Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Alla ricerca della musica perduta

Redazione

Intervista a Nicola Cisternino

Non insegnate ai bambini
Ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
Stategli sempre vicini
Date fiducia all’amore il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mondo….

(Gaber-Luporini,2003) 

Nicola Cisternino, compositore e artista, è docente di Educazione Musicale nella scuola secondaria e di Arti e Musiche Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Autore dei Graffiti Sonori, già direttore dell’Ensemble Siddharta, del Brake Drum Percussion e dell’ l’Ensemble Palomar, un progetto didattico-orchestrale con giovani adolescenti, ha ideato e diretto SONOPOLIS Percorsi integrati nella musica d’0ggi un circuito di produzione musicale contemporanea attivo a Venezia e in Veneto tra il 1992 e il 2002. Curatore assieme al musicologo francese Pierre Albert Castanet del volume “Giacinto Scelsi. Viaggio al centro del suono” (Luna Editore, 1993 e 2001) ha pubblicato di recente “Luigi Nono Caminantes. Una vita per la musica. Intrecci e testimonianze” (Ed. Il Poligrafo, Padova, 2021).
Ringraziamo Nicola per la disponibilità a rispondere ad alcune nostre domande e rimandiamo al suo sito per l’approfondimento della sua produzione (www.nicolacisternino.it).

Foto: Nicola Cisternino con Nuria Schoenberg Nono – Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia Giudecca, Giugno 2021

Musicheria: Partirei innanzitutto dalla tua esperienza come insegnante di musica ormai prossimo alla pensione. Quali, secondo te, sono stati i maggiori cambiamenti in questi anni in merito all’educazione musicale? Cambiamenti non solo nell’organizzazione della scuola ma anche nel comportamento dei ragazzi in relazione alla musica.

Nicola Cisternino: Una breve premessa. Ogni sguardo retrospettivo sulle proprie esperienze, soprattutto se di lungo raggio, comporta quasi inevitabilmente un rischio ‘nostalgico’ che definirei fisiologico a cui spero, almeno in parte, di rifuggire in una riflessione a largo spettro come quella che mi chiedi.  Al netto di questo possibile rischio nel lungo arco di tempo di quattro decenni di insegnamento nella scuola media, dunque con ragazzi nella fase preadolescenziale, molto sinteticamente mi verrebbe da dire che in termini ‘astratti’ si possano rilevare sostanzialmente poche differenze riferendosi strettamente ai ragazzi, soprattutto nel ‘bisogno’ e nella voglia di fare musica, nel senso che i bisogni reali di conoscere e soprattutto nell’attivare un rapporto diretto con la pratica della musica da parte dei ragazzi è antropologicamente ‘fisiologico’ e sostanzialmente invariato in quell’età. Bisogni profondi e archetipici di dare forma all’identificazione di un Io in crescita, di mettersi alla prova, dare identità e forme ad una crescita emotiva e pulsionale e soprattutto identificarsi e darsi appartenenza in un gruppo, processo di crescita e di formazione della personalità per il quale la musica è sempre stata e resta una Via maestra. Ciò che invece è molto cambiato in tutti questi anni, e secondo vari gradi, è il ‘paesaggio’ che ai ragazzi sta attorno, a cominciare dalla popolazione scolastica gradualmente sempre più arricchita dall’arrivo di numerosi allievi di altre culture e tradizioni, dalle diverse relazioni familiari e di gruppo, alle diverse organizzazioni e ‘riforme’ della struttura scolastica avvenute dalla fine degli anni Settanta ad oggi, ai contesti comunicativi e di mediazione tecnologica oltre che di produzione del suono e della musica avvenuti in questi decenni. Fattori radicali che hanno indotto – e questi sì hanno determinato e modificato profondamente – molte risposte comportamentali nei confronti della formazione musicale nella scuola cosiddetta dell’obbligo. Su questi fronti credo che gli effetti sono molti e sostanziali – alcuni dei quali di carattere regressivo a mio parere, e sono sotto gli occhi di tutti.
Per non parlare poi, in quella fascia scolastica, dell’espressione di ‘scuola dell’obbligo’ ancor oggi utilizzata, quanto mai infelice e impropria poiché un rapporto di scoperta e di apertura alla vita attraverso l’esperienza e la conoscenza, dovrebbe essere intanto inquadrata oltre che denominata per i ragazzi come una ‘scuola delle opportunità’. Se dunque le aspettative all’origine, da parte dei giovani allievi non sono sostanzialmente cambiate è cambiato molto e profondamente il paesaggio umano e istituzionale che vi sta attorno e che sostanzialmente poi influenzano e in gran parte determinano profondamente l’organismo sociale e dunque anche quello scolastico.  Quello che mi sembra evidente poi, soprattutto negli ultimi 10-15 anni è una perdita vitale del sistema scolastico che sottrae qualità alle pur numerose trasformazioni positive della scuola, a partire soprattutto dai livelli di tecnologizzazione della struttura scolastica.  Una perdita  identificabile a mio parere  nell’affermazione di quella procedura cosiddetta d riforma che ha portato alla scuola delle Competenze, a scapito di una scuola delle Abilità e delle Conoscenze, un sistema proiettato sul modello aziendale in cui, a cominciare dai ruoli e dalle loro semplici definizioni nominali hanno trasformato riducendo i Presidi (addetti al Presidio di un valore, quello della formatività dell’esperienza scolastica) in Dirigenti, i Segretari (addetti alla protezione dei segreti, appunto quelli scolastici) in Dirigenti amministrativi, e non si tratta solo di questioni nominali, ma di sostanza. Un sistema realizzato sul modello meccanico e meccanicistico, appunto produttivo-aziendale nel quale sono importanti i numeri con cui misurare e guardare la realtà, in questo caso formativa, che ha portato ad una ‘mutazione’ dall’interno dell’Organismo che in parte era e che forse dovrebbe ritornare ad essere il sistema scolastico come sistema di formazione delle persone oltre che di trasmissione di sole competenze.
Tutto è stato imbrigliato in procedure e modellizzazione burocratica che ha sempre più spezzettato le funzioni e deresponsabilizzato ogni parte del sistema (credendo illusoriamente di poterlo misurare o ‘valutare’ più e meglio, come si dice), a cominciare dagli insegnanti che in quanto medium in classe con i ragazzi, trasmettono e costruiscono nonostante tutto modelli di costruzione ansiogene che allontanano dalla voglia di conoscere e scoprire i giovani, nonostante le migliori intenzioni.  In poche parole un sistema che nella continua ricerca di classificazioni e procedure si avvolge su sé stesso, deresponsabilizza e rende sempre meno umane le relazioni, togliendole linfa emotiva ed affettiva alla conoscenza come principio e metodo di scoperta. Ci si ritrova, soprattutto negli ultimi anni, in un sistema che appare sempre più devitalizzato o entropizzato, avvitato su sé stesso in un caos di fondo, in cui sono evidenti solo le classificazioni e sottoclassificazioni (metodologie, processi di conoscenza…) che perde completamente di vista le persone, i giovani allievi, chiamati a risposte e feed-back sempre meno responsabilizzanti e meccanici, allenandoli ad una comprensione del mondo automatica e poco riflessiva.
In questo processo di sostanziale disumanizzazione ormai fin troppo evidente credo che abbia avuto un grande ruolo il ritorno, come nella scuola degli anni sessanta, ai voti, ai principi della sola aritmetica della misura che è stata completamente sganciata dalla geometria della formazione. In sostanza un sistema che sempre più, proprio per la sua vocazione all’automatismo rischia di mettere quasi sempre il carro davanti ai buoi, perdendo così la sua organicità perché, fondato com’è sulle cosiddette Competenze, come suggerito da troppe indicazioni del sistema, antepone la verifica e la misurazione dei risultati alla semina della conoscenza e al tempo necessario alla presa della Forma propria e consapevole della personalità dei ragazzi in quell’età della crescita. Per l’insegnamento della musica, soprattutto per i giovani insegnanti, è sempre più complicato cercare di alimentare un processo di conoscenza che riguardi innanzitutto la pratica della musica attraverso uno o più strumenti o la voce, valorizzando la connessione emotiva e liberatoria del gruppo rispetto all’autoreferenzialità, anche emotiva, dell’esperienza individuale. Il peso sempre maggiore e il facile accesso alle modalità tecnologicamente avanzate e interattive odierne (Lavagne, piattaforme per il suono, e connessioni video e social totali all’interno delle classi) possono risolversi troppo spesso, paradossalmente, in una sponda di accomodamento sulla valorizzazione delle sole competenze – contrariamente alla entusiasta narrazione corrente- di carattere teorico, storiche, audiovisuali che da sole stimolano poco al rapporto diretto con la pratica strumentale e musicale. Una prospettiva determinata da procedure regressive dei giovani ormai dominati da modelli che valorizzano la duplicazione sociale e del solo consumo anche musicale (vedi la filosofia del karaoke, o la sola fruizione attraverso Youtube) e lo stereotipo. Ad uno sguardo che potrebbe forse sembrare ‘retrotopico’ questa devitalizzazione regressiva potrebbe apparire come una vera e propria ‘castrazione’ generazionale, per cui la musica sembra non essere più per il mondo giovanile quel ‘tappeto’ generazionale di sentimenti e coloriture emotive che ha caratterizzato le generazioni precedenti, se non come pratica di consumo da soddisfare nell’immediato, come qualsiasi altro bisogno effimero e passivo. Da ciò una graduale difficoltà abbastanza diffusa nei ragazzi nel misurarsi con pratiche come quelle strumentali con il suono e la musica che richiedono un prova e riprova nello sviluppo di abilità e di metodo.   

M.: Il tuo percorso artistico ti ha visto impegnato in tanti progetti in diversi luoghi. Quali sono le principali caratteristiche della tua ricerca e in che modo le tue esperienze artistiche si sono riversate nel tuo insegnamento sia nella scuola che all’Accademia?

N.C.: Per quanto potrebbe apparire strano, e per quanto ci siano differenze sostanziali tra i due ordini di formazione negli obiettivi, la scuola media e l’Accademia con le evidenti differenziazioni generazionali e di obiettivi, la mia esperienza creativa e compositiva ma anche direttoriale, si è riversata quasi completamente nell’esperienza didattica, soprattutto nelle metodologie di entrambi gli ordini. Metodologie fondate sulla continua ricerca di carattere sperimentale ed aperto a continue elaborazioni creative da parte degli studenti, privilegiando e stimolando principalmente le pratiche strumentali (dall’individuale a collettivo nei laboratori orchestrali e con le percussioni e gli Djembé) una metodologia sperimentale soprattutto di pratica e continua problematizzazione del rapporto degli umani col suono come generazione delle culture, le musiche, le tecniche, le pratiche, una continua ricerca sistemica come rete delle conoscenze di esperienze e contenuti avendo punti di partenza e di origini a partire prevalentemente dalla contemporaneità: dalla canzone, al fumetto, alla musica per il video e il cinema (per la scuola media) e di ‘emancipazioni’ originali del suono nell’esperienza musicale a partire dalle frontiere, dai limiti o margini dei linguaggi artistici (colore, dissonanze, rumore, silenzio, la sola nota-spettro…) nella comparazione con tutte le arti, della visione, dello spazio, performativi ecc. per l’Accademia.
Tenendo conto che il corso di Arti e Musiche Contemporanee presso l’Accademia di Venezia, ideato e avviato dal 2001, è stata una fra le poche se non l’unica esperienza nella formazione artistica delle Accademie italiane di carattere comparativo tra le Musiche e le Arti Contemporanee, è stato possibile realizzarlo in quegli anni perché si prospettava un passaggio alle attese riforme dell’Accademia come formazione universitaria e dunque una porta che si apriva a innovazioni didattiche. Nel caso dell’Accademia di Venezia il Dipartimento di Pedagogia e Didattica delle Arti era diretta dal prof. Giorgio Nonveiller un fine intellettuale fra i padri della riforma delle Accademie italiane per cui aprì anche alla comparazione della Musica con le Arti contemporanee; purtroppo questi slanci innovativi sono gradualmente rimaste congelati negli anni successivi, con il rientro graduale in questi ultimi anni ai recinti degli indirizzi tradizionali (Pitture, Sculture, Grafiche, Decorazioni, Scenografie, Nuove Tecnologie…).
Nell’ambito della scuola media un’esperienza  per me molto significativa è stata quella realizzata nella prima scuola del territorio veneziano, la scuola Giulio Cesare, in cui fu attivata dalla fine degli anni Ottanta la sperimentazione musicale; lì creai l’Ensemble Palomar, una sorta di vera e propria orchestra giovanile gestita in un modello associativo tra la scuola e numerosi genitori con la quale realizzammo molte iniziative nel territorio fra le quali è da ricordare un gemellaggio per tramite del Teatro La Fenice e l’Istituto di Studi musicali Comparati della Fondazione Cini sotto la guida dell’etnomusicologo Giovanni Giuriati, con un vero e proprio Gamelan cambogiano nell’ambito della Campagna contro le mine, un Gamelan costituito proprio da ragazzi vittime delle mine. Con l’Ensemble Palomar furono anche realizzati 5 Campus estivi a Possagno con varie sperimentazioni anche metodologiche, oltre alla musica, strumenti e tecniche vocali, con la danza (esperienze di Euritmia steineriana) e le arti contemporanee.   

M.: Tu hai svolto anche attività di formazione per insegnanti. Quali consigli ti sentiresti di dare ai giovani che si apprestano ad iniziare oggi l’avventura di docenti di musica nella scuola?

NC: C’è un gran bisogno, oggi più che mai, di formazione pedagogica oltre che didattica dei nostri giovani musicisti e insegnanti. Una formazione che sia fondata sui Perché della formazione con e attraverso il suono e la Musica oltre che sulle metodologie e del Come fare qualcosa. Da tutte le sbandierate riforme degli ultimi anni sono scomparsi letteralmente i Pedagogisti della conoscenza (e della Musica) a favore di tecnici della Didattica (troppo spesso meccanica e rimasticata). Andrebbero riscoperti e conosciuti i Maestri, pensando al mio prof. Gino Stefani con cui mi sono laureato al Dams di Bologna (le autentiche Competenze musicali Comuni sui Perché della Musica), alla Globalità dei Linguaggi che Stefani ha sviluppato al fianco dell’ideatrice di questa straordinaria disciplina Stefania Guerra Lisi,  a Boris Porena (Musica di Base) per la musica, ma anche al messaggio universale della formazione degli individui, riprendendo autenticamente e non in forma di solo slogan come si è fatto fin troppo in questi decenni,  il messaggio e la pratica nella scuola di Don Lorenzo Milani (Una scuola secondo le possibilità di ognuno), ma anche prezioso il contributo di pedagogisti che si battono per l’arte maiuetica dell’insegnamento (Daniele Novara) o la conoscenza del desiderio che è dentro l’umano, penso a Massimo Recalcati de L’ora di lezione  ma anche ad un insegnamento che mi viene direttamente da Giacinto Scelsi, la Psicosintesi di Roberto Assagioli. Darsi degli strumenti fondamentali da affiancare alla sola conoscenza linguistica e pratica della musica per animare un rapporto fantasioso, curioso e giocoso con gli allievi, sapendo di lasciare il segno (InSegnare) soprattutto attraverso la passione e l’intelligenza emotiva che la pratica con i suoni si trasmette, maieuticamente, tra Maestro (tre volte Mago) e allievo. Una formazione ricca nutrita dalla continua curiosità dello studio preziosa soprattutto per l’insegnante che deve ‘attrezzarsi’ per un percorso lungo e ‘usurante’ su lunghe distanze.
Costruire con le persone, a maggior ragione perché giovani, più che con le ‘maschere’ o ‘rappresentazioni’ mediate dei giovani. La musica come lingua di fiducia e di ‘fede’ (laica e umana, non solo religiosa) in una qualità specifica dell’essere umano e nei suoi potenziali musicali. La musica non come una materia fra le altre, ma come una disciplina (auto) che sta tutta tra una materia e l’altra, un’esperienza e l’altra, consapevoli, come ho elaborato nel tempo con i miei giovani allievi che l’insegnante è solo un allievo che viene ‘bocciato’ tutti gli anni e per primo, prova e riprova instancabilmente (quanto vero il motto compositivo di uno dei miei maestri, Sylvano Bussotti: “Studia sempre”). Passione, Studio e formazione continua con e per gli allievi, riprendendo soprattutto i libri in mano (quanti pochi docenti hanno perso la pratica di leggere un libro in questi ultimi anni, nonostante il Bonus degli incentivi destinato, purtroppo, prevalentemente solo alle tecnologie). E i libri dei docenti di musica, soggetti eletti alla vocazione, sono in primis gli strumenti musicali e il canto. Mettere al centro, prepotentemente, della propria esperienza didattica il suonare e cantare con e per gli studenti, allestendo spazi e laboratori pieni di strumenti musicali di tutti i tipi e non solo di connessioni digitali, anche se in quest’ultimo decennio tutti, e possiamo dire davvero tutti, i cospicui finanziamenti nelle scuole sono stati destinati solo ed esclusivamente alla digitalizzazione con gran profitto per gli addetti alle forniture. I laboratori digitali (pur con tutti i meriti che si possono riconoscere all’avanzata digitale) si sono però letteralmente ‘mangiati’ tutti le altre attività laboratoriali, a cominciare dalla musica e al teatro, rimesse nell’angolo del superfluo, nonostante le narrazioni che in tutti i POF d’istituto si declamano.

M.: Nel tuo ultimo libro scrivi: «Caminantes si propone come una sorta di diario veneziano, quasi un racconto orale su Luigi Nono e sulle sue straordinarie capacità di immettere dentro la storia questioni vitali del suono e dello spazio (acustico e sonoro), proiettando la sua rigorosa e continua ricerca umana e artistica nell’esperienza compositiva come una metafora generativa del linguaggio sonoro stesso del proprio (e del nostro) tempo, radicalmente ancorato a una presenza storica – scomoda, perennemente conflittuale e dissonante – ma sempre aperto, inquietamente, a un diverso futuro nostalgico, com’egli lo coniò in una iperbolica ed efficace definizione, per riportare al centro dell’esperienza umana il valore fondante dell’ascolto e del suono». Pensi che le musiche di Nono e di altri autori contemporanei possano essere di qualche interesse per la formazione culturale delle nuove generazioni? E l’attività compositiva può essere iniziata fin nella scuola di base?

N.C.: Luigi Nono come i tanti altri che hanno emancipato il concetto stesso di Musica nel nostro tempo (Varése, Cage, Satie, Xenakis, Scelsi, Part e tantissimi altri) oltre la sola modalità linguistica dei suoni, assieme però a numerosi altri protagonisti oltre generi e  ristretti steccati accademici (Morricone, Battiato, Battisti…) sono alcuni dei Maestri che indicano la Via (il Caminantes no hay camino hay que caminar dell’iscrizione di Toledo per Nono) per i quali la Musica viene riportata a quell’indissolubile connubio di Ascolto-Espansione dei Sensi – Emancipazione linguistica- Nutrimento dell’emotività umana che costituisce il complesso fenomeno dell’esperienza della Musica. Una pratica aperta che oltre ogni genere, pratica o tecnica, costruisce l’esperienza sociale della Musica – ripeto – soprattutto attraverso il fare e raccontare-raccontarsi con i suoni, un prezioso antidoto, forse insostituibile, ad una società che tende a far regredire gli umani in una solitudine e atomizzazione in cui al di là dell’età anagrafica, la depressione insita nel sistema prende il sopravvento, anche fra la popolazione giovanile. Gli insegnamenti ‘aperti’ di questi Maestri, più che il dettato strettamente ‘scolastico’ (oltre le necessità di raccontarli storicamente) offre una quantità infinità di modalità operative e creative con il suono se queste sono appunto di giocosa ‘scoperta’ e invenzione dei mondi sonori. Allora sì che anche le sterminate possibilità di interattività dei sistemi permettono di accedere e condividere anche in tempo reale, nel tempo stesso della lezione in classe, materiali funzionali di ‘scoperta’ ed esperienze preziose.  

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