Le risonanze transmodali nella relazione educativo-formativa
Tutto ciò che appartiene alle tantissime modalità espressivo-comunicative degli esseri umani fa certamente parte dei potenziali esternalizzanti delle emozioni umane. E forse, come affermava Darwin, il volto e tutta l’intera corporeità-mentalità della nostra specie ha delle origini filogenetiche rintracciabili in una condotta emotiva originaria e universale, appartenente a tutti gli esseri umani.
Esseri umani, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne che, anche da come ci conferma il nostro più comune senso delle relazioni, anche senza l’uso della parola le persone possono certamente, fra loro, com-prendersi e con-dividersi.
E allora dovremmo chiederci: perché tutte le teorie pedagogie e psicologie, le metodologie e le didattiche scolastiche hanno sentito il bisogno (quasi) esclusivo di promuovere, le varie formazioni disciplinari e i vari concorsi abilitanti, sull’utilizzo del linguaggio (parlato, letto e scritto) per giungere a sviluppare la più corretta professionalità delle educatrici e degli educatori, delle maestre e dei maestri, dei professori e delle professoresse di ogni ordine e grado?
Mettiamo subito in chiaro che questo nostro evidenziare l’ab-uso del linguaggio nei contesti educativi, non vuole essere assolutamente una condanna della parola che, per noi, resta pur sempre un grande mezzo di comunicazione umana ma, al contrario, non possiamo fare a meno di notare la presenza di una esasperazione ed esaltazione della parola come se questa fosse obbligatoria in tutte le forme relazionali umane e, come se non bastasse, è noto da anni a tutti che negli ordini scolastici infantili siamo pure in presenza di richieste sempre più precoci della parola parlata, letta e scritta e quindi del suo “imposto” apprendimento in una sempre tenera età.
In altri termini ciò che vogliamo affermare è che la formazione di educatori, interamente basata sulla loro capacità di esprimersi attraverso la parola parlata, letta e scritta può essere un grave errore, che volge verso una negativa metodologia formativa e valutativa dal momento che induce essenzialmente a sviluppare una forma mentale che valorizza e relega il sapere globale di ogni persona, e quindi del suo intero e inscindibile Mindful-body, a un limitato “oggetto” da saper dire, saper leggere e scrivere.
Ma nelle relazioni educativo-formative conta davvero solo la parola e il suo significato sintattico e semantico? È davvero solo attraverso l’uso della lingua che possono passare i reali potenziali educativo-formativi?
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