Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

La musica per amare la vita

Maurizio Disoteo, Annibale Rebaudengo

Intervista ad Annibale Rebaudengo

È uscito recentemente, presso la casa editrice ETS il libro La musica per amare la vita, curato da Annibale Rebaudengo. Si tratta di un’indagine sul mondo musicale amatoriale italiano, nelle sue diverse manifestazioni. Ne esce un panorama interessante, a cui concorrono diverse voci di musicisti amatoriali, di responsabili di bande e di cori ma anche di direttori e insegnanti di scuole di musica dedicate soprattutto a un’utenza adulta. Si tratta di un aspetto della vita musicale italiana che viene spesso trascurato o poco valorizzato. Eppure, oltre al suo indubbio significato sociale, la pratica musicale amatoriale, nel quadro che esce dal libro, ha un valore musicale non secondario tanto che in alcuni casi trova anche intrecci con il mondo professionistico. Ma, ancor più, come recita il titolo del libro, la pratica musicale aiuta ad amare la vita, permettendo una partecipazione alla musica che va senz’altro oltre al semplice piacere dell’ascolto. Abbiamo posto alcune domande al curatore del libro, Annibale Rebaudengo, noto pianista e didatta della musica, già presidente nazionale della SIEM.

Maurizio Disoteo: Dal libro che hai curato emerge una realtà amatoriale molto vivace e articolata: bande, cori, complessi, orchestre, scuole di musica ecc. Una realtà che contrasta con l’idea che in Italia si faccia poca musica. Tu cosa ne pensi?

Annibale Rebaudengo: Mi sono stupito anch’io. Per il numero dei musicisti amatoriali, per l’Aima – Associazione italiana musicisti amatori – che li mette in contatto per formare gruppi cameristici; per le numerose orchestre, per le bande e i cori con le loro specifiche associazioni. La parte del libro dedicata alle scuole di musica di Roma e Milano mi ha suggerito di navigare nei loro siti web, ho notato che molte scuole dedicano spazi orari mattutini – evidentemente per i pensionati – e serali per i lavoratori. Da una indagine statistica, elaborata con un questionario formalizzato in collaborazione con Checco Galtieri e Giuliana Pella, responsabili didattici della Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia e della Scuola Popolare di Musica del Testaccio, entrambe di Roma, abbiamo calcolato che un 30% degli allievi sono adulti musicisti amatoriali. Il titolo del libro mi è stato suggerito da un banner nella Home Page di una scuola privata che reclamizzava “Una cascata di cori per amare la vita”. Man mano che mi arrivavano le autobiografie musicali di chi avevo invitato a scrivere ho notato che tutte erano intessute di passione per la musica e per la vita. Una alimenta l’altra.

MD: La pratica musicale amatoriale è da considerare un divertimento, oserei dire un passatempo come tanti altri oppure è anche un modo di ridefinire la propria collocazione nelle relazioni con gli altri e nel sociale? Forse per qualcuno è anche un modo di conoscere meglio se stessi?

AR: Nessuno parla di divertimento, il termine hobby appare una volta sola. L’aspetto sociale, se inteso come “classe sociale”, viene azzerato quando i musicisti si uniscono nei cori, nelle bande, nelle orchestre o ensemble. Le diverse provenienze sociali formano una società musicale che vive di vita propria e diventa inevitabilmente anche amicale. Così accade anche nelle classi di strumento musicale nelle scuole. Sì, suonare è anche un modo di conoscere se stessi, di scoprire che riprendendo musiche studiate in gioventù emergono parti ignote di sé, ancora più importanti dello scoprire nuovi aspetti della musica.

MD: Molte persone si avvicinano allo studio di uno strumento in età adulta, in qualche caso avanzata. Quali sono le motivazioni di questa scelta e i bisogni che essa esprime?

AR: Da quanto scrivono gli amatori ci sono antichi sogni finalmente coronati in età adulta, come quelli della coppia di ottantenni intervistati da Checco Galtieri, che realizzano il sogno di suonare canzoni napoletane. L’ottantenne bandista coltivatore in pensione coltiva il piacere di suonare in compagnia degli amici di sempre. Alcuni pianisti, dediti a studiare repertori dei concertisti, rincorrono il desiderio di misurarsi con le musiche che hanno ascoltato e continuano ad ascoltare nei concerti. Io sono un pianista che in età adulta studia l’organetto e nel mio intervento descrivo anche il piacere sensoriale di vedere che le dita hanno assimilato nuovi automatismi per suonare musiche popolari che solo il suono di questo strumento può rendere così struggente. In occasione delle presentazioni del libro che sto conducendo in diverse città, invito a suonare alcuni coautori e altri adulti allievi di scuole di musica. La passione nel suonare traspare sempre, questi appassionati si alzano presto, prima degli impegni lavorativi per ritagliarsi un’ora di studio. E suonano concentrati, preoccupati di far bene, e comunque orgogliosi della loro scelta esistenziale.

MD: Quali differenze ci sono tra l’insegnamento ai bambini e quello agli adulti? Esiste anche il luogo comune che la musica si possa imparare solo da bambini, quale è la tua idea?

AR: La motivazione allo studio nell’adulto proviene da lui stesso, decide dopo tanto pensare, dovendo organizzare il proprio tempo, ha necessità di capire prima di fare musica. Nel bambino la motivazione è quasi sempre indotta dai genitori che devono organizzargli gli orari di studio, il bambino è attratto anche da altre attività, dallo sport, dai giochi, anche quelli online. Impara a suonare anche senza spiegazioni particolareggiate. Una avvocata studentessa di flauto con figlio allievo di violino mi ha detto: vorrei studiare, ma ho pochissimo tempo, mio figlio che ha molto tempo libero studia pochissimo. Gli adulti hanno la capacità di aspettare il risultato e rimandare il piacere del suonare, il bambino vuole il piacere immediato. La didattica dovrebbe tenere conto di questi aspetti. Comunque chi impara da piccolo a suonare e continua, professionalmente o no, è avvantaggiato come lo è chi fa sport fin da piccolo o pratica anche in maniera informale una seconda lingua. Il paradigma dell’educazione permanente ha coinvolto anche la musica. Un aspetto è da sottolineare: la società ha obbligato, pena l’uscita dal mondo del lavoro, a utilizzare il pc, ad aggiornare le modalità di lavoro e di comunicazione. Non c’è invece nessuna pressione esterna per imparare a suonare la chitarra barocca, la cornamusa o a cantare in un coro. La forte pressione per suonare e cantare in età adulta proviene dall’interno di ciascuno.

MD: Infine, ho letto il libro e mi è piaciuta molto la tua testimonianza di pianista affermato e insegnante di grande esperienza che diventa, in età matura, studente di organetto. Tu concludi che tutti gli insegnanti di strumento dovrebbero anche tornare a vivere un’esperienza da studenti con uno strumento diverso che sarebbe per loro formativa. Vuoi riassumere le ragioni di ciò, per chi non ha ancora letto il libro e potrebbe essere incuriosito?

AR: Volentieri. La mia esperienza mi ha fatto attraversare le frequenti reazioni degli studenti che tanto fanno sorridere e a volte infastidiscono gli insegnanti. La tipica reazione dopo una esecuzione maldestra davanti alla classe è “a casa veniva”. Credo di averlo pensato, se non detto. Così gli inceppi delle dita dovuti a poca (o eccessiva?) concentrazione, la difficoltà di coordinare i movimenti delle due mani – nell’organetto è necessario coordinare anche l’apertura e la chiusura del mantice. Le difficoltà da superare per chi impara a suonare uno strumento mi hanno fatto scrivere che noi insegnanti dovremmo metterci alla prova nell’imparare un nuovo strumento e capiremmo meglio quanto sia difficile.

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