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L’indimenticabile Virgilio Savona

Alla fine di agosto 2009 ci ha lasciati Virgilio Savona.

Chi è della mia generazione ha conosciuto Savona, all’inizio, soprattutto attraverso le trasmissioni televisive del Quartetto Cetra, di cui era il compositore e arrangiatore. Sceneggiati musicali, parodie musicali di grandi romanzi della letteratura (la Biblioteca di Studio1), sino al non completamente riuscito Non cantare spara, del 1968, in cui il Quartetto Cetra si trovava a rivaleggiare con un altro quartetto, I Rokes, che interpretavano la parte di un improbabile gruppo di pellerossa. Savona ha scritto che egli si trovò a comporre testi e musiche di Non cantare spara proprio mentre gli USA scatenavano la più terribile offensiva contro il Vietnam e che lui, di idee politiche ben ancorate a sinistra, visse la situazione con imbarazzo. Questo episodio ci rimanda direttamente all’attività che Savona svolse individualmente, o in alcuni casi con la moglie Lucia Mannucci (la voce femminile dei Cetra). Un’attività di appassionato ricercatore di musica popolare italiana e di autore di canzoni dal forte impegno politico e sociale.
Savona fu fondatore e direttore della collana dei Dischi dello Zodiaco, spesso venduti nelle librerie “di sinistra” più che nei negozi di dischi, con un catalogo che andava dal folk, al revival, alla canzone politica in un rapporto che non era certo di concorrenza ma di emulazione con altre collane, come per esempio i Dischi del Sole. Tra l’altro, furono proprio i Dischi dello Zodiaco a realizzare le prime incisioni italiane degli Inti Illimani, subito dopo il golpe di Pinochet. Per la sua attività di cantautore, Savona fu insignito del Premio Tenco. L’attività di Virgilio Savona come cantautore è continuata sino al 2007, quando ha inciso il suo ultimo CD (Capricci) con la moglie Lucia, mentre nel 2005 aveva pubblicato con Amiata Records Sono cose delicate, che contiene alcune delle sue più belle canzoni come E’ lunga la strada, Il formichiere, La merda, e appunto, Sono cose delicate (un’altra bella e raffinata canzone, La Garaventa, resta purtroppo incisa, per quanto mi è dato sapere, solo nei vecchi vinili dello Zodiaco).

Savona condusse quindi due carriere professionali parallele, una come compositore del Quartetto Cetra e una come ricercatore e cantautore solista. Peraltro, tutti i componenti dei Cetra affiancavano alla loro partecipazione ai progetti del quartetto altre attività personali: Tata Giacobetti scrisse testi per altri gruppi e cantanti e per il teatro, Lucia Mannucci fu anche cantante solista, attrice e conduttrice televisiva e Felice Chiusano si dedicò a diverse attività musicali di carattere filantropico. E’ certo che, come egli scrisse nel libro Gli indimenticabili Cetra (Milano, Sperling e Kupfer, 1992), Savona pensò, proprio attorno al ’68, a una svolta “politica” del Quartetto Cetra, che non si realizzò perché Giacobetti e Chiusano avevano un orientamento politico diverso e quest’ultimo, soprattutto, riteneva che la loro formazione musicale fosse poco adatta a canzoni di forte impatto politico. Non so dargli torto, la storia dei Cetra era altra. Non mancarono comunque, nel repertorio dei Cetra, canzoni tratte dal repertorio popolare spesso riproposte con arrangiamenti swing, (Mamma mia dammi cento lire), oppure ironiche verso il potere e le smanie capitaliste (come Troppi affari cavaliere, riproposta recentemente dagli Avion Travel con un riferimento a un “cavaliere” che nel 1957 Savona e Giacobetti certamente non conoscevano). E ancora una canzone con un testo di Giacobetti in cui si difendevano gli studenti “capelloni” tanto attaccati dai benpensanti che però avevano salvato i tesori culturali della Firenze alluvionata.

Nell’attività che Savona svolse come compositore dei Cetra c’è un aspetto su cui mi sembra importante riflettere e che, ha un carattere “politico” anch’esso importante. Infatti, si dice spesso che i Cetra contribuirono a sprovincializzare la musica “leggera” italiana, introducendovi ritmi e stili vocali che venivano, in particolare dagli USA. Questo è vero, ma va soprattutto ricordato che questa operazione, negli anni in cui i Cetra non erano ancora un gruppo così consolidato e Savona un compositore di chiaro successo, non era politicamente facile né esente da possibili strali censori. Proporre ritmi che evocavano il jazz e il blues, arrangiare le canzoni in swing erano operazioni che potevano costare la cacciata dalla radio e dai teatri. Capitò, per esempio, a Gorni Kramer, amico dei Cetra. Non a caso, l’EIAR (l’attuale RAI) per molti anni, durante il fascismo, preferì le evoluzioni melodiche dell’Orchestra di Cinico Angelini ai ritmi americaneggianti dell’Orchestra di Pippo Barzizza. Sempre nel suo libro Gli indimenticabili Cetra, Savona ricorda quando, durante la guerra, l’EIAR divenne esclusivamente uno strumento di propaganda bellica, mentre Lucia Mannucci era costretta a cantare Caro Papà, dedicata ai genitori che rischiavano la vita al fronte, Ivan Giachetti intonava Camerata Richard, fu costretto a inserire nel repertorio del Quartetto una sdolcinata canzone dal titolo Banzai giapponesina. Savona ne fece un arrangiamento vocale tanto grottesco da rasentare il “disfattismo”.
Questo è un messaggio importante che ci lascia Virgilio Savona, che ci ha insegnato come la canzone e la musica possano darci messaggi diretti e forti ma anche ironici e più impliciti, ma non per questo meno efficaci.

Savona fu anche autore di belle canzoni per bambini, su testi di Gianni Rodari. Su questa sua attività ecco alcuni appunti tratti dall’articolo di Mario Piatti “Favole per voci e strumenti” pubblicato in C’era due volte… (periodico del Centro Studi Gianni Rodari di Orvieto, Anno II, n. 3, settembre 1995).

SuI n. 2 di Cera due volte … abbiamo presentato gli obiettivi della ricerca che il Centro Studi Gianni Rodari di Orvieto ha attivato in merito anche al rapporto tra i musicisti e i materiali rodariani. La cosa sta suscitando interesse, e molte persone si sono dichiarate disponibili a collaborare per far emergere da ricordi personali e archivi, materiali e documentazioni che ci permettano di approfondire il legame tra Rodari e la musica. (…) Nei mesi scorsi, la ricerca del materiale ci ha portato anche a un interessante incontro a Milano col Mastro Virgilio Savona, conosciuto forse da tutti come componente del Quartetto Cetra, ma che ha al suo attivo ricerche e produzione di materiali anche nel campo dell’etnomusicologia, delle tradizioni popolari, della didattica. Il Maestro Savona ci ha fatto conoscere un lavoro (titolo provvisorio: La testa del chiodo; NdR: il fascicolo con testi, melodie e CD allegato è stato pubblicato nel 1999 dalle edizioni Curci) che sta completando con la collaborazione del Maestro Aldo Passerini di Tolentino, e che potrebbe essere considerato il seguito del suo precedente disco Filastrocche in cielo e in terra (Dischi dello Zodiaco, 1972). Quelle canzoni Savona le ha cantate con Lucia Mannucci in tante scuole e piazze, riscontrando ovunque l’entusiasmo dei bambini. Ma quel disco è stato anche l’oggetto che ha dato lo spunto a Luciano Berio per commissionare a Savona un lavoro per il 46° Maggio musicale Fiorentino (1983): è nata così L’opera delle filastrocche – invenzione per voci, coro, quartetto jazzrock e orchestra, su testi tratti da Filastrocche lunghe e corte (libretto e partitura completa: ed. Ricordi). Ci sembra interessante e utile riportare qui alcune considerazioni di carattere musicale scritte dallo stesso Virgilio Savona per il programma di sala del Maggio Fiorentino.

«Il mio primo incontro con Gianni Rodari, la scoperta di questo straordinario scrittore per bambini che sapeva inventare storie allegre e parlare di cose serie allo stesso tempo, che rovesciava le parole come calzette e sapeva sbrigliare la fantasia senza mai perdere di vista la realtà, fu nel 1973 quando scrissi la musica per una ventina di brani tratti dal suo libro Filastrocche in cielo e in terra ( … ) Rodari e io, ci scambiammo subito una promessa: quell’esperienza non sarebbe rimasta senza seguito (…). Mi disse anche che avrebbe scritto per me su misura una serie di filastrocche da cantare (…). Un anno circa dopo la sua scomparsa, quando Luciano Berio mi affidò l’incarico di scrivere per l’Orchestra Regionale Toscana un’operina per ragazzi e mi dette via libera nella scelta dell’ autore del libretto, pensai subito che avrei potuto finalmente mantenere la promessa fatta a Rodari (…). Ho voluto costruire una musica piana e semplice, spesso sulla scia di moduli tipicamente popolareschi con scansioni ritmiche ben marcate, e usando l’accortezza di evitare inutili virtuosismi vocali o strumentali. Soltanto qua e là, rispettando il percorso della poesia di Rodari, ho inserito momenti di pensoso raccoglimento, di palpitazione espressiva o di concitazione drammatica. È nata così questa Opera delle filastrocche che risulta essere nel suo insieme, malgrado i due antichissimi specchi dell’umanità che di tanto in tanto vi fanno apparizione, un miracolo di ottimismo (…)».

Il testo del programma di sala prosegue con indicazioni che ritengo particolarmente interessanti per capire come Virgilio Savona abbia cercato di applicare anche al lavoro musicale tecniche di invenzione, creatività, manipolazione dei materiali, così da rendere operativa, anche in musica, l’indicazione rodariana: «Tutti gli usi della parola [si potrebbe dire tutti gli usi della musica] a tutti, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo».

«Nella partitura ho voluto offrire soltanto indicazioni di massima, spunti e suggerimenti in modo da stimolare ogni ulteriore intervento creativo e ogni possibilità di lettura. Se l’impianto generale vi appare saldamente predisposto nelle sue componenti essenziali (che vanno dall’indicazione tradizionale dei suoni sul pentagramma alla costruzione armonica, dalla selezione timbrica al colore dell’impasto orchestrale), ogni altra scelta è affidata agli stessi esecutori e al direttore d’ orchestra. Le voci dei cantanti solisti (femminile, maschile, recitanti) sono intercambiabili, nel senso che le parti, cantate o recitate che siano, possono indifferentemente essere assegnate a ciascuno di essi. L’estensione vocale delle melodie è tale da consentirne l’esecuzione, se si vuole, anche a voci infantili per una fruizione nelle scuole. E questo vale anche per il coro. L’inserimento del quartetto rock, composto da tastiere elettroniche, chitarra, basso elettrico e percussioni (per i quali è stata predisposta una guida di massima che copre l’intera opera e che lascia in ogni caso agli stessi esecutori ampia libertà d’interpretazione), il suo peso nel contesto della partitura, il dosaggio dei suoi interventi e delle sue sonorità, sono affidate agli stessi strumentisti e al direttore d’orchestra (…)».

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