Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

La musica “tradizionale” in conservatorio

Riccardo Tesi

Intervista a Riccardo Tesi

In un recente post su Facebook Riccardo Tesi ha scritto: «Una piccola rivoluzione nei Conservatori italiani: entra la musica tradizionale. Sulla scia del jazz e della popular music anche la musica tradizionale entra ufficialmente in conservatorio! Esiste finalmente in Calabria, presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Tchaikovsky” di Nocera Terinese (Cz), (l’unico per il momento in Italia) la possibilità di diplomarsi in strumenti tradizionali conseguendo un titolo accademico identico a quello di pianoforte o violino, sotto la guida di insegnanti di primissimo livello.
Una scommessa culturale, d’altronde già vinta nei Conservatori del resto d’Europa, ma anche una prospettiva nuova per migliaia di giovani che già praticano con entusiasmo questa musica. Ad essi in primo luogo si offre la possibilità di trasformare una passione in una professione, attraverso una formazione completa, che apre a diversi sbocchi possibili. Un riconoscimento prestigioso per le musiche tradizionali e per la world music che hanno ormai uno spazio sempre più importante nella scena musicale attuale».

Notizie sul piano di studi si possono trovare sul sito del Tchaikovsky.

Riccardo Tesi, che insegnerà organetto diatonico, è compositore, strumentista, ricercatore che dagli anni ’70 del secolo scorso si dedica alla musica di tradizione orale, ma non solo, attivando collaborazioni con musicisti di tutto il mondo nell’ambito di vari generi musicali. Dal 1980 si dedica all’insegnamento e alla ricerca di una pedagogia adeguata agli strumenti popolari ed in particolare all’organetto diatonico, per il quale è autore, insieme a Roberto Tombesi, del primo manuale italiano consacrato a questo strumento, il metodo intitolato “L’organetto diatonico” edito da Berbèn. Attualmente è insegnante stabile presso l’Istituto ed inoltre tiene regolarmente stage di organetto e musica d’insieme in Italia e all’estero. Nel 2016 è uscito la biografia scritta dal giornalista Neri Pollastri “Riccardo Tesi: una vita a bottoni”, edizioni Squilibri, con CD antologico allegato. La sua biografia e la sua produzione è consultabile sul sito http://www.riccardotesi.com.
Lo ringraziamo per aver accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

Musicheria: Considerato che per l’anno accademico 2020-21 le lezioni si svolgeranno on line, ci sembra una bella sfida didattica, pensando soprattutto agli strumenti della tradizione popolare. Come pensate di affrontarla?

Riccardo Tesi: La didattica on line ormai è una realtà obbligata in tempi di covid ma bisogna fare di necessità virtù. Forse non vale per tutti gli strumenti ma nel caso dell’organetto diatonico (ma anche per quanto riguarda la chitarra battente o il tamburello) funziona abbastanza bene e può tranquillamente sostituire la didattica in presenza. Inoltre questo permette anche a chi abita molto lontano o addirittura all’estero di poter seguire il percorso accademico.
Nel caso degli strumenti classici ci sono talmente tante possibilità di studio sul territorio nazionale mentre nel nostro caso, essendo in Calabria ed essendo l’unico Conservatorio che rilascia un diploma accademico di primo livello equiparato ad una laurea universitaria triennale (corrispondente alla classe di laurea L03 vecchio DAMS per intenderci) la distanza taglierebbe fuori un gran numero di studenti.
Però non rinunciamo in toto alla didattica in presenza per cui sono previste almeno due masterclass di due /tre giorni in cui gli studenti di tutti gli strumenti popolari faranno una full immersion con i propri insegnanti con lezioni teoriche e pratiche.

M.: La musica “tradizionale” è di mentalità e trasmissione orale. Come pensate di organizzare metodologicamente la didattica sui repertori orali in un’istituzione come il conservatorio, che di norma s’interessa soprattutto, se non esclusivamente, di musica scritta?

R.T.: Il sistema di trasmissione orale è fondamentale per questo tipo di musica ed è uno strumento eccezionale per sviluppare l’orecchio e la memoria musicale. Proprio per le sue valenze didattiche durante le lezioni utilizzo anche questo sistema.
Però dobbiamo ricordarci che il contesto non è quello tradizionale con i suoi meccanismi di trasmissione per cui integriamo la didattica con lo studio della notazione classica, siamo in un conservatorio e stiamo preparando musicisti che opereranno in un contesto in cui la conoscenza della teoria musicale è fondamentale.
Inoltre c’è un’importante considerazione da fare. Il movimento del Folk Revival a partire dalla fine degli anni settanta ha riscoperto gli strumenti popolari come la ghironda, il tamburello, la lira, la zampogna, l’organetto ecc. Da quel momento accanto alla pratica tradizionale di tradizione orale, legata alla vita di comunità di aree dove la rivoluzione industriale non ha ancora spazzato via la cultura agropastorale, dove i musicisti popolari ancora svolgono il loro ruolo e dove il repertorio musicale e coreutico è ancora in funzione e condiviso (centro-sud Italia e Sardegna ), si è affermata la pratica revivalistica.
La prima grande differenza tra le due pratiche è che non si tratta, in questo caso, di musicisti popolari (per estrazione culturale, formazione e funzione), ma di musicisti di cultura urbana che si avvicinano a questi strumenti per passione o per professione. Anche l’area di diffusione della pratica revivalistica si differenzia da quella tradizionale diffondendosi nelle grandi città del centro-nord. In questi casi la pedagogia, svolta spesso in situazione di workshops collettivi, si è adeguata e ha integrato la trasmissione orale con la scrittura classica o l’utilizzo delle tablature.
Infine il repertorio è cambiato integrando tutto il repertorio tradizionale con quello del bal folk europeo per approdare infine alla composizione originale, con importanti innovazioni della tecnica esecutiva ed anche dell’organologia degli strumenti per cui dal due file/otto bassi tradizionale si è passati in alcuni casi a modelli più evoluti (fino al tre file 18 bassi) che permettono più possibilità armonico/melodiche.
Da questo momento gli strumenti popolari hanno una nuova “vita” inserendosi nel panorama della musica contemporanea come strumenti tout-court e dialogando con jazz, rock, canzone d’autore, ecc.
Come Conservatorio riteniamo opportuno avere un piede nel passato ma l’altro nel futuro, per cui lo studio del repertorio tradizionale viene integrato con lo studio del repertorio contemporaneo dello strumento popolare.

M.: Nel piano di studi predisposto sono previsti rapporti di collaborazione con i ricercatori e i musicisti “tradizionali” attivi nel territorio dove si trova l’Istituto Tchaikovsky?

R.T.: Visto e considerato che la Calabria è un’isola felice per la musica tradizionale il contatto con i suonatori tradizionali esiste già, però c’è un corso importante di etnomusicologia tenuto da Danilo Gatto che credo sia uno dei più profondi conoscitori della musica tradizionale calabrese sia come musicista che come studioso. E’ un corso importantissimo perché gli studenti abbiano coscienza di quello che significa studiare uno strumento popolare.
Inoltre abbiamo attivato un corso di musica d’insieme che definirei di world music (concetto molto più ampio di folk) dove gli strumenti popolari dialogano con piano, basso, batteria, etc. in una musica che parte dalla tradizione ma si apre alla contemporaneità! L’Orchestra Popolare del Mediterraneo che è nata da questa esperienza ha già suonato in pubblico con grande successo ed è una scommessa del Conservatorio.
A questo proposito voglio ringraziare tutto lo staff del Conservatorio e il suo direttore Filippo Arlia, giovanissimo pianista e direttore d’orchestra, per la grande apertura mentale che lo ha portato ad inventare ed investire su questo Dipartimento di Musiche Tradizionali, un’operazione culturale che ci mette alla pari con altri paesi europei ma che ancora non è per niente scontata!
Grazie anche all’insegnante di fisarmonica e bandoneon Antonio Spaccarotella che ha fatto da apripista e motivatore.

M.: Nella tua lunga esperienza anche in giro per il mondo hai sicuramente incontrato bambini e giovani. Ritieni che i contenuti, le forme, i messaggi della tua musica abbiano presa su questo particolare pubblico?

R.T.: Assolutamente si! Spesso mi sono chiesto il perché le melodie tradizionali abbiano attraversato i secoli e siano sopravvissute affidandosi solo alla fragile trasmissione orale. La risposta che mi sono dato è che siano melodie archetipiche, che parlano alla gente. E questo lo si vede proprio dalle reazioni primarie che proprio i bambini hanno nei confronti di questa musica. Poi purtroppo subentra la televisione che impone altri modelli con mezzi molto più potenti e allora in questo caso la battaglia è persa perché i valori extramusicali hanno la meglio.
Però sono rimasto sorpreso come in Calabria, invece, suonare l’organetto abbia ancora un valore sociale importante e quanti ragazzi giovanissimi si avvicinino allo strumento. Il livello tecnico è davvero impressionante, una sorta di eden per un insegnante.

M.: A un insegnante che abbia voglia di far conoscere ai ragazzi di scuola primaria e secondaria la musica di tradizione orale, quali suggerimenti daresti?

R.T.: In Francia esiste un’organizzazione JMF (Jeunesse Musicale de France) che organizza tournee nelle scuole, dalle primarie in poi, con spettacoli costruiti appositamente per il pubblico giovanile in cui musicisti di varia estrazione (classica, jazz, canzone, world, contemporanea …) presentano il loro repertorio. Tutto questo prevede un coordinamento con gli insegnanti che prima del concerto preparano le classi all’ascolto.
Ho fatto l’esperienza in passato di due lunghissime tournée ed è stata un’esperienza indimenticabile.
La ricaduta di una tale operazione è importantissima perché prima di tutto gli studenti imparano una cosa che si dà per scontata ma non lo è: come si assiste ad un concerto. Poi con l’esperienza diretta imparano ad apprezzare le varie musiche e diventeranno il pubblico di domani.
In ogni caso credo sia importante inserire anche la musica popolare nella didattica istituzionale proprio per quel discorso che facevo prima sull’archetipo, e poi anche perché veicola una memoria che non dobbiamo dimenticare perché parla di noi.

M.: Di tutte le tue produzioni (composizioni per orchestra, musica per il teatro, colonne sonore di film, musiche per spettacoli, dischi) ce ne segnali qualcuna di quelle a cui sei più affezionato?

R.T.: Impossibile scegliere tra i propri figli, ogni cosa mi appartiene e mi piace per differenti ragioni. Uno spettacolo e disco a cui sono molto affezionato però è Acqua Foco e Vento, dedicato alla musica tradizionale della mia città Pistoia. E’ stato una sorta di psicoanalisi musicale che mi ha molto riavvicinato alle mie radici.

Vuoi leggere l'articolo completo? Effettua il login

Materiali PDF
Materiali audio
Materiali video

Acqua Foco e Vento