Alcune idee per condurre esperienze di esplorazione e improvvisazione vocale
Quanto è importante negli incontri con la musica, pensando soprattutto a bimbi e bimbe piccoli/e, proporre un uso della voce che nasca innanzitutto da intenzioni e motivazioni espressive, soggettive, come traccia vocale personale, al di qua di quello che consideriamo tradizionalmente “canto”?
Quanto pensiamo ad una presenza della voce espressiva, libera, non ancora rinchiusa dentro ai confini stretti di una scala, secondo il più ovvio canone delle nostre musiche? C’è bisogno di appoggiarsi a una materialità dei suoni, unita a un loro fondamento simbolico che preceda (ma poi anche che accompagni) le logiche puramente sintattiche e grammaticali?
In questa prospettiva, quanto è importante soffermarci sui giochi vocali tipici dei bambini, totalmente fondati sull’esplorazione e sull’improvvisazione della e con la loro voce?
Parallelamente, quanta attenzione diamo a quella terra di mezzo che sta fra il linguaggio parlato e il canto? Ma, soprattutto, come facilitarne la manifestazione, come promuoverne la permanenza?
L’attenzione e l’addestramento al canto presuppone per forza l’abbandono del campo molto più ampio occupato dalla voce in tutta l’ampia varietà delle sue manifestazioni?
Se “la voce è il primo vero gioco del bambino”, come afferma Laura Pigozzi (A nuda voce. Vocalità, inconscio, sessualità, Antigone Edizioni, Torino, 2008, p. 85), se lallazioni, ecolalie, glossolalie, abitano in modo dominante tutta la fase prelinguistica, sarebbe bello utilizzare questa storia, cercando di conservare parte di quella gestualità vocale e sonora che con l’avvento del linguaggio (e del canto in senso stretto) progressivamente si perde. Ci si potrebbe appoggiare primariamente su quel gioco, inseguendo la finalità primaria di ogni intervento educativo, cioè quello di promuovere il piacere del suono.
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