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Canto e musica popolare: roba d’altri tempi?

La Redazione

Intervista a Ilaria Savini del gruppo Vincanto

 

La musica e il canto popolare costituiscono un repertorio interessante anche per l’educazione musicale. Questo repertorio è praticato da diversi anni dal gruppo musicale Vincanto, formato da Ilaria Savini, Simone Faraoni e Alessandro Cei (https://vincantomusica.it/).
Abbiamo rivolto alcune domande a Ilaria Savini in merito sia al lavoro di ricerca e di riproposizione delle musiche di tradizione orale, sia alle loro esperienze di proposta di questi repertori in varie scuole.

Musicheria: Innanzitutto puoi raccontare brevemente la storia del vostro gruppo è come è nata la vostra passione per il canto e le musiche popolari?

Ilaria Savini: I Vincanto sono nati come gruppo nel marzo del 2003, ci piace ricordarlo e infatti abbiamo festeggiato il nostro quindicesimo compleanno con una grande festa ad Empoli nel marzo del 2018: musica non stop dalle 16:00 all’una di notte, gruppi da tutta Italia e una cena con più di 400 persone. Quando abbiamo cominciato eravamo in quattro (c’era anche Elena Ulivieri) e in quattro avevamo 86 anni, ma già con una buona esperienza: io studiavo canto lirico già da diversi anni e avevo anche altri progetti musicali (ad esempio cantavo da dieci anni in un coro, avevo cantato in una band rock e poi stavo portando avanti un lavoro di musica elettronica con brani originali), Simone aveva già quasi finito il conservatorio (si è poi diplomato con il massimo dei voti nel 2006) e anche Alessandro ed Elena avevano già avuto varie esperienze, benché nessuno di noi si fosse mai occupato di musica popolare.
Il gruppo nacque prima di tutto dalla nostra amicizia e dalla passione per la musica popolare italiana in generale e toscana in particolare (in casa mia c’erano molti dischi di Caterina Bueno, Dodi Moscati ed altri che avevo ascoltato fin da piccola e che avevo riscoperto in quel periodo, condividendoli con gli amici), ma anche dalla voglia di dire qualcosa sul presente: ci sembrava che molte canzoni fossero di una attualità sconvolgente (e oggi non lo sono certo di meno, purtroppo). All’inizio eravamo sicuramente poco consapevoli di quello stavamo facendo, ma da subito il gruppo ha avuto dei riscontri molto positivi: alla fine di ogni concerto c’era sempre qualcuno che ci invitava a suonare da qualche altra parte, probabilmente perché eravamo giovani, pieni di entusiasmo e amore per quello che stavamo facendo. Ci divertivamo tantissimo e per fortuna non abbiamo mai smesso di divertirci anche quando siamo diventati più esperti e professionali. In più di sedici anni di attività abbiamo avuto la possibilità fare centinaia di concerti in giro per l’Italia e all’estero, di conoscere tantissime persone (da quelle che hanno scritto la storia della musica popolare italiana a semplici appassionati, nonché matti di ogni tipo), di organizzare festival, seminari e concerti, di registrare un paio di dischi, di realizzare un paio di dvd, di collaborare con tanti artisti, di fare laboratori per bambini, adolescenti e adulti, di partecipare con le nostre musiche a molti spettacoli teatrali, ma soprattutto di studiare e definire sempre più precisamente lo stile nella riproposta che oggi ci caratterizza, dove le voci sono sicuramente in primo piano.

M.: Lo scorso anno hai sostenuto la tua tesi di laurea all’università di Pisa su “La musica popolare italiana tra arte e politica”, analizzando a fondo l’opera di vari gruppi, come Il nuovo canzoniere Italiano, e di vari protagonisti quali Roberto Leydi, Gianni Bosio, Sandra Mantovani, Giovanna Marini. Ritieni che la musica popolare sia ancora viva e sia una componente importante della cultura musicale di oggi?

I.S.: Quando mi fanno questa domanda mi viene sempre in mente una famosa intervista a Bob Dylan nella quale lui dice “Nessuno riuscirà a uccidere la musica tradizionale…Queste canzoni parlano di rose che spuntano dal cervello delle persone e amanti che sono oche e cigni che si trasformano in angeli. La musica tradizionale è troppo irreale per morire”. La musica popolare è qualcosa che si pensa stia sempre per morire ma che in realtà continua ad essere parte della vita delle persone e del loro immaginario più di quanto non si creda. La musica popolare è viva proprio perché si trasforma, in barba a chi la vorrebbe mettere sotto una teca di vetro per cristallizzarla in uno dei suoi molteplici stadi; bisogna solo sapere dove cercarla e soprattutto sapere cosa cercare. O forse no: forse bisogna smettere di cercarla e accettare di incontrarla per caso, come se ci venisse a cercare lei, cosa che puntualmente succede, ed essere quindi solo pronti a riconoscerla.
Ad ogni modo a me sembra che ci siano sempre più persone in Italia che si interessano di musica di tradizione orale. Le facoltà di etnomusicologia sono aumentate e ci sono molte più persone consapevoli e preparate su questi argomenti; le occasioni in cui si può sentire suonare musica popolare non mancano e ci sono moltissimi gruppi musicali, anche giovani, che si avvicinano a questa musica, “revivalizzandola” (ma era mai morta?) nei modi più disparati (come è giusto che sia) e spesso tentando di fare lo sforzo di approfondire anche a livello teorico per capire cosa stanno facendo.
In più secondo me è degno di nota il fenomeno dell’incremento dei cori popolari in Italia (e non solo). Negli ultimi anni stanno nascendo decine di cori popolari che a loro volta contribuiscono a creare momenti di incontro, organizzare seminari di approfondimento, coinvolgere sempre più pubblico. Questo fenomeno credo sia anche la conseguenza dell’immenso lavoro di didattica che ha svolto per anni e svolge tuttora Giovanna Marini, gli allievi della quale sono ormai alla terza generazione (cioè insegnano gli allievi degli allievi) e conservano sempre in modo molto evidente l’imprinting della grande musicista. Questa realtà dei cori mi piace particolarmente perché credo risponda anche a un’esigenza di aggregazione sociale in una società dove siamo sempre più dispersi e soli. Chi sceglie di far parte di un coro popolare inoltre spesso lo fa non solo perché ama questa musica o per conoscere nuovi amici, ma anche per dare un messaggio, dato che molte canzoni riescono ad essere ancora dolentemente attuali, affrontando temi come l’emigrazione, la guerra, lo sfruttamento sul lavoro, la ricerca di una maggiore giustizia sociale, la lotta per una società dove nessuno sia lasciato indietro.

M.: Con i Vincanto svolgete anche attività didattica nelle scuole. Che tipo di repertorio proponete e come accolgono i ragazzi le vostre proposte?

I.S.: Abbiamo iniziato a lavorare con i bambini delle scuole primarie nel 2007 e da allora abbiamo avuto modo di incontrarne moltissimi. La nostra proposta base prevede un laboratorio sui canti popolari italiani divisi un po’ per temi; nelle scuole dove prendiamo tutte le classi dalla prima alla quinta, ad esempio, proponiamo canti diversi a seconda dell’età, lavorando in prima e in seconda sui repertori infantili popolari e nelle altre classi su dei temi come “le storie cantate”, “la donna”, “il viaggio”, “le regioni italiane”, provando anche a cercare agganci con i programmi delle altre materie, quando è possibile. Cerchiamo sempre in primo luogo di aiutare i bambini a comprendere i testi, riflettendo insieme a loro e arrivando anche a ricostruire il contesto dove queste canzoni nascevano che era naturalmente molto diverso da quello dove vivono loro. Lavoriamo molto sulla vocalità dei bambini con giochi di vario tipo e insegnando le canzoni prima per imitazione, oralmente, anche perché si tratta di repertori che sono giunti a noi appunto tramandati oralmente. Al lavoro sulla voce affianchiamo anche degli esercizi di prima lettura, un po’ di lavoro ritmico usando le body percussion e, quando è possibile, anche un lavoro sul movimento usando alcune semplici danze popolari. Le canzoni popolari sono molto adatte per la didattica perché sono generalmente abbastanza semplici ma mai banali, si prestano ad essere smontate e rimontate, reinventate, disegnate…ci si possono fare un sacco di cose.
Abbiamo anche scritto due spettacoli da fare con i bambini, utilizzati in diverse occasioni: uno ispirato alla fiaba popolare “L’uccel belverde” nella trascrizione di Italo Calvino e uno su una leggenda legata a un luogo di San Miniato chiamato Fonte alle Fate. Le storie in questo caso erano “la scusa” per tenere insieme con un filo narrativo cori parlati, gesti, canzoni o pezzi di canzoni.
I bambini in genere apprezzano moltissimo le canzoni popolari, si divertono ad impararle e se ne appropriano: spesso i genitori o le maestre ci raccontano che le ricantano a scuola in altri momenti o a casa. Questo vale soprattutto per i repertori specificamente infantili, anche nel caso dei bambini più grandi. In fondo se queste canzoni sono arrivate fino a noi è perché sono state selezionate da generazioni e generazioni di bambini e i bambini di oggi forse non sono poi così diversi dai bambini di ieri. Ormai alcuni dei “nostri” bambini sono già grandi: qualche tempo fa a Simone è capitato di incontrare un ragazzo di diciotto anni che aveva fatto un laboratorio con noi quando era in quinta elementare e si ricordava ancora le canzoni!
Ultimamente dopo tanti anni abbiamo un po’ ridotto le nostre attività di laboratori nelle scuole, lavorando generalmente da soli e non come gruppo, ma abbiamo avuto il piacere di fare in diverse occasioni formazione a docenti delle scuole primarie condividendo le nostre esperienze, le nostre metodologie e i repertori che usiamo.

M.: Con Simone Faraoni dirigi anche diversi cori di ragazzi e giovani. Quali sono gli aspetti più problematici che incontrate nell’educazione vocale e corale?

I.S.: Penso che in Italia non ci sia una grande cultura del canto corale. Nelle scuole di musica, ad esempio, è di solito abbastanza difficile riuscire a dare vita ad un coro perché la domanda è in genere più orientata verso lo studio degli strumenti o, a limite, verso la lezione di canto individuale. Il coro viene purtroppo spesso visto un po’ come una attività “di serie b” e questo è un vero peccato perché invece è veramente un bellissimo modo per fare musica e per stare insieme agli altri. Sicuramente tutti i cantanti e gli strumentisti dovrebbero cantare in coro ma non solo loro…cantare in coro penso faccia bene un po’ a tutti. Io e Simone (che tra l’altro è oltre che in pianoforte è anche diplomato in direzione di coro presso la scuola superiore di specializzazione di Arezzo) lavoriamo sia separatamente che insieme con gruppi di diverse età, affrontando repertori di vario genere e siamo sempre contenti quando scopriamo l’esistenza di un coro nuovo perché ci piacerebbe che ci fosse almeno un coro per ogni persona (molti nostri coristi cantano in più di un coro!). Nel nostro piccolo, come Vincanto o collaborando con varie altre realtà, cerchiamo di promuovere la cultura del canto corale, proponendo in particolare un modello il più possibile inclusivo e mai competitivo.
Certamente aiuterebbe molto una maggiore sensibilità da parte delle istituzioni soprattutto nel promuovere e sostenere progetti di canto corale di buona qualità nelle scuole e fuori dalle scuole. Spesso chi ha cantato in un coro da bambino è potenzialmente più interessato a ripetere l’esperienza anche da adolescente o adulto, quindi penso sarebbe importante iniziare a sostenere i cori rivolti alle fasce d’età più basse per poi però dare l’opportunità di poter accedere ad altri percorsi adeguati in ogni fascia d’età. Ci vorrebbe insomma un po’ di progettualità, la capacità di pensare un percorso di ampio respiro e non solo tanti progetti slegati fra di loro (e spesso non ci sono nemmeno quelli). Forse sono un po’ esagerata, ma sono convinta che vivere in una città con tanti cori (e tanta musica) potrebbe aiutare le persone a diventare cittadini migliori e, in definitiva, a vivere meglio ed essere più felici.

Terminiamo proponendo un brano tratto dal repertorio dei Vincanto

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