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Pensieri per Miles Davis

Redazione

Per ricordarlo a trent’anni dalla sua morte

Che ne sanno gli adolescenti di Miles Davis? E i loro insegnanti hanno mai ascoltato almeno una volta la sua musica?
E’ pensabile che nelle ore di educazione musicale, oltre ai grandi della musica classica, si facciano conoscere anche le opere e la vita dei musicisti del jazz?
L’occasione del trentennale della scomparsa di Miles Davis (Alton, 26 maggio 1926 – Santa Monica, 28 settembre 1991) potrebbe essere l’occasione per conoscere e ascoltare uno dei più grandi musicisti del ‘900. Musicheria.net ha lanciato sui social una domanda: “Come presenteresti agli adolescenti di oggi la figura di Miles Davis?”. Pubblichiamo i pensieri di chi ha gentilmente riposto al nostro invito, ringraziando gli Autori.

In allegato, inoltre, una proposta didattica di Enrico Strobino e una di Carmen Carraro.

Sito ufficiale Miles Davis


Paolo Fresu

Come presenteresti agli adolescenti di oggi la figura di Miles Davis?
Una figura affascinante, sfaccettata e poliedrica.
Di un artista che, nonostante il periodo storico in cui ha vissuto e la situazione razziale nella comunità degli Stati Uniti, ce l’ha fatta dimostrando al mondo che non esiste un colore della pelle in grado di sentenziare sul valore delle persone.
Inoltre Miles ha sempre cercato lo spazio e il silenzio che a loro volta creano l’interplay e che significano ascolto e rispetto.
Credo siano tutti messaggi importanti per gli adolescenti.

Quale ascolto consiglieresti?
Difficile con la sterminata ed eterogenea produzione di Miles.
Dovessi consigliare un unico ascolto sarebbe di certo “So What” tratto dal disco “Kind of Blue”. Non tanto perché è forse il più famoso ma perché racconta proprio di quella ricerca sullo spazio e sul silenzio di cui abbiamo parlato.
Avessi più libertà di scelta consiglierei un ascolto ragionato che ripercorra i momenti salienti della sua vita artistica. Racchiusi in dieci titoli questi sarebbero i miei consigli discografici:

Charlie Parker’s Savoy and Dial Sessions (Savoy-Dial, 1945/1951)
‘Round About Midnight (Columbia, 1956)
Birth of the Cool (Capitol, 1957)
Cookin, Relaxin, Workin, Steamin,  (Prestige, 1956)
Porgy and Bess (Columbia, 1958)
Kind of Blue (Columbia, 1959)
Nefertiti (Columbia, 1968)
Bitches Brew (Columbia, 1970)
On the Corner (Columbia, 1972)
Decoy (Columbia, 1983)
Someday My Prince Will Come dall’omonimo disco del 1961 e tratta dalla colonna sonora dei film di Walt Disney “Biancaneve” e “Cenerentola”

Rappresentano a mio avviso, seppure a grandi linee, le scelte epocali di Miles che hanno dato vita ai suoi tour e che hanno aperto le porte delle molteplici stanze dove ora tutti noi ci troviamo.

Ada Montellanico

Miles Davis è stato uno dei giganti della storia della musica e non solo del jazz.
Sarebbero tante le caratteristiche da evidenziare di questo immenso artista che non basterebbe un libro, ma quelle che mi piace evidenziare e che ritengo molto importanti non solo per l’aspetto artistico sono due.
Miles ha creato una propria voce, un proprio suono da renderlo riconoscibile tra migliaia di trombettisti. Ha sviluppato la propria identità artistica che è originale e unica. Una ricerca importante che dovrebbe essere perseguita da tutti perché ognuno di noi è originale e unico e per questa ricerca si deve spendere tutta la vita.
La seconda grande caratteristica di Miles è l’intelligenza nell’ aver creato dei gruppi che appartengono ormai alla storia del jazz. La capacità di saper individuare musicisti straordinari che erano ai loro inizi e che nel gruppo di Miles sono cresciuti e hanno sviluppato nel tempo la loro carriera di solisti e di leader. Saper fare squadra, avere la sensibilità di percepire le qualità dell’altro nella condivisione della musica. Creare un suono di gruppo originale, formato da tante individualità forti che insieme concorrono alla valorizzazione di tutta la band.

Sono tanti i dischi di Miles da ascoltare, uno su tutti Kind of blue del 1959 , ma ci sono anche altri album imprescindibili con un quintetto da sogno in cui militava il grande John Coltrane: Workin’, Cookin’, Steaming’, Relaxin’.

Miles Davis – So What (Official Video)

Miles Davis Quintet, Teatro dell’Arte, Milan, Italy, October 11th, 1964 (Colorized)

 

Massimo Nunzi

Si tratta di un musicista rarissimo. Perché sono rarissimi i musicisti che riescono a passare attraverso molti stili… Forse Picasso e pochi altri. Nella musica lui è uno dei pochissimi. Infatti, pur nascendo in un periodo dove la temperie del bebop la faceva da padrone, lui è riuscito a cambiare pelle almeno cinque volte, facendo cambiamenti radicali, sia nel modo di approcciare la musica sia nel tipo di rivoluzione che compie a livello stilistico e rinnovativo del linguaggio che chiamiamo Jazz. E tutto questo mantiene un unico elemento comune, il suono, perché Davis è il suono. Non c’è nessun altro che ha un suono così riconoscibile. Armstrong e pochissimi altri. Miles è un mistero per molti. Ha spesso mischiato elementi contraddittori nelle sue dichiarazioni che rendono confuso e abbastanza insondabile il suo mondo. Perché chi lo ha conosciuto bene, e io mi riferisco a persone come il compositore inglese Paul Buckmaster (che è stato il suo mentore e la sua guida nella scoperta della musica contemporanea degli anni 60, in primis di Stockhausen), con il quale ho parlato a lungo, me lo descriveva con una persona molto diversa dall’iconografia dura, a volte graffiante e antipatica che dava al mondo. A volte Paul racconta che fosse addirittura umile nel suo rapportarsi a cose che lo interessavano e alle tendenze in auge all’epoca. Di certo nessuno sa veramente la verità su questo musicista. L’unica certezza è che ha inciso in maniera indelebile il suo stile unico nella stele di Rosetta del jazz che prima o poi sarà ritrovata da qualche civiltà extra terrestre.

Da ascoltare: Ascensore per il patibolo, Porgy & Bess, Round about Midnight, Kind of Blue, Bitches Brew,Tutu.

 

Rolando Proietti Mancini

Miles Davis, assassino o salvatore del jazz?
Ho copiato questo titolo dal famoso testo di Nisenson (Blue. Chi ha ucciso il jazz?, Ed. Odoya, 2013) nel quale l’autore critica l’operazione definita “revival” di Wynton Marsalis valorizzando l’apporto di Davis nel solco della tradizione del “Qui ed ora” sperimentale, trasgressivo e innovativo del gruppo compositivo.
Il tempo che passa ci conferma che Davis ha percorso la strada dei grandi che lo hanno preceduto in un contesto dominato dal rock, sperimentando nuove strade scoscese di improvvisazione e rifiutandosi di trasformare il jazz in un museale revival. In questo percorso complesso e difficile ha sempre cercato di coinvolgere con successo immensi strati di popolazione e l’industria discografica, illuminata dalla Blue Note. Si può quindi a mio avviso affermare che Davis ha contribuito a salvare le fondamentali del jazz.
Didatticamente può essere interessante per i ragazzi approcciare la storia di Davis anche al contrario, analizzando l’opera Bitches Brew che scandalizzò per l’assenza dello storico “swing” anticipando la cosiddetta world music, ritornando a Birth of the cool e all’hard bop di Walkin. Miles, come si sa, fu considerato l’ispiratore di ogni cambiamento ma questa è spesso una esigenza mitica e minimale degli analizzatori della storia di fronte a complessi fenomeni collettivi.
In questo sfondo troviamo Davis, un gigante, certamente grande coordinatore ed allenatore, maestro nel  “fare spazio” all’altro, non di sovrastarlo o sfidarlo, così come altra sua caratteristica è stata quella di giocare a sorprenderlo proponendo altri progetti durante l’esecuzione.

 

Bibliografia

– Miles Davis, con Princy Troupe, Miles. L’autobiografia, Minimum Fax, Roma, 2019. (Sul sito Minimum Fax è possibile leggere anche diverse recensioni)

– Guido Michelone, Miles Davis. La vita, la musica, il mondo, Melville Edizioni, 2019.

– Michael K. Dorr, Paul jr. Maher, Miles on Miles. Incontri con Miles Davis, Odoya, 2013.

– Gianfranco Nissola, Miles Davis principe delle tenebre, ETS, Pisa, 2010

Si riporta un interessante passo del libro di Nissola (pag. 138-139):

«Miles fa parte di una generazione di musicisti che, per primi, si impegnano per dar vita a un’originale forma d’arte. E questo avrebbe potuto essere una cosa buona, una cosa che prendeva forma in quel preciso istante: qualcosa di entusiasmante che non c’era un’attimo prima e che sarebbe stato diverso un attimo dopo, una volta che fosse stato espresso; l’esaltazione di un attimo irripetibile che si può ben comprendere perché attrae a sé e coinvolge.
Quest’attimo potrebbe essere calmo, divertente o spiacevole, persino storico, ma spesso è carico di un’ironia che esprime tutto il dispregio per l’insipienza della musica grossolana che certa scadente cultura contemporanea ci costringe ad ascoltare, quella musica di maniera che addormenta, distrae la nostra sensorialità e affievolisce la sensibilità.
Il senso ironico aiuta a combattere il sentimentalismo ipocrita e a sottomettere la superbia, ma non per questo il jazz affievolisce la sua carica allettante.
Perciò anche l’ironia può assurgere a elemento fondante del jazz, anzi forse è proprio questo fattore a tener vivo questo tipo di musica e la nostra attrattiva verso di essa».

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