologia?

U.R.: Orff non scrisse nulla sul suo metodo ma ne lasciò il compito a Fritz Reusch, autore di Grundlagen und Ziele des Orffs-Schulwerks (“fondamenti e fini dello Schulwerk di Orff”) e a Wilhelm Keller, autore di Einfuhrung in “Musik fur Kinder” (Introduzione a “Musica per bambini”). Fritz Reusch descrive così la concezione educativa di Orff: «[…] Le premesse e i fini dello Schulwerk di Orff non possono essere convenientemente illustrati né dall’analisi musicale, né da paralleli storico-folkloristici degli stili musicali. […] Le fonti di esso risalgono all’origine e sono da considerare una forza di pura e indistruttibile genuinità. Si tratta di quella forza interiore […] che attraverso i secoli ha nutrito il canto, il gioco, la saggezza dei proverbi del nostro popolo, e che, anche se sembrava sepolta a causa di erronee forme di vita e di educazione, dovrà tornare ad agire. Le possibilità della pedagogia musicale del nostro tempo consistono quindi nel saper tornare indietro […] all’esperienza e alla conoscenza delle favole, delle saghe, delle canzoni infantili e popolari e ai loro valori indistruttibili […] E un aiuto essenziale in questa direzione è costituito indubbiamente dallo Schulwerk, perché nello Schulwerk, Orff è riuscito ad amalgamare l’elementare (ma non primitivo) mondo sonoro del bambino e quello del dilettante appassionato, che viene “pedagogicamente inquadrato” entro certe forme d’improvvisazione. […] La verità e l’importanza delle favole rimangono, per legge di natura, il retaggio del bambino, nonostante tutte le illuminazioni. […] Proprio nell’epoca della tecnica devono essere coltivate e mantenute nel fanciullo queste profonde ragioni se nell’età adulta non si vogliono riscontrare gravi disturbi psichici e nervosi. […] Le vecchie sentenze popolari, le antiche cantilene infantili (in tutte le culture, indietro fino alla saggezza dei cinesi) manterranno dunque sempre la loro importanza, poiché in esse il linguaggio viene costruito e interpretato partendo dagli elementi primitivi, il suono o la parola non si sono irrigiditi in lettere e vocaboli. Il ritmo e il suono vi hanno dato vita traducendo i movimenti mimici e gestuali in azioni del corpo. Ciò vale anzitutto per il canto-gioco e per il canto-danza. I giochi ritmati con parole e uniti a movimenti (percuotere un tamburo, cavalcare, mimare varie attività e mestieri) sciolgono la lingua e le membra attraverso il battere le mani e il pestare i piedi, e ottengono così quello che gli esercizi musicali cosiddetti “divertenti” spesso non riescono a conseguire: vera gioia ed entusiasmo».

M.: Nel libro “La batteria e la modulazione metrica nel jazz e nei linguaggi musicali moderni” che ha curato con Sergio di Natale (qui è possibile leggere un abstract) approfondite i cicli ritmico-melodici e la modulazione metrica nel jazz. Quali opportunità offre la pratica del jazz a scuola?

U.R.: Da qualche tempo in Italia il ciclo didattico musicale è stato completato con l’apertura dei Licei Musicali e Coreutici che si inseriscono nella parte centrale del percorso di studi che parte dalla Scuola Media ad Indirizzo Musicale dove attualmente lavoro fino all’alta formazione dei Conservatori di Musica che hanno subito negli ultimi 10 anni una riforma radicale. Purtroppo nella scuola media e nei Licei non è ancora previsto un percorso ufficiale di studio della musica jazz ma certamente si sta andando verso questa ulteriore modifica del curriculo scolastico. Per quanto mi riguarda ho previsto comunque una serie di unità di apprendimento che, sempre attraverso la mia metodologia “Se lo Parli, Lo suoni”, portino l’allievo alla pratica dell’improvvisazione ritmica che è un aspetto fondamentale della musica jazz. In questo caso le sequenze verbali possono fungere da “clavi” musicali, cioè da “chiavi ritmiche”, una sorta di mappe mnemoniche su cui suonare estemporaneamente figure ritmiche improvvisate.

Materiali PDF
Materiali audio
Materiali video

Ritmo e linguaggio