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Orff-Schulwerk. Intervista a Giovanni Piazza

Giovanni Piazza

Avvio del XXVI corso nazionale dell’O.S.I – Orff-Schulwerk Italiano

Nello scorso mese di ottobre è stato attivato a Roma, organizzato dalla Scuola Popolare di musica Donna Olimpia il Corso Orff-Schulwerk.
Per l’occasione abbiamo rivolto a Giovanni Piazza, autore della rielaborazione italiana dell’Orff-Schulwerk alcune domande. Ringraziamo Giovanni per la disponibilità e la collaborazione.

Musicheria: Da molti anni ormai viene attivato, sotto la tua direzione, il Corso Orff-Schulwerk, con numerosi partecipanti da tutte le regioni. A cosa credi sia dovuta la “fortuna” di questo Corso e quali ricadute secondo te ha avuto negli anni e ha ancora oggi nelle realtà delle scuole?

Giovanni Piazza: Credo che la ‘fortuna’ del corso (vale a dire la risposta costante che ogni anno attira qualche centinaio di corsisti verso i 3 Livelli di formazione che si svolgono a Roma e verso i seminari decentrati che concorrono al completamento del percorso) sia dovuta al fatto che chi partecipa si rende immediatamente conto di ricevere qualcosa di realmente utile per affrontare il problema di ‘cosa fare’ a scuola per avviare i bambini a un rapporto con la musica che nasca da loro stessi, da ciò che di musicale essi hanno già ‘in corpo’ e che venga quindi da loro non subìto, ma costantemente condiviso: anche quando si entri nell’ambito di aspetti musicali che investono rudimenti tecnici e teorici. E si rende conto, chi partecipa, che questa rispondenza alle esigenze concrete dell’azione scolastica è fruttuoso in quanto scaturisce da un diverso tipo di pensiero pedagogico, ‘rovesciato’ rispetto a quello accademico nel quale si è – purtroppo – ancora invischiati nella maggioranza dei casi. Questa ‘scoperta’ provoca entusiasmo, soddisfazione e necessità di condividere, diffondere. Il che si traduce in quella ‘fortuna’ di cui all’inizio.
Quanto alla ricaduta, non posseggo dati statistici, ma sono certo che la nostra proposta didattica (come altre proposte idealmente affini) abbia avuto, e abbia tuttora, una discreta ricaduta nel mondo della scuola. Un effetto che non è così ‘visibile’ ad occhio nudo (come la maggior parte delle attività didattico-musicali di ‘buona lega’) ma esiste. E’ un mondo un po’ ‘nibelungico’, sotterraneo che tuttavia è in costante, seppure lenta, espansione.

M.: Il tuo impegno nel campo della didattica della musica è riconosciuto da tutti come portatore di novità, di creatività, di interazione e integrazione tra musicalità e pensiero, di stretta correlazione tra tecniche compositive/improvvisative e ascolto. Ma in molte scuole italiane sembra che si faccia ancora fatica a realizzare e a mettere in pratica una buona metodologia di educazione musicale. Cosa sarebbe necessario fare, secondo te?

G.P.: Purtroppo sarebbero necessarie un tale quantità di cose da farmi dubitare che ciò possa prima o poi accadere. In primo luogo sarebbe indispensabile progettare e istituire percorsi di formazione docente pedagogicamente aggiornati, specificamente mirati per ciascun ordine scolastico, e debitamente alloggiati negli Enti formativi istituzionali. Il che investe direttamente il dualismo antagonistico tuttora esistente fra conservatori e università e le due diverse concezioni rispetto alla formazione di un educatore musicale. Dopodiché andrebbe istituzionalizzato il ruolo dell’insegnante di musica formato ad hoc là dove ancora manca (praticamente dappertutto tranne che nella secondaria inferiore). Ma per far questo servirebbe un qualche passaggio politico – che non so immaginare – che porti a un lungo periodo di stabilità e intelligenza governativa, in parallelo con la capacità di progettare – avvalendosi di selezionati esperti del settore e coinvolgendo le esperienze più innovative provenienti dal terzo settore – un qualche progressivo rivoluzionamento dell’azione musicale didattica, ispirato a criteri di qualità e specificità docente oltre che di armonica articolazione del percorso educativo complessivo. Un’operazione che richiederebbe tempo, dedizione e continuità e senza la quale qualsiasi riforma è destinata a restare sulla carta. Se questo non accadrà, continueremo ad avvalerci di iniziative certamente nate da ottime intenzioni e impegnative, sia per l’istituzione che per i destinatari; iniziative a volte più, a volte meno efficaci, tuttavia episodiche, a ‘macchia di leopardo’, come si usa dire. Quando non accada – per fortuna raramente – che si stratti di piani decisamente emergenziali, in quanto dettati da esigenze di collocazione di personale rimasto in qualche limbo e non da una prospettiva di reale adeguamento dell’offerta didattica.

M.: Spesso si sente dire che all’estero, in merito all’educazione musicale, le cose funzionino meglio che in Italia. Dalle tue esperienze e contatti con alcune realtà europee che idea ti sei fatto?

G.P.: Premesso che anche qui non posseggo dati, quantomeno recenti, mi sento di affermare che in parecchi Paesi, al di qua e al di là dell’Oceano, c’è sicuramente di meglio, spesso di molto meglio. Forse non sempre a livello di struttura scolastica organica. Anche in altri Paesi ho sentito lamentare carenze e difficoltà rispetto ad un’articolazione funzionale generalizzata dell’educazione musicale. Ciò in cui però la situazione estera differisce marcatamente dall’Italia è la maggiore presenza della musica nei diversi ordini di scuola e – soprattutto – l’elevata specificità della formazione docente. Chi entra nella scuola per insegnare musica è approfonditamente formato per farlo, e per farlo nel livello scolare in cui si inserisce. Realtà che, da noi, mi sembra decisamente piuttosto lontana.

Grazie Giovanni, e auguri per il tuo ottantesimo compleanno passato da pochi giorni. Sembra che la musica mantenga sempre giovani! Ci auguriamo che tu possa darci ancora per molto tempo tante idee e tanti suggerimenti per svolgere al meglio il nostro compito di educatori musicali!

 

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