Considerazioni sulla didattica pianistica per bambini piccoli
E’ ormai abbastanza diffusa la convinzione che sia importante offrire ai bambini piccoli l’opportunità di fare esperienze musicali anche con l’approccio a vari strumenti, dalle percussioni, al violino, al pianoforte. Ovviamente nella pratica strumentale si devono affrontare varie problematiche che tengano conto sia dello sviluppo motorio, come delle capacità cognitive e anche del clima emotivo che si viene a creare nel triangolo bambino-insegnante-strumento.
Cristina Donnini, insegnante di pianoforte nelle scuole medie a indirizzo musicale, da anni è impegnata anche in attività didattiche rivolte ai bambini con progetti articolati, come ad es. “Sinfonia di Colori”, già presentato in Musicheria.net. Giovanna Pellai è insegnante di pianoforte e propedeutica pianistica. Recentemente Cristina e Giovanna hanno proposto alcune indicazioni di didattica del pianoforte rivolta ai bambini dai 3 ai 6 anni nella pubblicazione “Nel coloratissimo Pianomondo di Martulicchio“.
Cristina ha curato la parte del libro relativa alla favola, filo conduttore che accompagna il bambino alla scoperta delle note, i sette personaggi che il folletto Martulicchio incontrerà nel Pianomondo. Giovanna ha curato la parte musicale del libro, dall’approccio alla musica attraverso i primi elementi ritmici, alla scoperta vera e propria del pianoforte con i brani da far suonare al bambino e la musica e i testi della canzoni da cantare. Le illustrazioni sono di Jasmin Spinelli e le armonizzazioni e gli accompagnamenti di Tobia Pizzirani.
Abbiamo rivolto alcune domande a Cristina e Giovanna in merito alle problematiche della didattica pianistica rivolta ai piccoli.
Musicheria: Immagino che la vostra formazione musicale e pianistica abbia seguito il tradizionale iter decennale del Conservatorio. Quando e come nasce il vostro interesse per l’insegnamento e, in particolare, per la didattica rivolta ai bambini piccoli?
Cristina Donnini: Il mio interesse per l’insegnamento è nato proprio con la fine del mio percorso di studi decennale in conservatorio. In quegli anni, ai neo diplomati veniva data la possibilità di tenere i corsi di propedeutica strumentale all’interno dello stesso istituto musicale. Mi buttai subito con grande entusiasmo in questa prima esperienza di insegnamento, rendendomi ben presto conto di quanto fosse grande il divario fra ciò che avevo imparato fino a quel momento e il percorso che avrei dovuto intraprendere con i bambini. Ecco che è iniziato un lungo e approfondito lavoro di ricerca e “sperimentazione sul campo” che continua tutt’ora.
Giovanna Pellai: Non credo di aver scelto di fare l’insegnante, ma di essermi trovata in un cammino, e averlo proseguito. Da piccola non volevo studiare pianoforte, per me era una sofferenza. Era il desiderio di mio padre, non il mio. Inoltre erano ancora tempi in cui una bambina di 6 anni veniva inserita in un corso di solfeggio tradizionale, insieme a persone molto più grandi. Non capivo niente e pensavo di essere in grado di non capire; in realtà a 6 anni non si può capire il significato delle frazioni per capire il tempo musicale. Venivo presa in giro, persino dall’insegnante, di cui ancora oggi, a distanza di più di 40 anni, ricordo nome e cognome. Anche le scuole superiori sono state scelte da mio padre, e non da me. Avrei voluto fare il liceo artistico, non ragioneria, quindi alla fine il pianoforte è diventato il male minore. Già prima del diploma in pianoforte iniziai a interessarmi alla didattica, partecipando a corsi che mi aprirono una visione completamente diversa dell’approccio alla musica. Fortunatamente qualcuno aveva pensato alla didattica rivolta ai bambini! E da lì, la mia voglia di occuparmi dell’avvicinamento alla musica per i bimbi in maniera serena, giocosa, mai forzata. So cosa si prova ad avere un rifiuto per lo strumento, non volevo che capitasse ad altri bimbi. Ho avuto anche io nel mio percorso una fase in cui l’obiettivo era preparare l’allievo per i concorsi. Ma presto capi che non faceva per me, vedevo scene incredibili, di genitori e insegnanti ossessivi, bambini piccoli già stressati… sembrava che lo scopo primario fosse il risultato e iniziai a domandarmi se anche io preparavo i bimbi per i concorsi per dimostrare agli altri che ero brava, quando in realtà sentivo che questo non era ciò che mi interessava. Quindi tornai ad occuparmi di progetti didattici nelle scuole, e continuai a insegnare pianoforte per il piacere di guidare un bambino in un percorso e di vederlo crescere musicalmente.
M.: In base alla vostra esperienza cosa spinge i genitori a proporre ai bambini di “studiare” il pianoforte? Quali aspettative ci sono e quali aspetti problematici voi come insegnanti vi trovate ad affrontare nel rapporto coi genitori?
C.D.: sono diversi i motivi che spingono i genitori ad avvicinare i bambini al pianoforte. In molti casi lo fanno per realizzare un proprio desiderio infantile rimasto inespresso per vari motivi. In altri casi perchè riconoscono nello studio della musica, e di uno strumento in particolare, il mezzo per un accrescimento globale armonioso della personalità del bambino. In altri casi ancora perchè è il bambino stesso a chiedere ai genitori di avvicinarsi al pianoforte. Le aspettative sono in alcuni casi sono troppo alte, o forse sarebbe meglio dire non adeguate a quello che io ritengo debba essere il vero obiettivo di un percorso di avvicinamento alla musica, specie se in bambini molto piccoli. I genitori hanno quindi bisogno di essere a loro volta guidati in questo cammino, affinchè non interferiscano in maniera eccessiva e troppo invadente o non interferiscano affatto, limitandosi ad accompagnare il bambino a lezione, come se questa fosse semplicemente un modo per tenerlo impegnato.
G.P.: In effetti alcuni genitori possono essere un problema, e come tale va affrontato con fermezza, e chiarezza. Ho provato, e studiato anche in passato, metodi che prevedono la presenza del genitore a lezione, ma a me non piace la situazione che si crea. I bambini sono molto diversi quando sono presenti i genitori, e loro tendono a intervenire. “Dai, ascolta la Maestra”, oppure “Dai su forza, fai cosa dice la Maestra” per non parlare poi di quando rispondono per conto del bambino. Terribile e imbarazzante. Quindi preferisco che il rapporto sia bambino e insegnante, senza l’interferenza del genitore. E’ un rapporto di fiducia che si deve costruire con amore, con pazienza, con intelligenza anche e molta empatia. Per quanto riguarda le aspettative, io chiarisco subito che il mio ruolo non è quello di creare piccoli pianisti ammaestrati, ma di avvicinare i bambini al meraviglioso mondo della musica attraverso il pianoforte, seguendo i loro tempi, lavorando insieme, in armonia alla scoperta di un nuovo linguaggio. I genitori possono decidere di provare con me accogliendo la mia visione del percorso, o possono scegliere di rivolgersi ad altri insegnanti con finalità diverse e più competitive. L’importante che ci sia chiarezza.
M.: Il vostro libro “Nel coloratissimo Pianomondo di Martulicchio” ha come sottotitolo “Viaggio fantastico di avvicinamento alla musica attraverso il pianoforte”. Dobbiamo intendere quindi che “suonare il pianoforte” non è il fine, ma un mezzo per una formazione più globale?
C.D.: Questa domanda esprime appieno quello che è il mio pensiero. Lo studio del pianoforte è il mezzo per arrivare ad una formazione globale della personalità del bambino. Non a caso in questi libri abbiamo toccato aspetti diversi del sapere e del saper fare, sempre passando da un approccio ludico: il canto, il suonare, la ritmica, il disegno, l’invenzione. La musica e la narrazione permetteranno poi al bambino di entrare in contatto con il proprio mondo emotivo, di accrescere la capacità di esprimere le proprie emozioni, di imparare ad ascoltare, a concentrarsi, a trovare nuovi canali comunicativi.
G.P.: Assolutamente si! Il pianoforte è uno dei mezzi che abbiamo a disposizione per scoprire il meraviglioso mondo della musica! Stiamo parlando di bambini molto piccoli ancora, che hanno tutto il tempo davanti a loro, di decidere, un domani quando saranno più grandi, di studiare lo strumento. Lo scopo, sopratutto in questa fascia di età così delicata, non è creare piccoli pianisti da esibire, ma di sviluppare in loro la curiosità musicale, l’attenzione all’ascolto, un primo approccio ritmico attraverso la conoscenza del loro corpo, attraverso il canto, le filastrocche e anche un primo approccio alla notazione musicale.
M.: Nel libro sono contenute anche attività e proposte per l’uso della notazione tradizionale. I bambini tra i 3 e i 5 anni hanno la capacità di comprendere e usare i simboli delle note e del pentagramma?
C.D.: La notazione tradizionale è utilizzata in questi libri in maniera “flessibile”, così come tutte le attività proposte. Per la prima volta in un metodo di pianoforte abbiamo sottolineato l’importanza di svincolarsi dalla centralità del do, di non fissare la mano in un’unica posizione statica, di imparare contemporaneamente le note in chiave di violino e basso. Infatti, a dispetto della giovanissima età, i bambini sono in grado di imparare in maniera del tutto naturale qualsiasi linguaggio, se immersi in un ambiente che sappia rafforzare e valorizzare le loro esperienze musicali. Da qui la necessità di intraprendere questo viaggio affiancati non solo dall’insegnante ma anche da uno o entrambi i genitori, per condividere e consolidare gli apprendimenti anche più complessi.
G.P.: La consapevolezza del pentagramma, quindi la notazione tradizionale, nel nostro metodo, non è lo scopo primario. Ci sono i colori, che guidano i bambini nella memorizzazione delle note, e anche i personaggi della favola che introducono le note. Lo squalo Milo, il pappagallo LAllo… Sarà la sensibilità e l’intuito dell’insegnate capire se è il momento di porre attenzione anche al pentagramma o meno. I bambini sono diversi l’uno dall’altro, hanno tempi diversi, età diverse. Siamo noi che dobbiamo entrare nel loro mondo, non per forza loro nel nostro. Anche lo spaziare sulla tastiera, la conoscenza specifica di ogni singolo tasto può essere facilitata con l’uso di piccole etichette colorate, o di pupazzetti (in un grande negozio famoso ci sono i burattini da mettere alla dita, che hanno tutti i personaggi del nostro metodo) che possono essere appoggiati sul tasto. Insomma, un po’ di fantasia, e soprattutto attenzione al bambino, ai suoi tempi e alla sua personalità.
M.: Voi date anche dei suggerimenti per i genitori. Quanto è importante e come si configura la loro collaborazione nel percorso di apprendimento dei bambini.
C.D.: Come accennato in risposta alla precedente domanda è fondamentale il ruolo dei genitori in questo percorso musicale! La condivisione del “viaggio” con i bambini rafforza non solo gli apprendimenti e le competenze acquisite, ma anche e soprattutto il legame con il nuovo mondo che il bambino si appresta a scoprire. E’ importante coinvolgerli fin da subito e far capire quanto è essenziale il loro sostegno e aiuto nei confronti di ciò che i bambini stanno facendo, ovvero un viaggio fantastico nel mondo della musica.
Il genitore ha un ruolo di supporto, di vicinanza, di partecipazione. Sopratutto a casa, rileggendo la favola, imparando con il bambino le filastrocche da poter dire insieme in qualsiasi momento della giornata. Ascoltare i ricordi del bambino, relativi a quando è successo a lezione. Mantenere viva la sua curiosità. Colorare con il bambino i disegni presenti nel libro. E invitarlo a suonare le canzoncine al pianoforte. Nasce una bellissima collaborazione quando entrambi, genitore e insegnante, lavoriamo insieme per la crescita del bimbo, in questo caso, attraverso la musica.