Lo studioso militante e storico della musica ci ha lasciati ieri, giovedi 23 febbraio.
Ho avuto la fortuna di conoscere bene Luigi Pestalozza, di collaborare con lui e di esserne stato amico. Anche per questo, non è facile scrivere di lui ora che, saputo della sua scomparsa, inizio a vivere il grande dolore di questa perdita e a valutare quanto ci mancherà la sua capacità critica di storico della musica ma anche di infaticabile animatore e organizzatore di eventi musicali.
Da dove cominciare, quindi, facendo esercizio della mia soggettività, se non proprio dal citare la qualità che di Luigi Pestalozza ho ammirato più di altre: quella di saper sempre ricollegare ogni fatto musicale al conflitto di classe, alle lotte operaie e popolari per il rovesciamento dei rapporti di produzione, infine, non da ultimo e conseguentemente, alla visione internazionalista dell’impegno politico culturale? Luigi amava citare una frase del sociologo della musica John Sheperd per cui la musica sta nella storia come la storia sta nella musica. Ma non era, la sua, quella storia che si cela dietro l’oggettività, spesso facile alibi per non prendere posizione, per negare le contraddizioni e alla fine per ripiegare sullo statu quo. Era una storia che prendeva posizione e che sapeva entrare nel vivo delle contraddizioni della società, per trasformarla e che chiamava alla denuncia di un’impossibile “neutralità” della storia della musica e della musicologia.
Così, l’impegno di Luigi per la nascita e la promozione di quella che chiamava la nuova musica era anche un’impresa politica, per una musica che ridestasse la coscienza, la consapevolezza delle relazioni sociali e che mettesse a nudo i rapporti di potere capitalisti. Proprio per questo, si legò a molti di quei compositori, Luigi Nono per primo, che, usciti dalla Resistenza con l’intenzione di rifondare una nuova società, anche musicale, si trovarono poi a operare nella ristrettezza delle censure e delle miserie culturali imposte dalle guerra fredda ma che continuarono a operare per creare una musica che fosse risveglio civile e politico e richiamo alla lotta nelle forme della musica.
Luigi Pestalozza ha lavorato molto nel campo della musica classica, ma con uno spirito assolutamente libero da presunzioni di superiorità di un genere musicale su un altro. “Quando cominciano le gerarchie tra le musiche, comincia anche il fascismo” era una sua frase, certamente polemica, come era nel suo carattere, ma che esprime quanto egli pensava. Principale animatore negli anni settanta della rassegna milanese Musica nel Nostro Tempo non esitò ad aprire i canali tra le musiche, portando sul palco del Conservatorio suonatori di launeddas, violinisti della Valle del Savena e altri protagonisti della musica folk ma anche del jazz e di musiche extraeuropee. Non per caso fu amico e collaborò a lungo con Roberto Leydi, uno dei fondatori dell’etnomusicologia italiana, anch’egli di formazione e cultura poliedrica, interessato a tutta la musica, senza alcuna riserva di genere o di stile.
Musica nel nostro tempo seguiva l’esperienza di Musica/Realtà, un progetto che, soprattutto ma non solo nella città di Reggio Emilia, vide non solo Luigi impegnato, con molti altri protagonisti della musica italiana, in una vasta opera di promozione musicale rivolta alle classi popolari, con concerti che si svolgevano a volte in sedi non deputate abitualmente alla musica (fabbriche, circoli operai ecc.), in cui il pubblico poteva liberamente discutere sino a notte fonda con i compositori e gli esecutori di quanto aveva ascoltato.
Musica/Realtà è anche il nome della rivista che, fondata da Luigi Pestalozza, ha garantito continuità culturale a quell’esperienza, e che lo ha occupato nella redazione del prossimo numero sino agli ultimi giorni di vita, insieme all’organizzazione di un convegno sulla musica elettroacustica nell’ambito degli attuali concerti di Musica/Realtà. Dalla rivista Musica/Realtà nacquero I Quaderni di Musica/Realtà e la collana di libri Le Sfere, che ha permesso al pubblico italiano di avvicinare importanti autori internazionali come R. Murray Schafer, John Blacking, Janòs Màrothy, Michel Imberty, Georg Knepler e tanti altri, unitamente a diversi validi studiosi italiani (Sergio Miceli, Roberto Favaro ecc.).
Ho scritto di un Pestalozza internazionalista. In effetti viaggiò molto, studioso attento di quanto accadeva nei paesi del cosiddetto terzo mondo, soprattutto negli anni della decolonizzazione e curioso anche di quanto di musicale avveniva in quei paesi, come ci ha testimoniato nel suo libro Mie memorie Vita Musica Altro (Lucca, LIM, 2013).
Un impegno di storico della musica, quello di Luigi Pestalozza, che si è sempre saldato con quello del militante politico, proprio perché le due cose non potevano per lui essere scisse. Musicologo e militante nella difesa, anche fisica, dalle aggressioni fasciste, a Venezia e in compagnia della inseparabile moglie Michi, delle prime rappresentazioni di Intolleranza 1960 di Luigi Nono, dedicata ai migranti italiani caduti sul lavoro e in particolare a Marcinelle e in seguito dei cantanti del Nuovo Canzoniere Italiano in occasione del Festival di Spoleto del 1964, quando rappresentarono il contestato (dai borghesi, dai fascisti e dai militaristi) spettacolo Bella Ciao.
Luigi Pestalozza fu nel PCI dal 1956, dopo la lotta di resistenza, vissuta giovanissimo (era nato nel 1928) nelle fila di Giustizia e Libertà. Scrisse sull’Unità (dopo avere iniziato la sua esperienza giornalistica all’Avanti) e su Rinascita e fu responsabile della sezione musica del Partito. Dopo lo scioglimento del PCI, aderì a Rifondazione Comunista e in seguito ai Comunisti Italiani. Dell’esperienza resistenziale restò sempre, nel lavoro di Luigi, la grande affezione per la Costituzione repubblicana, tanto che alla fine degli anni cinquanta pubblicò dei testi di Educazione Civica (era tra l’altro laureato in giurisprudenza) incentrati proprio sulla Legge fondamentale del nostro stato, in cui in particolare sottolineava come il diritto di proprietà privata, nella nostra Costituzione, sia condizionato a un fine pubblico e a un interesse sociale (art.41 e 42, da tenere presenti di questi tempi).
In un momento in cui la produzione artistica sembra purtroppo ripiegare verso forme di art pour l’art, in cui i compositori sembrano sempre meno interessati a comporre musica che si esprima sulle contraddizioni della società, in cui il pensiero unico si appropria anche della ricerca musicologica, la perdita di una voce critica come quella di Luigi Pestalozza è grave e dolorosa. Questo anche se, lui stesso ci direbbe, come ripeteva e come ha scritto più volte, che la “fine della storia” è solo un imbroglio per farci credere che i rapporti umani sinora determinati non possano cambiare. E se la storia non è finita, non ci resta che riprendervi il nostro ruolo di attori.