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Nel Borgo dei canta-storie

Iniziativa della Libera Università dell’Autobiografia (LUA) di Anghiari.

Si è svolta tra ottobre 2023 e maggio 2024 la prima edizione della scuola per canta-storie. Il progetto, nato da un’idea di Duccio Demetrio, fondatore della LUA, ha visto l’impegno di un gruppo di docenti – Antonio Rota e Donata Forlenza del Teatro del Sole (teatro e regia), Maurizio Disoteo e Marika Baorto (musica), Alessia Roselli (grafica e scenografia), Giancarla Goracci (vocalità), Alessandra Perotti e Claudio Mustacchi (elaborazione dei testi), Roberto Scanarotti (biografie di comunità) – che hanno guidato diciotto corsisti verso la realizzazione di un’animazione musicale e teatrale finale nelle vie e nelle piazze di Anghiari che si è tenuta il 4 maggio.
Il primo problema che si è posto ai docenti è stato quello di definire una figura di canta-storie che non fosse  semplicemente la riproposta di quella tradizionale che per molti decenni ha animato le piazze del nostro paese, sia nelle regioni del nord che in quelle meridionali, ma che la rinnovasse e attualizzasse parlando agli uomini, alle donne, alle comunità e alle istituzioni d’ oggi pur collocandosi nella stessa idea di narratività popolare legata alle storie di vita o alle vicende di borghi e paesi. Come si legge nel bando per le iscrizioni:, il canta-storie è stato definito:  

Una figura che sa mettere in scena fatti e racconti individuali e collettivi e li rappresenta secondo la sua soggettività in modalità creative, cercando al contempo di mettere in luce gli aspetti che possono attivare una sensibilità e un’emozione comune. Il canta-storie, secondo la Scuola LUA, è un ascoltatore di storie orali, un ricercatore di storie scritte e un animatore culturale e interculturale che agisce da solo o in gruppo, collaborando anche con associazioni ed enti locali. Attinge ai saperi delle arti, della musica, della scena, della parola e della visione, usando tutti i mezzi che conosce e che ha a disposizione per rappresentare le sue narrazioni. Può agire in piazze, servizi educativi e scuole, servizi sociosanitari alla persona e residenziali, carceri e in tutti i luoghi dove possa emergere o essere sollecitato il desiderio di narrazione e di incontro. Educa in questo modo la comunità all’ascolto, alla cultura della memoria e alla sua trasmissione tra generazioni. È un testimone del suo tempo ed esprime un modo di essere nel mondo come narratore di sé. Un traghettatore di memorie collettive. 

Tale definizione di canta-storie, coerente e interna al progetto formativo generale della LUA è stata pensata con un trattino tra le due parole proprio per sottolineare la libera reinterpretazione della tradizione dei cantastorie pur ponendosi in continuità con essa in molte delle sue funzioni, finalità e pratiche.

L’ammissione alla scuola non prevedeva alcuna conoscenza o abilità pregressa in campo musicale, teatrale o grafico. Per questo, pochi tra gli iscritti alla scuola avevano precedenti esperienze relative al teatro, al canto o alla scenografia. Ciò che si richiedeva ai partecipanti è piuttosto la motivazione ad apprendere i diversi linguaggi del narrare e a mettersi in gioco utilizzandoli. 

A questo proposito, l’esperienza del “borgo dei canta-storie” si pone su un piano sociale diverso da quello dei tanti corsi per attori o per musicisti che pretendono di formare una nuova ed ennesima categoria di “esperti”. Faccio riferimento a quanto scritto da Christofer Small nel suo libro Musica Educazione Società, dove il sociologo della musica inglese ci rammenta:

quanto estraneo sia diventato l’atto della creazione artistica alla maggior pare della gente. Da una parte non rispettiamo la creatività dell’uomo comune, dall’altra solamente una piccola minoranza si ritiene capace di scrivere una poesia, di dipingere un quadro, di ideare un pezzo musicale, – per non parlare di un film o di un programma televisivo – o di progettare e costruire una sedia o un apparecchio radio. Il processo essenziale dell’arte – la creazione – è inaccessibile a molti, che si accontentano di contemplare l’opera finita di qualcun altro (…)

Il canta-storie formato dalla LUA è piuttosto un componente di una comunità che mette a disposizione e trasmette ad altri le competenze acquisite per animare momenti narrativi legati alla memoria individuale o collettiva della stessa.
Il percorso della scuola si è articolato in quattro fine settimana lunghi (dal giovedì alla domenica) durante i quali si sono alternati i diversi laboratori previsti dal programma. Nelle prime due sessioni i laboratori si sono tenuti separatamente, per convergere poi in modo progressivo verso l’integrazione anche pratica dei vari linguaggi: teatrale, musicale, grafico-pittorico e testuale e infine, nelle prove generali collettive della performance finale. Un contributo decisivo alla Scuola è stato offerto dalla Filarmonica “Pietro Mascagni” di Anghiari che ha messo a disposizione non solo spazi e strumenti ma anche la partecipazione di due gruppi musicali alla giornata finale, in uno spirito di stretta collaborazione tra istituzioni che operano nel medesimo territorio. 

È importante segnalare che i tre testi messi in scena: L’armonia di un borgo (autrice Teresa Berdini), Taglia lungo e cuci stretto (Daniela Rossi) e La liberazione (Anna Bologni) sono tratti dal libro L’albero delle ciliegie che raccoglie i racconti premiati al termine della prima edizione del concorso omonimo bandito dalla LUA. Le autrici dei tre racconti non sono scrittrici professioniste bensì testimoni di fatti e vite di persone che si tramandano nella comunità di cui fanno parte. Nel primo caso, il racconto narra dell’armonia di un borgo agricolo marchigiano interrotta da un fatto tragico: il suicidio di una coppia di giovani che trovarono insopportabile doversi separare a causa della prima guerra mondiale quando lui fu chiamato  a partire per il fronte. Le altre due storie riguardano la vita esemplare di un giovane che iniziò la sua carriera di sarto in un piccolo paese della Calabria per poi diventare un abile artigiano purtroppo non riconosciuto secondo i suoi meriti e un episodio, particolarmente significativo per il senso comunitario, legato alla Liberazione del borgo di Quarata, in provincia di Arezzo, al termine della seconda guerra mondiale. La scelta dei testi rappresentati ha quindi rispettato la volontà di privilegiare storie che nascono dalla memoria locale e colpiscono la coscienza di una comunità, stabilendo in questo una continuità con i cantastorie tradizionali.

Infine, restano da precisare quali siano stati i percorsi volti a costruire delle musiche adeguate alla performance. Alcune canzoni sono state specificamente composte da alcune corsiste per la performance finale, ma la maggior parte dei brani musicali si sono basati sulla tecnica, largamente utilizzata in ambito popolare, del riuso. Ciò si ricollega direttamente alla pratica dei cantastorie italiani ma anche dei chanteurs de rue francesi che usano innestare nuove parole “sull’aria di…” una canzone popolare o d’autore molto nota. Un’altra modalità espressiva che è largamente utilizzata nel “Borgo dei cantastorie” per il suo impatto emotivo e per la sua dimensione collettiva è quella del coro parlato. Questa tecnica musicale, impiegata per la prima volta dal compositore Ernst Toch negli anni venti, ebbe una larga diffusione soprattutto in Germania come mezzo di comunicazione e propaganda dei sindacati e dei partiti di sinistra, ma è entrata anche nel mondo dell’opera, poiché Vladimir Vogel ne fece largo uso nel suo Thyl Claes, dedicato a un eroe della storia fiamminga. La forza del coro parlato è ancora oggi quella di esprimere collettivamente idee e narrazioni condivise. 

Per informazioni sulle prossime edizioni del “Borgo dei canta-storie” si può consultare il sito www.lua.it o rivolgersi alla segreteria della LUA: segreteria@lua.it o 0575/788847.

In allegato la locandina e alcuni frammenti video della performance finale

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