Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Come in un silenzioso slow

Maria Teresa Milano

Excursus su un aspetto della musica durante il fascismo

Sono trascorsi ormai novant’anni dalla fondazione dei Fasci di Combattimento, eppure il ventennio fascista, a dispetto del distacco temporale, ci appare vicino, quasi tangibile. A volte si presenta in un grandioso edificio marmoreo simbolo dell’architettura razionale o in una semplice stazione ferroviaria di paese, altre in uno splendido manifesto futurista; talora riaffiora dalle radio balilla in vendita ai mercatini delle pulci, altre dalla voce di chi decide di riproporre, magari con arrangiamenti “al passo con i tempi”, le amate canzoni trasmesse dall’EIAR negli anni Trenta e Quaranta. E mentre gli ultimi testimoni delle efferatezze di quel periodo vanno scomparendo, a noi rimane l’immagine-cliché, per qualcuno un po’ nostalgica, di un’epoca in cui i treni arrivavano puntuali, il controllo sociale funzionava alla perfezione e gli italiani erano davvero “brava gente”. Manganello e olio di ricino, intervento massiccio sulla vita del cittadino, persecuzione degli oppositori politici, leggi razziali. Tutto questo sembra in qualche modo offuscarsi quando si tratta di raccontare la “nostra storia”.

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