Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

I numeri impazziti degli esami di terza media

Gli esami e il mostro Invalsi. La musica e le arti cancellate dagli esami

Nello scorso mese di febbraio, concludendo un articolo dedicato alla valutazione quadrimestrale, avevo dato appuntamento ai lettori di Musicheria a dopo la fine delle lezioni, per una discussione su quanto sarebbe successo, in tema di valutazione, durante gli scrutini finali e durante gli esami di licenza media.

Per quanto riguarda gli scrutini di fine anno, non mi sento di aggiungere altro, alla mia riflessione, di quanto avevo già scritto a proposito dell’inadeguatezza del voto numerico alla scuola media. Aggiungo solo che, nel secondo quadrimestre, la situazione si fa più pesante perché a causa dell’illogico decreto Gelmini per cui l’insufficienza anche in una sola materia provoca la ripetenza, si verifica in sede di scrutinio il balletto del “voto di consiglio”, cioè i cinque portati in riunione dai colleghi (in genere soprattutto di matematica) diventano un sei, onde evitare la bocciatura di intere classi. La regola per cui una sola insufficienza provoca la bocciatura è un’evidente assurdità, ma ormai più nessuno vuole discuterla, meglio l’accomodamento del voto di consiglio, che però nasconde, infine, che dei problemi ci sono e che sarebbe meglio dichiararli. Come spesso si fa nella scuola italiana, la polvere va sotto il tappeto.

Non entro poi nel merito dell’annosa polemica sul senso delle ripetenze nella scuola dell’obbligo, che qualche collega ritiene ancora utile a motivare alunni pigri o a recuperare le carenze scolastiche di ragazzi di condizione sociale difficile se non per ricordare le parole di Lettera a una professoressa sulla scuola che si comporta come l’ospedale che accetta i sani e respinge i malati.

Il vero scandalo della fine delle medie sono però gli esami, questo rituale antipedagogico che ogni anno peggiora, aggravato dall’introduzione delle famigerate prove Invalsi.

Gli esami e il mostro Invalsi

Andando con ordine, la prima cosa che appare mostruosa è che a dei ragazzi di 13-14 anni si propongano, in cinque giorni, sei prove scritte (italiano, matematica, prima lingua straniera, seconda lingua straniera, italiano Invalsi e matematica Invalsi). Una maratona dell’esame scritto che non si riscontra in nessuna altra prova d’esame o concorsuale del sistema pubblico italiano, imposta a dei ragazzi che ne escono, in molti casi, molto affaticati ed emotivamente provati.

Il massimo della follia si raggiunge nel giorno delle prove Invalsi. Contro la pretesa “scientificità” di tali test si è già scritto molto e si sono levate voci competenti (ultima in ordine di tempo quella di Giorgio Israel: http://www.orizzontescuola.it/news/giorgio-israel-invalsi-istituto-fuori-controllo-prof-state-guardia-potreste-diventare-semplici-). Mi limito pertanto a qualche osservazione sul contesto in cui tali prove si svolgono e al feed back che esse esercitano sui ragazzi, sugli insegnanti e sul sistema scolastico.

Le due prove Invalsi sono “somministrate” (un verbo che ricorda l’olio di ricino, o comunque un’amara medicina) nella stessa mattinata, separate da 15 minuti di intervallo che in molte scuole si svolge stando seduti nei banchi, senza potersi alzare e fare un po’ di movimento. Il clima è autoritario: in ogni classe vengono distribuite le stesse domande, ma organizzate in cinque sequenze diverse, affinché non si copi e non si faccia copiare (cosa comunque difficile perché i banchi sono ben distanziati e ci sono due insegnanti di sorveglianza). L’assegnazione nei banchi è stabilita d’autorità, nessuna possibilità di sedersi vicino a un’amica o amico, come si è fatto magari durante l’anno. La scansione delle prove è rigidissima, viene detto anche quando si può e quando non si può girare pagine dei fascicoli dei test. Il modello pedagogico è quindi individualista e competitivo, l’insegnante deve sorvegliare e reprimere chi copia e fa copiare o chi tenta di farlo. C’è davvero da chiedersi con quale spirito si possa accettare questa situazione quando per tre anni la maggior parte delle scuole ha scritto nel POF di voler educare alla collaborazione, alla cooperazione, al lavoro di gruppo, all’aiuto a chi è in difficoltà. E’ un’incongruenza di fondo che non sfugge nemmeno ai malcapitati allievi che ricevono comunque un messaggio implicito chiaro: è bello aiutarsi, collaborare, lavorare insieme, ma nei momenti importanti della vita (come l’esame) ciò che conta è il tuo merito legato ai valori più individualisti e competitivi, ivi compreso il non aiutare e il non poter farsi aiutare. Homo homini lupus.

Ovvio che in una situazione tipo Invalsi il modello di relazione allievo-insegnante che prevale è quello della sorveglianza-repressione-inganno, comunque dell’essere dall’altra “parte della barricata”. Scrivevano nel 1967 gli alunni della scuola di Barbiana, a proposito di alcuni di loro che vi erano giunti dopo esperienze sconfortanti nelle altre scuole: “Il maestro per loro era dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo. Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c’era registro”. E’ chiaro che il “copiare”, è l’atteggiamento esemplare di chi vede il maestro come controparte e non come una persona amica che si affianca alla ricerca e alla crescita umana e culturale degli allievi, contribuendo ai loro progressi e dove l’errore non è sanzionato dal voto, ma occasione di riflessione e miglioramento.

L’Invalsi pretende che i suoi test siano espressione della modernità pedagogica e scientifica. L’impressione che se ne riceve leggendoli è però quella di una serie di test a trabocchetto, pensati per trarre in errore i candidati. E’ anche piuttosto ridicolo che uno dei test di quest’anno proponesse il modernissimo quesito dei due treni che partendo da stazioni opposte a velocità diverse si incrociano in un certo punto….lo ricordavo e l’ho ritrovato in un mio quaderno di quarta elementare, rimasto in una vecchia libreria della casa dei miei genitori. E poi altri quesiti, molto appassionanti, sull’opinione dei contadini giapponesi rispetto all’ora legale, sulle pizze margherita della pizzeria “Da Marco” (a me la margherita poi non piace…), su quanta sia lunga la fila di tutte le auto italiane messe una dopo l’altra (ma perché mai si dovrebbe fare un tale dissennato esperimento?). E poi piani e solidi, che, proprio come quelli descritti dagli allievi di Don Milani, “facevano pensare a una scultura della Biennale” più che a un problema che un allievo abbia mai necessità di risolvere. Mentre gli allievi di scuola media si affannavano a risolvere questi poco motivanti quesiti, molti dei loro colleghi della maturità uscivano dalla prova d’italiano dichiarando di non avere svolto il tema su Ungaretti semplicemente perché a scuola nessuno ne aveva loro parlato. C’è da chiedersi quale modello di scuola si stia costruendo in Italia. E anche se i genitori sappiano su cosa e come i loro figli sono valutati.

Il feed back dell’Invalsi

Quando in un sistema delicato come quello scolastico si introducono elementi di “valutazione” finale come i test Invalsi non si può pensare che essi non producano modificazioni sull’intero sistema. Così, non è casuale che, già nel corso dell’anno, molti insegnanti di italiano e matematica introducano nel loro percorso didattico delle “prove” di test Invalsi, in genere tratte da libretti compilati dai componenti e dai collaboratori di tale istituto e pubblicati da case editrici attente alle sirene del commercio. In questo modo, le prove finali Invalsi arrivano a condizionare anche la valutazione ma più in generale la prassi didattica già durante l’anno imponendo la loro logica meritocratica, individualista e selettiva e uno stile relazionale insegnante-allievo di tipo autoritario, nozionistico e trasmissivo. In pratica, partendo dal momento finale dell’anno scolastico, l’Invalsi ne condiziona tutto il corso poiché se il punto d’arrivo deve essere quel tipo di test, è necessario prepararsi per tempo. Tra l’altro, è noto che gli insegnanti non hanno alcun potere di valutare i test Invalsi (quelli veri, non le prove), poiché le griglie di correzione sono spedite direttamente da Frascati e quindi i docenti diventano puri passacarte espropriati di qualunque altra funzione. Peraltro, questo fatto è normale se si pensa che l’attuale ministro Giannini non nasconde di pensare all’utilizzo dei test Invalsi come strumento di valutazione del lavoro degli insegnanti (si veda anche in proposito la già citata intervista a Giorgio Israel), a cui quindi non rimarrà che addestrare intensivamente i loro allievi ai test sperando che vi ottengano i risultati migliori. Insomma, una situazione che, in mancanza di una forte opposizione pedagogica, ma anche sindacale, che ancora non si vede crescere abbastanza, rischia di avere conseguenze devastanti.

La musica e le arti cancellate dagli esami

Il ruolo della musica, nella valutazione degli esami della terza media diventa sempre più marginale. Il fatto stesso che il voto d’uscita nasca da una media matematica (ancora una volta questa sciagura!) in cui sono presenti di fatto due prove d’italiano e due di matematica (più le lingue straniere) riduce enormemente il peso del colloquio finale. Colloquio che peraltro molto spesso impoverisce la ricchezza delle esperienze musicali condotte nel triennio, non esistendo né gli spazi di tempo (una ventina di minuti per tutte la materie) né di espressione (prove pratiche bandite) adeguati. Non intendo proporre una piccola protesta corporativa da insegnante di musica. La mia opinione è che questi esami andrebbero aboliti. E’ ridicolo che il lavoro di un ragazzo/a conosciuto da almeno un anno da tutti i componenti della commissione debba essere valutato in un modo così impoverente e limitativo, con l’aggiunta di una “valutazione” formulata da sconosciuti (Invalsi). Ma almeno, in subordine, che si consenta agli allievi di valorizzare il loro lavoro e la loro identità attraverso tutte le forme di espressione praticate nella scuola, evitando una marginalizzazione così massiccia degli ambiti artistici e corporei.

Ma forse si pretende troppo da una scuola avviata sulla via delle crocettature di quiz, dell’abrogazione della capacità di ragionare e del ripristino massiccio della selezione di classe.

l’immagine è tratta dal sito della Direzione Didattica terzo circolo di Paternò (CT).

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