Una interessante mostra a Ca’ Corner della Regina – Venezia
La domenica di Pasqua del 1916 Marcel Duchamp era in compagnia del suo amico e mecenate Walter Arensberg. Duchamp inserì un gomitolo di spago tra due piastre di ottone, quindi chiese ad Arensberg di inserire all’interno del gomitolo un oggetto, senza rivelargli quale fosse e chiuse il tutto con quattro viti. Su entrambe i lati delle due piastre appose quindi una misteriosa scritta in francese e in inglese che può essere decifrata solo girando la scatola più volte, quindi provocando il tintinnìo dell’oggetto sconosciuto.
Era nata la famosa opera Á bruit secret-The hiddle sound che avrà in seguito altre versioni, come per esempio quella realizzata da Duchamp facendo porre l’oggetto alla moglie e che rimane un esempio importante dei readymade del pittore francese che già nel 1913 aveva proposto la sua famosa ruota di bicicletta.
L’estetica di Duchamp è stata accostata, da molti storici, come per esempio François Sabatier, alla musica di Edgar Varèse ma sicuramente essa si apparenta anche a molti lavori di John Cage, proprio nella ricerca per far uscire e fluire il prodotto artistico dagli oggetti, in un caso, e dai suoni della vita quotidiana, nell’altro. Un’idea che fu anche dei pittori e dei musicisti del gruppo Fluxus, che proprio in tale nome vollero indicare il fluire tra materia quotidiana e arte e che trovò in Italia l’adesione di compositori come Giuseppe Chiari e Sylvano Bussotti. Colui che viene ritenuto il fondatore di Fluxus, George Maciunas, aveva l’abitudine di assemblare scatole e produrre opere variamente inscatolate, tra cui una dedicata proprio a Cage: Gift box for John Cage: Spell your name with this objects realizzata nel 1972 con un kit di pronto soccorso dell’esercito USA. Tra gli oggetti che Maciunas introduce nella scatola, alcuni permettono di compitare il nome il cognome di Cage (una pigna, una ghianda, un tappo, e un uovo, le cui iniziali, in inglese, compongono appunto CAGE). Ancora di scatole sonore si può parlare pensando a Robert Morris, che registrò e “inscatolò” i suoni degli attrezzi da falegname che aveva usato per costruire un piccolo mobile. In questo caso si sa cosa siano i suoni, ma essi sono chiusi in una registrazione di tre ore. Sembra che Cage se la sia ascoltata tutta, affascinato. Mentre non avrebbe potuto ascoltare nulla, se non il trillo, insistente, del telefono dell’opera Cage dello svizzero Christian Marclay, che ha posto un telefono in una gabbia (cage). Il telefono squilla, ma non si può rispondere perché è inaccessibile. Un’esperienza che sembra contrastare quella proposta da Laurie Anderson, dove si può rispondere davvero a un telefono posto in una vecchia cabina, dialogando con la voce registrata della musicista americana.
Queste esperienze sono evidentemente solo una minima parte delle produzioni che hanno fatto trasmigrare e fluire, pur nella loro indipendenza estetica, la pittura, la plastica e la musica l’una nell’altra. Si tratta di una storia lunga ormai diversi secoli, che comprende le prove di costruzione di strumenti sperimentali del Kronos Quartet, quelle di artisti che guardavano alla musique concrète di Pierre Schaeffer e molti altri ancora. Una storia che ci dice come un innaffiatoio abbandonato possa diventare il saxosoir (sintesi di sax e arrosoir, innaffiatoio in francese) del belga Max Vandervorst, ma anche di come il desiderio di riplasmare, rimodellare, reinventare in forma artistica un violino possa farlo diventare non più suonabile, come nei lavori del francese Arman.
Seguire, a volte anche in forma interattiva, i percorsi dell’arte dell’ultimo secolo, ma anche conoscere automi musicali, diligenze sonore, il pirofono (strumento a testiera che produce fiamme quando lo si suona), passando attraverso l’intonarumori di Russolo è possibile nella visita alla mostra Art or Sound, coordinata da Germano Celant, che la Fondazione Prada propone sino al 3 novembre prossimo nello storico palazzo di Ca’ Corner della Regina, a Venezia (chiusa il martedì). La mostra riunisce più di 180 opere e oggetti che vanno, appunto, dagli automi e macchine musicali, dipinti, sculture, strumenti musicali decorati che coprono un arco di cinque secoli. Certamente, all’insegnante di musica possono essere utili, anche per una visita con i propri allievi, soprattutto le esperienze del ventesimo e del ventunesimo secolo, ma è anche importante non dimenticare quali ne siano i precedenti storici. Una visita con dei ragazzi di terza media o di liceo può offrire infinite occasioni di riflessione ma anche di costruzione di esperienze pedagogiche sia musicali che interdisciplinari. Per esempio, oltre alle “opere” citate, la mostra permette anche di avvicinare alcune esperienze di performer e compositori che hanno lungamente lavorato sul e nel paesaggio sonoro, come per esempio Janet Cardiff, nota per le sue passeggiate in cui mette in luce come la nostra percezione dello spazio sia determinata dall’udito e su come sia possibile modificarla intervenendo sui suoni, attraverso eventi reali o simulati.