Tra concentrazione, multitasking e copia-incolla
Circa un mese fa mi sono trovato a mangiare in una trattoria di Cortona e lì, sulla parete che avevo dietro alla mia schiena, notai questa bella foto di vecchi tempi, o meglio caratteristica del periodo in cui da bambino frequentavo i primi anni della scuola elementare.
In breve, ho chiesto il permesso al proprietario del locale di poterla fotografare e lui, con la vivace e spiritosa gentilezza toscana e con evidente orgoglio, m’ha “aspirato” un bel Sì mostrando tutto il piacere di chi godeva del fatto che, finalmente, un suo cliente, s’era interessato a quella vecchia foto a cavallo fra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
Quella sera, ripartendo per tornare a casa, preso giustamente dall’attenzione dovuta alla guida dell’auto, persi quasi il ricordo di questa foto che oggi ho ritrovato fra la galleria delle immagini presenti nel mio smartphone. L’ho quindi guardata e riguardata con tanto amore e altrettanta attenzione. Quei due maschietti lì, quel biondino e quel morettino, in primo piano sullo stesso banco, per me sono l’immagine della spontaneità e della naturalezza più viva e ancor più sincera.
Li analizzo ora separatamente.
Il biondino
Il capo del giovane biondino, quello davanti al nostro sguardo, è rivolto un verso l’alto a sinistra mentre ha gli occhi alzati verso la palpebra superiore, quasi a volerli nascondere sotto questa, in modo da “fuggire” dalla normale visione rettilinea per poter attivare al meglio tutte le sue potenzialità attentive; insomma, quel bambino sta istintivamente assumendo una più che classica postura generale del volto e degli occhi che ci permette di “leggere” tutto il suo serio impegno per cercare di risolvere il problema che poi dovrà scrivere col gessetto sulla piccola e amata lavagnetta d’ardesia. Ed è proprio questa sua postura generale che mi meraviglia, perché è bella sincera, presa, coinvolta, attenta. È la chiara sintesi di quel modo di stare di chi sta facendo di tutto per “spremere” le proprie meningi, per ottenere il massimo della concentrazione, per conquistare finalmente un pensiero, un ragionamento più o meno organizzato, ma di sicuro tutto frutto del suo giovane e unico intelletto.
Questa bella postura, la si assume specialmente quando ci si vuole concentrare su un punto, su un unico centro, per non essere distolti da altri pensieri, altre visioni, altri ragionamenti: tutto quello che si deve risolvere è in quell’unico punto-centro che rifugge dal volersi mettere in posizioni mentali eccentriche, (dal tardo latino eccentrus, proveniente dal greco ἔκκεντρος, composto da ἐκ «fuori da» e κέντρον «centro»). In altri termini quel biondino sta “accendendo” il suo cervello per risolvere un problema e dunque non si fa distogliere dalle molte distrazioni che oggi avrebbe potuto incontrare sviluppando nello stesso momento più operazioni o attività che definiamo con il termine inglese multitasking.
Ora, senza volermi porre nella posizione del critico che vuol togliere il valore al nuovo per continuare a esaltare il vecchio, non posso fare a meno però di notare che nelle scuole d’oggi, ma anche in altri luoghi del sociale, questa postura di concentrazione è sempre più raramente osservabile e, dunque, se dovessimo parlare di intelligenza plastica, o multipla, di capacità mentale eclettica, dovremmo anche aggiungere che sarebbe bene che le giovani generazioni recuperassero, specialmente a scuola, anche questa “antica” dote della concentrazione pura, naturalmente da praticare accanto alle condotte multitasking. E questo lo affermo anche in virtù dell’antico passo latino in medio stat virtus, intendendo con il termine medio il luogo in cui possono incontrarsi le diversità intellettuali, fondersi e con-fondersi, al contrario delle posture eccentriche che stanno ai confini mentali di un centro in cui si possono incontrare le varie direzioni del pensare, del ragionare del porgere al centro le possibili atti azioni dell’intelletto umano.
Il morettino
Prima di tutto riguardiamo la foto con calma concentrandoci sulla postura del giovane morettino.
Quel suo bel volto in direzione del piano del banco alla sua sinistra, quei suoi occhi rivolti in basso verso la lavagnetta del suo compagno, quel suo ditino della mano sinistra sulle labbra quasi a volersi nascondere, è l’immagine della timore che qualcuno possa scoprirlo, e naturalmente della vergogna che prova nel sapere di essere sfruttatore del pensiero e della mente altrui.
La sua postura ci avverte con limpida chiarezza che sa di copiare e che, nello stesso momento, è il primo a viverne l’umiliazione perché è cosciente del suo “furto”. Eppure non possiamo fare a meno di notare che in tutto questo comportamento, il nostro ragazzino, è molto dignitoso perché tradisce sia tutta la sua colpa (se possiamo definirla così, rispetto alle colpe ben più pesanti che certi studenti di oggi ci dimostrano con le loro pratiche aggressive, irresponsabili e illegali nelle forme più sfacciate) e sia tutto il suo essere cosciente dell’errore che sta compiendo, e dei limiti delle sue potenzialità intellettive richieste da quel compito specifico. Insomma è disarmato e quindi cerca di difendersi a modo suo, come può, ma nella piena responsabilità che la sua postura totale ci trasmette.
E di fronte a questo suo volto non posso fare altro che mostrare un grande riguardo, un grande rispetto: la sua debolezza, il suo essere cosciente del limite cognitivo, il suo timore, la sua paura sono stampate in quell’attimo sul suo volto, ed io, quel volto, lo voglio rispettare proprio perché istintivamente il morettino non nasconde nulla, fa tutto alla luce del sole, e si sente pure molto lontano dal suo compagno di banco che è chiuso in sé stesso, lontano, al centro dei suoi pensieri. Il biondino è “stretto” dai suoi ragionamenti, il morettino è aperto al suo limite e alla sua azione scorretta che non riesce assolutamente a nascondere.
Va anche detto che a quei tempi non si promuoveva una condotta di comunicazione-cooperativa, dove chi aveva di più lo doveva condividere con l’altro e così aiutarsi a crescere assieme tanto sul piano cognitivo quanto su quello relazionale-formativo e affettivo.
E dunque, con gli occhi di oggi, come faccio a non provare tenerezza per quel piccolo “ladruncolo” che cerca di rubare, con palese delicatezza, qualche tratto del lavoro mentale del suo compagno? E ancor maggiormente, oggi più che mai, mi sento di rispettare quel morettino che non sapeva nulla del futuro abuso del copia-incolla digitale che avrebbero praticato tutti gli alunni e studenti senza per questo assumere alcuna coscienza nei confronti di un senso di colpa per “rubare” senza qualità e quantità tutto ciò che oggi il web offre.
Ecco perché quel più che onorevole senso di colpa del nostro piccolo morettino deve essere, oggi, ancor più da rispettare nei confronti di una cultura scolastica che ha ammesso il furto delle menti e del lavoro altrui, solo perché quel copy and past, quel copia e incolla è un termine che con la parola furto non ha nulla in comune, quando invece nella dignità corporea del giovane morettino era una azione vissuta come colpevole, perché quello che avrebbe copiato sapeva benissimo che non era “farina del suo sacco”.
La scuola già da tempo ha promosso e promuove ancora questo che con il suo vero nome sarebbe da definire “furto legalizzato”, e che invece dietro alla pratica del copia e incolla si nasconde non solo la pigrizia mentale, ma pure la totale assenza di responsabilità di ciò che gli studenti di ogni ordine scolastico stanno quotidianamente facendo.
Ecco perché la foto di quei due bellissimi bambini mi ha colpito quella sera a cena, e l’ho “copiata” e “incollata” sul mio cellulare perché ritenevo giusto che il mio “furto” dovesse permettere di valorizzare quei due volti di bambini senza nome. Ed è per questo che ora ritengo che sarebbe più che giusto farla vedere e farla analizzare ai nostri “moderni” alunni e studenti, perché se quel biondino è l’esempio del piacere e dell’estasi della concentrazione, quel morettino è l’esempio dell’umiltà di chi sa di essere cosciente di compiere un’azione scorretta, non tanto per gli altri ma per se stesso, per aver in quel momento scelto di impigrire i suoi veri potenziali intellettuali.
Quella foto, per me, è oggi molto attuale perché credo che ci voglia avvertire quanto la pigrizia mentale e l’assenza di una sincera coscienza di responsabilità regnino nell’indifferenza totale e senza, purtroppo, alcuna traccia di quella dignità colpevole invece presente nel volto del nostro piccolo bambino dai capelli neri.