Intervista a Magdalena Fleitas
In diversi incontri tra educatori, pedagogisti e didatti della musica uno dei temi affrontati è stato la produzione musicale per l’infanzia sotto forma di CD, concerti dal vivo e piattaforme digitali. Dopo aver visto e ascoltato vari esempi di proposte latinoamericane, è emersa una domanda: perché in alcune parti del mondo si registra una grande produzione musicale per l’infanzia, con un grande seguito pubblico, mentre in altre risulta meno sviluppata?
Questa riflessione ha costituito la base della ricerca, che è iniziata attraverso una serie di interviste con artisti sudamericani, le quali saranno successivamente trascritte. Le conclusioni e i confronti tra le realtà argentina, italiana e sudamericana offriranno, forse, l’opportunità di comprendere meglio i diversi approcci nella creazione di opere musicali per l’infanzia, con l’obiettivo di esplorare le ragioni di tali divergenze.
Dopo l’intervista con Mariana Baggio (>>> vedi), la seconda intervista che presentiamo è con Magdalena Fleitas, compositrice, musicista, didatta, pedagogista argentina e direttrice della Scuola dell’infanzia Musicale “Risas de la Tierra” con una vasta produzione di musica per l’infanzia: dischi, concerti, libri, laboratori e formazione per docenti.
L’intervista è stata realizzata nel gennaio del 2025.
L’Incontro con la Musica: Un Destino Avvolgente
G: Come, quando e dove ti sei avvicinata alla musica per la prima volta?
M: Sono nata avvolta nella musica, e a mano a mano che crescevo, questa si è dispiegata dentro e intorno a me. Vengo da una famiglia molto musicale e giocosa. Durante la colazione giochiamo e cantiamo. Per le feste, i compleanni, Pasqua e Natale, ci riuniamo con zii e nonni a cantare canzoni popolari, per lo più europee. In Argentina c’è una ricca tradizione di canzoni popolari che deriva in gran parte dall’immigrazione europea. Sono cresciuta immersa in questo repertorio, con un grande amore per la musica e il linguaggio musicale. Mia madre comprava dischi di Miriam Makeba e Harry Belafonte, e noi ci sdraiavamo sul pavimento ad ascoltarli. Oppure ci portavano ad ascoltare l’opera, e poi cantavo Verdi o Donizetti. Sono cresciuta con un profondo amore per la musica, sentendola come un linguaggio molto vicino a me. Quando ero piccola, non mi chiedevo se fossi intonata o no: la musica era un modo per incontrarsi con amici e famiglia. Per me, questa è una delle chiavi della musica.
La Musica come Ponte tra Generazioni
Questo mi riporta al presente, come educatrice e artista. Lavoro con bambini e bambine, dalla prima infanzia e attraverso essi arrivo al pubblico adulto, perché i neonati non sono dissociati dai genitori, dai nonni o dagli adulti. Ciò che ereditiamo sono le nostre tradizioni, le nostre conoscenze, con le loro luci e le loro ombre. L’arte è un linguaggio che canalizza queste conoscenze.
La mia infanzia è stata collettiva, con molti fratelli e cugini, ed è da lì che ho imparato e riproposto questa stessa esperienza nel mio lavoro di insegnante e professionista. Nei miei concerti faccio cantare e giocare il pubblico, un po’ come fa Jacob Collier. Non sottovaluto il pubblico: insegno le voci, cantiamo insieme e improvvisiamo su quello che succede nel momento. Esploro anche il silenzio e le pause. Cosa succede quando smettiamo di suonare? Quando gli adulti smettono di emettere suoni, i bambini e le bambine hanno il loro spazio: arriva il loro turno. Il linguaggio musicale deve creare uno spazio per il silenzio, per la pausa, per risvegliare l’ascolto.
Ho studiato musica in diverse formazioni, con vari professori, prestando attenzione alle pratiche collettive e, successivamente, ho studiato musicoterapia. Per molti anni ho pensato che il mio cammino sarebbe stato nel campo della salute. Mi sono formata in tecniche di osteopatia e massaggio, ho studiato psicologia, psichiatria, i quadri della nevrosi e della psicosi. L’Argentina ha una tradizione molto importante nello studio della musicoterapia.
La Carriera di Musicoterapia in Argentina
G: Com’è la carriera di musicoterapia in Argentina?
M: Ai tempi dei miei studi, c’era solo un’università che offriva questo percorso: l’Università di El Salvador, da cui sono usciti i grandi maestri che hanno fondato la musicoterapia in Argentina. Ora ci sono più di quattro università, la carriera si è ampliata e include una laurea magistrale, il dottorato e molta ricerca. Ho sempre pensato di aver frequentato uno dei percorsi universitari più belli. Avevo materie come Espressione Corporea e Danza, studiavo Psicologia, Anatomia e Medicina, il Linguaggio Musicale, e la Lettura e Scrittura.
I lavori di gruppo consistevano nel creare con cinque compagni un’opera irregolare, dove tutti dovevamo suonare diversi strumenti. Esplorare tutto questo tra i 20 e i 25 anni è meraviglioso: ti insegna a condividere con gli altri la dimensione umana della psicologia evolutiva, tutti gli aspetti che hanno a che fare con l’anatomia, la conoscenza della persona dallo scheletro al cervello, le patologie. È una carriera che integra salute, educazione e arte. È un percorso unico per la ricchezza del proprio curriculum.
Definire la Musicoterapia
Quando si finisce il percorso di studi, spesso non si sa bene cosa sia la musicoterapia: nessuno lo sa davvero. Ho sempre pensato che sia bellissimo frequentare una carriera che nessuno riesce a definire, e quando qualcuno formula una definizione, essa risulta un po’ forzata. Per esempio, c’era un professore che affermava: “La musicoterapia è una disciplina”, e tutti dicevamo: “È una disciplina?!”. L’altro professore sosteneva: “La musicoterapia è un approccio”, e tutti pensavamo: “È un approccio?!”. Fin dall’inizio non si poteva nemmeno proseguire una frase senza che sorgessero delle domande.
Per me c’è una definizione molto interessante di Violeta H. de Gainza[1], che è stata la mia adorata maestra e amica. Lei prendeva un foglio gigante e chiedeva: “Cos’è la musica?”. E tutti iniziavano: “La musica è vita”, e lei scriveva; un altro interveniva: “La musica è un linguaggio di suoni e silenzio”, e lei scriveva, scriveva, e infine affernava: “E qualcos’altro…”. La cosa più importante, secondo lei, era proprio: “e qualcos’altro…”. Io sono rimasta con quella frase. Perché bisogna attraversare le definizioni, smontarle e ricostruirle, rendendole più complesse, più ricche: “e qualcos’altro…”. Questo abbraccia il mistero dell’uomo.
Musica, Memoria ed Esperienza
Per esempio, il linguaggio musicale è molto pertinente nell’approccio della terza età. Si è dimostrato che le persone perdono la memoria recente, perdono molto della loro memoria del passato, ma le canzoni della loro infanzia, le radici musicali, sono l’ultima cosa che si perde. È risaputo che questo è un linguaggio che si connette con la memoria emotiva. Si dovrebbe interagire e dialogare di più per trovare fondamenti neurologici, capire la sede di queste memorie, ma sempre partendo dall’esperienza. Bisognerebbe arricchire il proprio linguaggio musicale. E questo, per me, ha a che fare con le proprie fonti, con la ricchezza da cui veniamo.
L’Orecchio e la Percezione del Messaggio
G: Si sa che uno dei primi organi che si forma completamente dentro la pancia è l’orecchio. Perché la biologia forma un organo per percepire tutto ciò che succede nell’ambiente quando ancora il decodificatore, il cervello, non è completo?
M: La cosa interessante è connettersi con l’informazione del messaggio in sé. Noi abbiamo uno sguardo gerarchico, verticale, molto occidentale: “Come decodifica il cervello il messaggio?”. Se ci connettiamo con la qualità del messaggio, con la vibrazione del messaggio, c’è una conoscenza diversa. Per me, queste domande sono molto interessanti.
In Argentina c’è una tradizione psicoanalitica freudiana e lacaniana molto forte, specialmente in musicoterapia. Siccome ci risultava difficile spiegare cosa fosse la musicoterapia, tutti eravamo esperti in Freud e Lacan.
Quando avevo 23 anni e studiavo all’università, venne un gruppo di musicoterapeuti dalla Cina a tenere una conferenza. I musicoterapeuti cinesi avevano una macchina che sembrava una reliquia: la misero sul tavolo e tutti noi la guardavamo con diffidenza. Spiegarono che in Cina approcciavano la musicoterapia dalla vibrazione, come se fosse una tecnica di agopuntura. Quando aprirono la macchina, sembrava il cofanetto del tesoro: avevano diapason di tutte le dimensioni e cavi, come se fosse una simulazione degli elettrodi, ma con i diapason. Spiegarono che avevano mappato il corpo per sapere quali erano i meridiani e i centri equilibrati e quelli squilibrati, e con l’aiuto dei diapason cercavano di ricostruire l’equilibrio.
Per me era affascinante, però allo stesso tempo era molto difficile da capire nel contesto in cui eravamo. Tutti i miei compagni iniziarono ad alzare la mano e a chiedere: “Ma cosa succede con la schizofrenia? Cosa succede con la psicosi?”. Nessuno diede loro credito, e quei musicoterapeuti cinesi non tornarono più. Mi piacerebbe connettermi con quei terapeuti: avevano una conoscenza che ora sarebbe interessante approfondire, dopo tutto quello che abbiamo imparato sull’agopuntura.
Sicuramente ci sono cose che non si possono comprendere completamente, perché da un diapason non si può cogliere tutta la complessità e la ricchezza dell’esperienza umana. Però, mi sembra interessante porsi queste domande, perché il nostro approccio è limitato e soggettivo. Potersi fare delle domande ci apre a nuove conoscenze.
“Risas de la Tierra”: Un Approccio Musicale all’Infanzia
G: Nel tuo presente, tra concerti e formazione, c’è anche “Risas de la Tierra”. Potresti raccontarci di cosa si tratta?
M: Risas de la Tierra[2] è un Nido/Scuola dell’Infanzia Musicale e Centro Culturale che ho fondato nel 2005 qui a Capital Federal (Città di Buenos Aires). La nostra pedagogia è radicata nell’approccio artistico-musicale, che si sviluppa e si arricchisce attraverso la costruzione collettiva con tutti i partecipanti.
Abbiamo 15 insegnanti che cantano insieme alle famiglie. Diamo grande importanza ai nonni, incoraggiandoli a raccontare le loro storie, le loro coplas, i loro scioglilingua e a cantare le loro canzoni. Quando qualcuno racconta qualcosa, mi fermo ad ascoltare, non proseguo come se nulla fosse: un atteggiamento purtroppo tipico delle scuole che tendono a emettere informazioni in modo permanente. Le scuole spesso comunicano e informano, ma raramente costruiscono un ponte di andata e ritorno con le famiglie per percorrere insieme il cammino educativo.
Partendo da un ambiente piacevole, le famiglie iniziano a sentirsi a loro agio nella scuola e si trasformano in alleati, non in una minaccia che tende a reclamare o a mettere in discussione. Ho avuto la conferma di questo proprio a Risas de la Tierra.
La meraviglia del linguaggio musicale risiede nella sua capacità di farci incontrare attraverso l’ascolto, il gioco, la partecipazione e la propria voce in risonanza con quella collettiva.
Riconoscere la “propria voce” nella voce collettiva significa comprendere chi sono, qual è la mia storia musicale, quali parole, suoni, silenzi e toni vibratori mi abitano. La voce collettiva rappresenta il mio luogo di appartenenza, la cultura che mi circonda, la mia famiglia. Se qualcosa di tutto questo mi manca, come posso arricchirmi? Posso imparare per imitazione dal mio compagno, proprio come fanno i bambini. Il linguaggio musicale è un linguaggio che si apprende per imitazione, quindi è fondamentale che l’esperienza sia ricca e diretta, non solo teorica.

Riferimenti Pedagogici e Musicali
G: Quali sono i tuoi riferimenti pedagogici e musicali?
M: Quando frequentavo la scuola primaria, ho avuto una maestra di nome Alicia Lurá[3], autrice di una serie di libri, che è stata per me molto importante. Era una persona con un grande spirito di gioco e libertà. Durante le sue lezioni parlavamo in lingue inventate, registravamo e riascoltavamo ciò che avevamo creato. Su queste basi, lei costruiva un ostinato e poi cantavamo una canzone spagnola. Tutto era gioco ed esplorazione, un susseguirsi di creatività spontanea che si trasformava in canzone.
Con il gruppo di alunne creava canti a due o tre voci, e poi proponevamo una lezione aperta. È così che ho imparato il canzoniere di María Elena Walsh e Leda Valladares, “Las canciones del tiempo de María Castaña” [4], o canzoni francesi, italiane e spagnole. Ho un repertorio di brani che genera immediatamente sintonia con gli altri. Conoscere il linguaggio musicale, insieme a una vasta varietà di repertorio, offre molte risorse.
Alle scuole superiori, la mia guida, la mia grande maestra, è stata Pepa Vivanco [5], nipote di Violeta H. de Gainza, che ha portato avanti tutto il suo lavoro. Tutte le sue lezioni consistevano nel comporre musica e canzoni con testi in cui noi adolescenti ci sentivamo identificati. Gli argomenti venivano tradotti in azioni sensoriali, legate all’esperienza musicale. Per me queste sono state e continuano a essere le mie basi pedagogiche.
La Musica come Incontro e Comunicazione
Quando faccio un concerto, ciò che mi importa di più non è che il pubblico ascolti la tecnica della mia voce; l’importante è che ci sia un incontro con il pubblico, come in una sagra o in un cerchio, per condividere l’esperienza musicale. Faccio cantare, canto e gioco con le persone. Cerco canzoni belle, che non siano infantilizzate, e che si nutrano del repertorio folclorico latinoamericano, perché questo mi commuove e mi piace. Scelgo con cura il repertorio, il che è molto importante per me come artista, ma soprattutto per la condivisione con le persone. Questo è ciò che intendo quando parlo di risonanza con e nella voce collettiva.
La gente esce dai miei concerti felice, emozionata, ringraziando per ciò che ha condiviso, imparato e portato a casa. Spesso, dopo, si rendono conto che nelle loro famiglie esistono altre versioni della stessa canzone. Per me, è lì che la musica si trasforma in un linguaggio di comunicazione. Perché altrimenti, come spesso accade nei concerti o molte volte al conservatorio, dove “io ti insegno, tu ripeti; io ti insegno, tu ascolti, ripeti e io ti correggo”, il linguaggio può smettere di essere un linguaggio di comunicazione e trasformarsi in una mera tecnica. Questa è stata la mia formazione. E con Pepa Vivanco sono arrivati Violeta H. de Gainza e Murray Shaffer, uno dei miei maggiori riferimenti. Ho amato e continuo a fare tutti i suoi esercizi.
Sperimentazione e Pedagogia per la Prima Infanzia
Successivamente, quando avevo vent’anni, ho letto “La musica è un gioco da bambini” di François Delalande. Tutta la sonorizzazione, la sperimentazione vocale e sonora, gli oggetti e le condotte sonore erano lì. Nello stesso periodo, ho letto il libro di Luis Pescetti sull’animazione, che mi ha confermato la validità di ciò che stavo facendo.
Quando si lavora con i neonati e con la prima infanzia è fondamentale parlare la loro lingua. Bisogna capire, per esempio, cosa succede con il corpo, con il dondolio. Cosa accade con il desiderio del neonato che guarda un oggetto e si muove verso di esso? Quando già cammina, come posso accompagnarlo? Come e cosa posso cantare? A me piace molto musicalizzare il gioco dei e con i neonati. Inizio a nominare tutto ciò che sta succedendo (e lo incanalo nel discorso sonoro, creando così un involucro amorosissimo attraverso l’improvvisazione).
La definizione di “musicalizzare” di Violeta (De Gainza) mi piace molto. Lei era laureata in chimica, questo era interessante perché usava un linguaggio pratico, semplice e scientifico per spiegare la ricchezza della musica, ma allo stesso tempo molto vicino alla musica stessa. Diceva: “musicalizzare qui e ora”.
Io le chiedevo: “Cos’è musicalizzare, Viole?” E lei rispondeva: “Musicalizzare è risvegliare il mondo interiore mediante il linguaggio musicale e condividerlo con gli altri”. E “Cos’è improvvisare?” E lei ribatteva: “È un gioco di uccellini”, e si metteva a improvvisare con la voce.
Ho registrazioni di mio figlio Vicente che, come tutti i bambini, esplorava la tastiera del pianoforte: “tin-tun-tan-tun-pa-tu-tu-tu”. Violeta si sedeva ai bassi e iniziava ad armonizzare l’esplorazione di Vicente. Si trasformava in un’opera, a volte di tipo Pierre Schaeffer, di musica contemporanea concreta, a volte era un valzer. A volte si organizzava e lei gli diceva: “Andiamo a casa”, per tornare a una tonica e avere una tonalità principale. Poi gli diceva: “E ora i bambini vanno a passeggio e tornano a casa”. Tutto questo è pedagogia e didattica musicale.
La didattica include tutte le tecniche che sviluppiamo in funzione di quella visione educativa. Ma ci chiediamo poco come si fanno le cose. Per me la domanda è: “Come faremo le cose? Come sarà quel gioco? Come costruirai il tuo repertorio? Come risveglierai l’ascolto?”.
G: Che relazione c’è tra il folklore e la musica per l’infanzia?
M: Quello che noto, paragonando l’Europa all’America Latina, è che in Europa c’è un tema legato all’identità, alla propria voce e alle radici folcloristiche. Suppongo che in Europa, dopo le guerre o con la modernizzazione, il legame con le radici sia stato reciso, forse nel tentativo di costruire un’identità più ampia. Non so, questo potete analizzarlo meglio voi, ma le canzoni e le poesie forse sono rimaste nell’ambito dell’antropologia, dell’etnomusicologia.
Noi, invece, siamo “meno vecchi” dell’Europa e abbiamo un sincretismo e una mescolanza di tante culture. Non abbiamo il “peso” dell’identità: qui si canta la tarantella o una canzone per fare la pasta come un gioco “italiano” perché suona “italiano”. Lo stesso accade con le canzoni spagnole.
Negli anni ‘50, Violeta de Gáinza insieme a Silvia Malbrán [6] e altre insegnanti si proposero di arricchire il repertorio infantile, e ciò che accadde in Argentina fu fondamentale. Si riunivano periodicamente e aggiungevano testi nuovi a melodie europee, ebraiche o arabe. Molte delle canzoni che fanno parte del repertorio argentino derivano dal lavoro di quelle maestre d’asilo, per esempio “El gallo pinto” [7]. I testi che si cantano qui sono stati modificati rispetto agli originali europei. Molte volte i testi originali non hanno nulla a che vedere con l’infanzia, perché storicamente non c’era una distinzione tra il repertorio infantile e quello adulto. Piuttosto c’era un folklore popolare, per bambini e adulti: per esempio, le canzoni con avvertimenti come “non andare nel bosco, perché nel bosco ti può succedere questo e quello”, o “se ti ribelli ti tagliano il collo” come in “Los maderos de San Juan” [8]. Molte delle canzoni del secolo scorso venivano cantate per trasmettere conoscenze, per insegnare come si cucinava la polenta, come si allevavano i bambini, come si chiamava il cucciolo della pecora, della mucca e dell’uccellino; erano istruzioni, ma la poetica non era necessariamente focalizzata sul mondo dell’infanzia.
In Argentina, grazie a questo gruppo di donne e al loro lavoro, la poetica dell’infanzia si è arricchita. Se ora cantiamo quelle canzoni è perché abbiamo una visione del repertorio più ricca, anche se ancora un po’ “infantilizzata”.
Paragonando il repertorio musicale infantile con la letteratura per l’infanzia, vediamo che nella letteratura si affrontano tutti i temi e c’è un ventaglio multicolore che parla della vita, della solitudine, della tristezza, delle paure. Questo non si trasferisce alla tematica delle canzoni; ci stiamo lavorando: la mia generazione di compositori, quella di Luis Pescetti [9], Los Musiqueros [10], Los Caracachumba[11] e altri. Prendiamo l’eredità che abbiamo ricevuto da queste maestre, che hanno arricchito il repertorio infantile, e aggiungiamo tematiche che realmente nominano l’esperienza dell’infanzia. Altrimenti i bambini non avrebbero canzoni che esprimano il loro vissuto.
Ci sono tante domande che noi, come compositori, ci poniamo: cosa manca da nominare? Di cosa hanno bisogno i bambini? Cosa mi commuove e come posso esprimerlo poeticamente? Non come un’istruzione. Non c’è niente di male se una canzone serve per “andare in trenino” dalla classe al bagno, purché sia bella, purché si canti con un’intenzione musicale.
La canzone è una cellula viva; c’è una relazione con la canzone e non devi essere un cantante lirico o saper leggere gli spartiti, non è necessario essere alfabetizzati. Bisogna capire e stabilire una relazione con la bellezza, con il lato ludico e con l’ascolto della canzone. Io lavoro molto sulla sensibilizzazione degli insegnanti in relazione a ciò che cantano, come lo cantano, come si accompagnano, con quali strumenti. Se non suonano la chitarra e si accompagnano con un tamburello, in che modo lo fanno? Lavoro con loro su questi interrogativi, per questo Risas de la Tierra è anche una scuola di formazione per insegnanti.
Tornando a quello che abbiamo detto sul palcoscenico e sul repertorio in Argentina e in Europa, in Spagna in questo momento c’è un movimento enorme che ho conosciuto a Barcellona, “Encuentro de raíz” [12]. Ho partecipato due volte al WIM (What is Music, Encuentro Internacional de Música y Arte)[13] nel nord, a Burgos, dove c’è tutta una rivalutazione dei canti popolari integrati con ritmi africani, con ritmi colombiani. È molto interessante: il linguaggio deve essere vivo perché ci rappresenti. Per esempio, se uno prova a cantare “Las coplas de las Vidaleras”[14], canzoni folcloriche di Tilcara (un paese nel nord dell’Argentina), prima di tutto non suonerà uguale alle originali e poi, qual è il nostro obiettivo? Fare musica o fare musicologia? Io le canterò nel migliore dei miei modi. È importante capire che c’è sempre qualcuno nelle retrovie e qualcuno all’avanguardia, e perché un linguaggio sia vivo si deve risignificare e trasformare.
L’Arrivo sul Palcoscenico
G: Con tutto questo “zaino” pieno di cose meravigliose, a un certo punto sei arrivata sul palcoscenico. Com’è successo?
M: Tutte queste esperienze mi hanno condotto sul palcoscenico. L’inizio potrei ricondurlo a quando Pepa Vivanco aveva organizzato una cooperativa artistica. Ci riunivamo con circa 30 persone provenienti da tutti gli ambienti artistici per condividere canzoni. Ci siamo visti una volta al mese per tre anni. Lì ognuno portava qualcosa: una copla, una poesia. Io avevo tra i 18 e i 20 anni ed ero immersa in un ambiente di artisti. C’erano Marga Grajer, Dina Roth, gente che faceva canti sefarditi, altri cantavano temi del rock nazionale o suonavano musica folklorica. Tutto questo materiale veniva presentato alla fine dell’anno, e lì è iniziato il mio percorso. Mi metteva a disagio esibirmi, tutto il lato ludico ed esplorativo degli incontri e delle lezioni doveva trasformarsi in un saggio. In quella situazione si guarda se sei intonato o se sai suonare bene; è molto difficile assistere a una performance e non avere uno sguardo critico. Si dibatteva molto su questo: “È un’esperienza o è un saggio?”. Ho chiesto: “Posso fare qualcosa con la gente, durante il saggio?”. Mi hanno risposto “sì, puoi”. Ho incominciato a fare dei canoni con il pubblico e poi creavo paesaggi sonori insieme a loro sui quali io cantavo una canzone; aveva molto a che fare con Murray Shaffer.
Sono cresciuta, ho formato una band, ho iniziato a cantare nei teatri e con gli anni ho cantato in tutti i teatri dell’Argentina, dal Teatro Colón al Teatro San Martín…
Ora mi dedico molto a fare delle tournée; sono stata in Cile, Bolivia, Spagna, Colombia, Uruguay, Brasile. Quello che di solito faccio quando viaggio è un concerto per tutte le famiglie. Per esempio, negli Stati Uniti ho fatto un concerto per neonati e famiglie, e lì tutti hanno portato oggetti e abbiamo fatto un’esperienza di canzoni con paesaggi sonori. Successivamente, faccio concerti nei teatri per la comunità in generale e lavoro con gli insegnanti del posto o le famiglie, portando laboratori e corsi di formazione. Poco tempo fa in Cile è successo qualcosa di molto bello che non avevo ancora visto: si sono riuniti gruppi di donne per danzare le mie canzoni con i loro bambini fasciati in grembo.
L’Esperienza in Cile
G: Com’è stata quell’esperienza?
M: È stato grazie all’iniziativa di un’insegnante e ballerina di Puerto Montt, nel sud del Cile. Vania si dedica alla cura del preparto e del parto in casa nelle comunità mapuche e ha creato la scuola DURGA del Cile[15]. Una delle cose che fa è riunire le donne di diverse regioni del Cile e, tramite Zoom, insegna loro dei ritmi del folklore latinoamericano così che possano ballare con i loro bambini. Ha iniziato a viaggiare per il Cile insegnando valzer, cuecas e tanti altri ritmi folclorici. Sono piaciute loro le mie canzoni e hanno iniziato a ballarle insieme a quelle del duo Karma[16].
L’anno scorso, quando sono andata in Cile per tenere un corso di formazione per la Fondazione Ibáñez Atkinson, tutte queste donne hanno deciso di riunirsi a Santiago del Cile e hanno organizzato un festival affinché io cantassi e loro ballassero. Siccome ero da sola, ho chiesto se qualcuno potesse accompagnarmi con degli strumenti. C’erano tre papà che erano musicisti. Abbiamo fatto due sessioni su Zoom, ho passato loro il repertorio, l’hanno provato e abbiamo finito per suonare con i papà mentre le mamme ballavano con i loro bambini in braccio. È stato molto bello e divertente.
Per me questo è il linguaggio musicale. Quando si ascolta la gente, si possono scoprire cose meravigliose. Se si scoprono canti antichi da ogni parte del mondo, perché non dovremmo ascoltarli e aggiungerli al nostro repertorio?! E se i testi hanno qualche conflitto con l’attualità, che sia di genere, di morale, ecc., beh, si cambiano.
Ho fatto un quodlibet, “Fantasía Brasilera”[17], che era stato trascritto da Violeta De Gainza. Nel testo originale, ognuna delle linee del quodlibet era una marcia di soldati: “…verso la caserma se il bambino non si comporta bene…”. L’altra era “Arriba Juan”[18], che è terribile. Ma se si toglie il testo e si mettono altre parole come: “Las mariposas, las mariposas (le farfalle…)” inventi qualcosa di diverso e recuperi melodie bellissime. I bambini, quando ricomponi le canzoni con loro, non ti diranno, per esempio: “le farfalle lavorano tutto il giorno, come la mamma…”. L’adulto utilizza la parte logica, ordinata, invece il bambino ti dice: “le farfalle, le farfalle, e gli elefanti…”. Lì succede qualcosa, qualcosa nello stile di Gianni Rodari. Oltre a lui un riferimento per me è stato Francesco Tonucci. In Argentina sono due autori molto importanti della grammatica della fantasia, della libertà. Io mi ispiro molto a Rodari per rompere la logica.
Musica per l’Infanzia: Il Fenomeno Latinoamericano
G: In un momento in cui la musica passa attraverso Alexa o YouTube, perché in Argentina e in altre parti dell’America Latina i teatri si riempiono con concerti per l’infanzia?
M: In Argentina e in America Latina c’è una dedizione speciale verso l’infanzia. Anche se in questo momento il tasso di natalità sta calando e i teatri non si riempiono come prima, continua a esserci un profondo amore per l’arte. Il mondo dell’infanzia resta un ambito di abbondanza; persino in tempi di crisi economica, si continua a portare i bambini a teatro, a comprare libri per l’infanzia. Esiste ancora un movimento significativo, anche a livello commerciale, legato all’infanzia.
Credo che questo abbia a che fare con la dimensione collettiva. Alcune persone hanno fatto “scuola” e questo si è moltiplicato. La domanda per questo tipo di offerta si trasforma grazie alla sua qualità e alla ricchezza di ciò che accade, e alla fine la domanda diventa una vera e propria “pratica”.
Per esempio, in Spagna, negli ultimi anni si è formato un collettivo chiamato Suena Molón[19]. Dentro questo movimento c’è “Ajayu Dúo”, è un gruppo di giovani che sono venuti in Argentina per arricchirsi di ciò che c’è qui: i gruppi, gli eventi per bambini e i festival. Sono molto attirati da ciò succede qui. Vengono dalla linea di Gordón e realizzano molte canzoni in modo minore, Frigio ed Eolio, il che è interessante, perché qui lavoriamo in un altro modo. A questo duo sta andando sempre meglio; stanno creando una proposta nuova in Spagna. Tra 10 anni, te lo assicuro, ci saranno almeno altri 5 gruppi simili. E questo fenomeno si moltiplicherà.
Così ha iniziato Violeta. Ha “seminato” in Argentina, e mentre ci si interrogava sulla musica per l’infanzia, contemporaneamente sono emerse altre figure. A Mendoza, Daniela Laria Oriol ha iniziato a creare canzoni per gli asili; c’era Walter Schonsky con il suo organo, c’era Pro Música Rosario[20], che si ispiravano al repertorio europeo e adattavano molti testi.
Nuove Produzioni e il Suono dell’Infanzia
G: Cosa stai facendo ora?
M: Sto lavorando a un nuovo album per neonati, è quello che mi riesce meglio. Ho 11 dischi all’attivo e ho registrato con gli artisti più famosi dell’Argentina… ma sai qual è la mia canzone più ascoltata su tutte le piattaforme digitali? Sono io da sola, senza alcuno strumento, che dico: “sal, solecito, caliéntame un poquito”[21] (esci, piccolo sole, scaldami un pochino). Tutto qui. Mi sono resa conto che c’è un consumo di musica per neonati e per la prima infanzia che parte dalla semplicità. Questo è “l’ascolto” latinoamericano, messicano, colombiano. Si ascolta questo tipo di canzoni.
L’ascolto è ciò che mi riesce meglio. Per questo da Risas de la Tierra sono emersi: il Duo Karma, il gruppo Pim Pau[22], Anda Calabaza[23] e Vuelta Canela[24]. Perché nei miei laboratori mi siedo con le persone a riconoscere qual è il proprio suono, come possa trasformarsi in un progetto musicale, come realizzarlo e con chi.
Oggi, dopo aver registrato nei migliori studi, scelgo di registrare con una buona tecnologia a casa mia, in un ambiente di complicità e amicizia e poi mixare e masterizzare in studio. Vorrei inserire tra le canzoni molte voci di bambini. A loro piace molto: ascoltare altri bambini e riconoscersi, ascoltare i versi degli uccellini, o della pecora, popolare di suoni l’immaginario sonoro.
L’Evento Sonoro-Musicale
G: Con questo torniamo all’inizio della nostra chiacchierata…
M: Parlavamo della potenza dell’evento sonoro-musicale in sé. In esso succede qualcosa di straordinario, e i neonati sono i primi a evidenziarlo. C’è un album di ninne nanne di Judith Akoschky[25] che è prezioso. Per me, tutta la produzione di “Ruidos y Ruiditos”[26] è stata molto importante. Tutto l’approccio sonoro che ha utilizzato nei suoi dischi è bellissimo; inoltre, con questi c.d. si può musicalizzare qualsiasi scena della scuola generando un ascolto attento. Non è una musica puramente funzionale. Nei suoi dischi appaiono: un campanellino, un fischietto, c’è un silenzio, si sente un sussurro, tutti elementi che invitano a un ascolto profondo. Quello che lei propone mi sembra una buona strada. Io ora sto facendo questo, ma le mie radici hanno a che fare con la musica africana, con Miriam Makeba: è un approccio corale. Registriamo una voce e iniziamo ad armonizzare.
La Rete della Musica per l’Infanzia in America Latina
G: Come hai detto poco fa, i primi a pensare, creare e registrare dischi per bambini sono stati Maria Elena Walsh, Promúsica de Rosario, Walter Shonky, Judith Akoschky ecc. e dopo è arrivata una nuova generazione…
M: Sì, siamo una generazione e un’organizzazione, c’è una rete.
G: Quanto è importante questa rete per riempire un teatro, nella diffusione di musica di buona qualità e nella produzione musicale per l’infanzia?
M: Bisogna riconoscere alcune cose. Nel ‘94, Luis Pescetti viveva in Messico, e insieme ad altri artisti come “Canto Alegre”[27] a Medellín (Colombia), “La Nueva Cultura”[28] a Bogotá, Rita del Prado[29] a Cuba e altri ancora che stavano avviando le loro scuole, hanno creato il Mozilic (Movimiento de la Canción Infantil Latinoamericana y Caribeña)[30]. Credo che lì ci fossero già i “Palabras Cantadas”[31] del Brasile.
Noi avevamo la poetica di Maria Elena Walsh, lei trasformò la visione del repertorio infantile, tracciò una strada, rese il repertorio più ricco. Tutte le sue canzoni abbracciano i diversi ritmi latinoamericani, eppure non la definiresti una folclorista, ma lo è, includendo le diverse regioni del paese con i loro repertori. Quella fu una strada. Un’altra strada è comporre ex novo. Quello che si può fare è infinito.
Il Mozilic “semina” una scuola, promuove l’incontro, lo comunica, scrive e pubblica, ponendosi domande come: “Cosa deve avere una canzone per essere infantile? Chi sono i riferimenti musicali?”. Si interrogano su tanti argomenti. Questo accade nel 1994. Organizzavano incontri ogni due o quattro anni, e il movimento iniziò a crescere. Ora il Mozilic è enorme, e tutti noi siamo passati da lì. Tutta la generazione di Luis Pescetti ispirò la mia generazione, e poi la mia generazione ispirò quelle successive.
C’è stato tutto un percorso di divulgazione e moltiplicazione di buone pratiche e proposte, che ha generato una cultura di ascolto. Le cose accadono sempre tra le persone, e a volte bisogna fare un lavoro di trascendenza, di reciprocità: ci si offre e succedono cose. Ma è vero, non è stato un caso tutto ciò che è successo. C’è sempre stata una relazione, una visione d’insieme.
La Relazione con il Pubblico e l’Improvvisazione
G: Molte cose si creano attraverso la relazione tra le persone. Vedendo i video dei tuoi concerti, ogni volta che sali sul palco, crei una relazione con il pubblico.
M: È un dare e ricevere. Io parlo molto con il pubblico, anche Luis fa così. Mariana (Baggio)[32] no, il suo approccio è più da camera, è una cosa molto bella, dall’inizio alla fine quasi senza interruzioni; ricorda Promúsica de Rosario. Ognuno ha la sua identità, ognuno ha qualcosa di diverso, e questo mi sembra molto bello. Per questo mi pare importante guardarsi dentro e riconoscere qual è la propria voce, cercare la strada che si vuole esplorare.
G: Hai parlato dell’importanza dell’improvvisazione derivante dal gioco. Mettere il corpo e la mente disponibili a giocare non è una cosa facile…
M: No, certo che no, perché bisogna sbloccarsi e ascoltare. Uno può giocare e improvvisare, ma se non ascolta e riconosce quello che succede intorno, non ci si arricchisce. Per esempio, si può iniziare un’improvvisazione di vocalizzi con i bambini e ascoltare… un bambino dice “meee, meee… come la pecorella!”, io gli chiedo “e cosa canta la pecorella?”. “Meee… voglio andare a giocare…”. Così do spazio alla loro voce.
Un’altra forma di gioco può essere registrare: dopo aver giocato ed esplorato, ognuno inventa una canzone e la canta ad un altro, creando una catena di canzoni, e poi si registra. Si viene a creare un “disco”. Ma in quel disco è presente anche il gioco di fare le pecorelle che parlano, fare i versi dei maiali o degli uccellini. Viene valorizzato tanto il processo quanto il risultato.
G: Improvvisi e giochi molto con il pubblico.
M: Certo, a me viene naturale perché sono cresciuta così. Il mio bisnonno era Alberto Williams (compositore argentino) e mia nonna Delfina, sua figlia, insieme a tutta quella parte della mia famiglia, cantavano sempre coplas che le erano state insegnate da suo padre. Quelle canzoni dicono, per esempio: “…c’era una volta un gatto, che dietro un altro gatto andava” e così via. Io le ho registrate; registro molto i nonni. Quando ho registrato mia nonna aveva già 100 anni e rideva come se ne avesse 5. Lei chiamava queste coplas di “Nunca Acabar” (Che non finiscono mai).
Cosa faccio io a teatro? Prendo quell’idea e la ripropongo a modo mio. Canto: “C’era una volta un gatto…” e rimango in silenzio; il pubblico inizia a dare idee, si inizia a creare una storia. È un po’ come fa Jacob Collier. Io faccio lo stesso con le coplas: la gente canta e all’improvviso si creano armonie bellissime. Stiamo improvvisando, lì mi fermo e chiedo: “Tenete questi bellissimi suoni!”, e giochiamo con le altezze e i glissando. La gente è felice; è una delle cose di improvvisazione con il pubblico che faccio. Questo richiama la parte ancestrale del pubblico, il canto in comunità, inconsciamente torniamo alla parte del cervello che si connette emotivamente.
L’ancestrale, come il cerchio o i canti di lavoro hanno molto a che fare con “accompagnare”. Nelle tradizioni rurali, la musica accompagna la vita quotidiana. Il mio punto di riferimento in questa tematica è Polo Vallejo[33], che fa anche parte del FLADEM[34]. È stato per molti anni in diversi villaggi dell’Africa, specialmente in Tanzania, a studiare i sistemi musicali. Gli uomini del posto non potevano teorizzare su quello che facevano, semplicemente erano immersi in quel presente, con quella musica. Una volta stavano camminando verso un villaggio e Polo chiese a un uomo: “Quando finisce questa canzone?”. Lui lo guardò e rispose: “Finisce quando arrivo”. Il libro successivo di Polo si chiamò “Acaba cuando llego”. Mi è sembrato bello: è la musica che accompagna la vita.
Allora cosa dobbiamo fare perché il linguaggio musicale accompagni la vita? Nei bambini piccoli questo è presente, perché cantano continuamente, a meno che qualcuno non dica loro: “Smettila di cantare, o non sai cantare…”. Ma se non gli si dice niente, i bambini si inventano canzoni continuamente. Cosa dobbiamo fare perché questo si trasformi in un linguaggio?
Bisognerebbe tornare alla meravigliosa funzione che ha la musica di attivare l’ascolto, promuovere l’incontro, risvegliare il mondo interiore e condividerlo con gli altri, come diceva Violeta “qui ed ora”; tornare a riconoscere il valore misterioso e meraviglioso che ha la musica, specialmente in una società dove siamo così frammentati, accelerati, ansiosi.
Mi sembra che quello che ho da offrire al mondo abbia a che fare con il sintonizzarsi con tutto ciò di cui abbiamo parlato, rivalutarlo e tornare a condividerlo con l’infanzia, per tutta la comunità. Siamo vite, siamo spazi, siamo tempo e abbracci.
G: Ti ringrazio moltissimo per tutto il tempo che mi hai dedicato, le tue parole, i ricordi, i progetti e la musica. Sarebbe bello continuare a condividere e arricchirci.
M: Sì, sì, continuiamo a condividere…
G: Grazie Magdalena. Spero che ci vedremo presto!
M: Saluti e grazie a te.
NOTE
[2] https://magdalenafleitas.com.ar/pedagogia-risas-de-la-tierra-educacion-artistica/una-escuela-que-canta-y-baila
[3] https://flademargentina.wordpress.com/2024/02/
[4] https://youtu.be/yYCHBiorS8s?si=wmfckuPXrOsaRlG5
[5] https://open.spotify.com/artist/01x6guBvoF7qXKlQOh67Ih
[7] https://youtu.be/rCDr_h4NuXM?si=ABQz8doWmXoB-d1r
[8] https://www.youtube.com/watch?v=U1FZgpkkeQU
[12] https://encuentroderaiz.com/es/encuentro-de-raiz/
[14] GRAN DUO ADELA TOCONAS Y NANCY VEDIA – ABRA PAMPA JUJUY ARGENTINA 2025
https://youtu.be/E2eQWQvLSoA?si=lrVGkhqDgltwMA-J
[15] https://www.instagram.com/magdalena.fleitas/reel/DEGQjY9yc1k/
[17] https://youtu.be/MNM4o5bXbc4?si=kn7Bf_9UhISRMaFf
[18] https://youtu.be/WqhM0nULR8M?si=p1j2BbTdHKwHRXQo
[19] https://suenamolon.com/events/ajayu-duo-25/
[21] https://youtu.be/ueGcokjL-es?si=g2bUe-1PPnv5Q5-a
[23] https://www.instagram.com/anda_calabaza/
[26] https://youtube.com/playlist?list=PLIxvYYwbUxVErwcp7TL8FI3gMA2Iyu7UD&si=mo4F-BMvRr7N8G2V
[27] https://www.cantoalegre.org/
[28] https://escuelanuevacultura.com/