Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

L’Improvvisazione Condotta come pratica didattica

Premesse

Inizio con l’evidenziare un punto che per me deve essere scritto a chiare lettere, per ovviare a possibili fraintendimenti: non mi occupo dell’utilizzo dell’Improvvisazione Condotta (IC d’ora in poi) nei processi educativi con finalità jazzistiche. Non penso, d’altra parte, che il jazz sia ontologicamente più pregnante di altre musiche e che sia la via maestra per introdurre l’improvvisazione nell’educazione musicale. In generale poi, penso che nella scuola di base non si tratti di lavorare primariamente sulle musiche in quanto “generi musicali”, quanto invece sui modi di fare musica, in linea con il concetto di musicking proposto da Small:

There is no such thing as music. Music is not a thing at all but an activity, something that people do. The apparent thing “music” is a figment, an abstraction of the action, whose reality vanishes as soon as we examine it at all closely. This habit of thinking in abstractions, of taking from an action what appears to be its essence and of giving that essence a name, is probably as old as language; it is useful in the conceptualizing of our world but it has its dangers. It is very easy to come to think of the abstraction as more real than the reality it represents […]

La musica non esiste. La musica non è affatto una cosa ma un’attività, qualcosa che le persone fanno. La “musica” è un’invenzione, un’astrazione dall’azione, la cui realtà svanisce non appena la esaminiamo da vicino. Questa abitudine di pensare per astrazione, di prendere da un’azione ciò che sembra essere la sua essenza e di dare un nome a quell’essenza, è probabilmente antica quanto il linguaggio; è utile per concettualizzare il nostro mondo, ma ha i suoi pericoli. È molto facile arrivare a pensare che l’astrazione sia più reale della realtà che rappresenta […].[1]

Considero tale prospettiva completamente in linea con il pensiero di Gino Stefani:

L’oggetto di studio non è “la musica” presuntamente assunta “in sé”. […] Osservare la musica in sé potrebbe significare osservarla dall’esterno ma da nessun punto di vista particolare: ma non sarebbe pretendere di osservarla, in realtà […] da un punto di vista che non c’è?[2]

“Musica” per Stefani coincide con l’esperienza dei soggetti umani, con i percorsi, le identità e le pratiche che vanno a caratterizzare l’homo musicus.
È in questa prospettiva che prendo in considerazione l’IC come una delle pratiche che possono essere utili a promuovere la musicalità di bambini e bambine, ragazze e ragazzi, nonché la qualità della relazione fra di loro.

 

[1] Cristopher Small, Musicking: The Meanings of Performing and Listening, Wesleyan University Press, 1998, p. 1 E-book Kindle.
[2] Gino Stefani, Musica: dall’esperienza alla teoria, Ricordi, Milano, 1998, p. 26.

 

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