Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Il corpo e l’improvvisazione attraverso il flauto

Marco Ranaldi

Un’esperienza creativa

Definire il corpo come entità non astratta ma concreta è uno dei punti cardine di studi relativi alla ricerca delle proprie radici, alla ricerca del proprio essere, alla ricerca della propria dimensione nel mondo. Il corpo nasce e finisce ed è forse la giusta metafora della vita. Infatti quando si parla di anima il riferimento è ad un’ astrazione dell’essere, alla sua forma spirituale. Siamo certi di una cosa: il corpo è. Non è quindi solo l’involucro che ci protegge nell’integrità interiore, è come noi siamo e ci presentiamo al mondo ed è soprattutto quello che viene percepito agli occhi altrui. D’altronde noi guardiamo con i nostri occhi ciò che gli altri vedono di noi. Dunque è di difficile comprensione sapere a che punto è oggi la visione del corpo. Se poi il corpo è musica allora quello che dobbiamo comprendere è come questo diventa didatticamente utile in una dimensione scolastica che spesso non fa attenzione al corpo. Per non parlare della musica che attraverso di esso si produce. Il corpo è. La musica è. Un divenire costante, un fluido infinito che promette la continuità di una immagine che noi abbiamo del nostro corpo. Non è banale quindi soffermarsi a comprendere le varie trasformazioni del corpo e in particolare come esso muti in presenza di un invecchiamento cerebrale precoce. Forse è proprio in questa dimensione che il corpo appare come lo spettro di se stesso, come lo ha raffigurato senza mezzi termini Egon Schiele. Quello che poi siamo capaci di recepire nella perdita del peso vitale è tristemente noto: accettare come il corpo e non lo spirito di una persona pian piano finisca e finisca per assomigliare a quello che probabilmente era all’origine della gestazione materna.

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