Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Geometrie per improvvisare

Marco Corcella

Un laboratorio per la didattica degli strumenti

Introduzione

La didattica dell’improvvisazione musicale risente spesso di un approccio chiamato dalla pedagogia americana drill and kill”, che mette al primo posto scale, arpeggi e quantità più o meno ampie di teoria, che mirano ad “allenare” il discente come per una attività sportiva, in ossequio ad una “educazione fisica” di diretta derivazione ottocentesca, ma che uccide (kill) letteralmente la motivazione al ritmo di continue ripetizioni e “trapanature” (drill), rendendo “scale e arpeggi” un vessillo di questa metodologia (Delfrati, 2008). A questo si aggiunge la piena assimilazione dei generi Pop e Jazz, che fanno largo uso dell’improvvisazione (sopratutto il secondo), nel mondo accademico musicale per eccellenza quale quello dei Conservatori (a volte più per motivazioni commerciali che per sentite necessità didattiche), dove sono stati accolti sotto forma di insegnamenti rinchiusi in tradizionali schemi didattici, distanti dalla loro natura profondamente spontanea ed estemporanea.

Eppure l’improvvisazione musicale è un bene prezioso, caratterizzato da una forte componente di creatività e originalità, alla base di ogni forma musicale umana che sia scritta o meno: con la voce, col corpo o con strumenti musicali, l’atto creativo presuppone un momento di libertà che può potenzialmente trasformarsi prendendo forma, diventando una composizione in senso stretto. La differenza tra improvvisazione e composizione risiede in questo: la composizione è una sorta di improvvisazione “cristallizzata”, (considerando davvero solo l’atto germinale dell’idea come momento estemporaneo) che al momento creativo fa seguire uno di strutturazione della forma che la rende altra cosa rispetto al flow continuo delle note (Biasutti, 2017). Le stesse regole apparentemente incomprensibili dell’armonia e del contrappunto sono nate da sperimentazioni “ad orecchio”, alle quali sono seguite considerazioni su ciò che suonava bene o male o che fosse facile o difficile da eseguire (ad esempio l’uso di certi intervalli come il tritono, proibito semplicemente perché difficile da intonare) trasformandosi quindi nel tempo in norme, perchè statisticamente più o meno presenti nella musica prodotta: è in pratica il gusto musicale di un determinato periodo storico, ad aver costruito una grammatica di regole da seguire, che si è dimostrata anche abbastanza spiegabile scientificamente (Huron, 2018).

L’improvvisazione nasce come istinto e ricerca, come dimostrano alcuni secoli di metodologie compositive: gli Organa medievali, i Recercare rinascimentali ad esempio, altro non sono che sperimentazione di qualcosa da definire, in un dialogo tra voci diverse, parti nello stesso strumento (come nel caso degli strumenti a tastiera o a pizzico) o tra strumenti diversi in gruppo, come oggi avviene nell’interplay nei generi pop – rock – jazz.
Tutto questo era un patrimonio comune a chi lo praticava, spesso implicito come vedremo a breve: gli esempi di metodi per il contrappunto improvvisato a voce o su strumenti a tastiera come quello di Vicente Lusitano o alla mente come quello di Adriano Banchieri, mostrano come a partire dal Rinascimento tutto ciò era la norma, non lo straordinario.
Alcuni studi (Huoniven et al., 2011) hanno indagato la validità didattica e pedagogica di differenti approcci, come quello tradizionale “accordo/scala” e quello basato su un insegnamento più “emozionale” basato su principi di ripetizione, variazione e tensione: i risultati hanno mostrato maggiore coinvolgimento degli studenti con il secondo approccio, in linea con quello che verrà descritto a breve. Quanto detto, trova corrispondenza nelle parole di un compositore del periodo barocco tedesco, Johann David Heinichen (1683-1729), che nel 1711 pubblicò il metodo Der General-Bass in der Komposition e nel quale, in una serie di riflessioni, denuncia come la pratica dell’”Orecchio” sia stata soppiantata da quella della “Ragione”. Per questo l’improvvisazione in contesti didattici merita la giusta attenzione, potendo avere degli obiettivi di sviluppo di competenze anche extra-musicali importanti, quali per esempio il problem-solving, il miglioramento delle capacità decisionali, un migliore sviluppo della sensibilità musicale, un miglioramento delle competenze prosociali stimolate dal continuo interplay con gli altri membri del gruppo, band o generica comunità di pratica.

Quanto scritto in questo articolo e che ne rappresenta i presupposti teorici e di metodo, è stato messo in pratica e sviluppato all’interno di un  progetto coordinato da INDIRE, dal titolo “Musicascuola”, dedicato alla creazione di attività laboratoriali innovative per la didattica degli strumenti musicali ed è pubblicato sul relativo portale dal 2022[1]. Pertanto in questa sede, non ci si soffermerà sulla metodologia in maniera descrittiva, ma quanto spiegato servirà a chiarirne la logica di costruzione formale sottostante.

Tradizione e innovazione

I tradizionali schemi didattici di cui si è parlato, hanno una serie di caratteristiche tipiche per insegnare ad improvvisare: anzitutto si nota l’incardinamento delle pratiche di improvvisazione all’interno di una grammatica “a priori”, che prevede di insegnarla pretendendo che la si conosca a fondo prima di saperla effettivamente “parlare”, cosa che invece avviene spontaneamente con il linguaggio e che è tra l’altro, una caratteristica essenziale di questo tipo di pratica, appresa e prodotta storicamente in contesti informali. Questa postura didattica, prevede quindi che prima di creare la propria improvvisazione, si dedichi molto tempo a quella che Delfrati chiama “propedeutica per l’aldilà“ e che vede nell’esercizio a sé stante, il modo migliore di allenare un’abilità che si è sicuri servirà nel futuro percorso, ammesso che non ci si fermi prima (Delfrati, 2008). Nella storia della didattica, ci sono stati esempi illuminanti di metodi che hanno coniugato la bellezza musicale con l’utilità tecnica, come nel caso degli studi op. 25 di Chopin o come nel caso della chitarra, con gli studi di Fernando Sor ed in particolare con la selezione e revisione operata da Andrés Segovia, che nella prefazione dei suoi “20 Studi” ne sottolinea la coesistente utilità tecnica e valenza musicale e di come questa caratteristica, non sia stata comune a tanti compositori e didatti. Schumann in questo senso compie un salto di qualità: non solo gli “Studi op. 3” sono di pregevole fattura musicale, ma sono a loro volta preceduti da esercizi tecnici che aiutano a migliorare e preparare esattamente ciò che l’allievo avrebbe trovato nel relativo successivo brano didattico. Anche se gli esempi esposti non si riferiscono precisamente all’ambito dell’improvvisazione, pur nascendo come detto in precedenza da una “attitudine improvvisativa” del comporre, ci aiutano a comprendere come ad un insegnamento “statico”, che decontestualizza la tecnica in gruppi di esercizi da proporre in maniera lineare durante il tempo, si può contrapporre dunque un insegnamento “dinamico”, che compie l’operazione di una continua contestualizzazione e “drammatizzazione” della tecnica, in un contesto espressivo-musicale.

Geometrie possibili: una nuova proposta didattica

Alla linearità di un percorso accademico tradizionale, che come abbiamo detto rischia di vincolare una materia per sua natura libera (pur sempre entro certi margini), possiamo pensare di contrapporre un atteggiamento non lineare, che lasci parlare le note come in un discorso a “braccio” dove non siano presenti degli schemi rigidi prefissati.

Quanto esposto trova conferma nelle proposte di un testo cult della pratica jazzistica, come Limprovvisazione Jazz” di Jamey Aebersold, illuminante per molti versi anche se legato per altri ad una didattica tradizionale “scale e arpeggi”.

L’autore invita a suonare espressivamente, comunicando qualcosa con entrambi gli emisferi cerebrali: quello sinistro, legato alla conoscenza teorica da mettere in pratica attraverso scale e accordi e quello destro, legato più alla spontaneità e all’istinto, che si fa guidare dall’orecchio dando grande importanza al canto, prima esterno e poi interno, per rendere libero il musicista di esprimersi senza il condizionamento dei suoi limiti tecnici sullo strumento. La voce infatti, strumento che ciascuno di noi sa utilizzare da prima e da più lungo tempo di qualsiasi altro studiato, permette di liberare meglio la fantasia e la creatività, rendendo potenzialmente assai espressivo e musicale ciascun musicista che abbia raggiunto un certo grado di libertà e di decondizionamento dalle proprie mani e della propria spesso frenante cultura musicale, legata molto di più al segno che al suono.

Sloboda e Davidson individuano cinque caratteri della prestazione espressiva:

  • Sistematicità: una chiara relazione tra l’uso di particolari procedure espressive e particolari fatture della musica, quali i confini di metro e di frase.
  • Comunicabilità: consiste nel fatto che gli ascoltatori possono meglio inferire fatture strutturali della musica quando l’espressione è presente che non quando manca.
  • Stabilità: quando la prestazione e ripetibile a distanza di tempo.
  • Flessibilità: un esecutore esperto può attenuare, esagerare modificare il profilo espressivo per evidenziare aspetti diversi del brano.
  • Automatismo: certe azioni vengono interiorizzate in modo da poter essere esercitate, quando serve senza nemmeno averne consapevolezza.

La sintesi proposta nel progetto didattico “Easy soling” per INDIRE – Musicascuola[2] parte da queste considerazioni “semplessificandole”[3], cioè rendendo comprensibili e molto più facilmente praticabili le classiche norme didattiche che normalmente richiedono moltissimo esercizio, senza sminuirne i tratti importanti e salienti: tutto questo partendo da tre regole semplici con l’utilizzo di pochissime note, anche solo quattro tra quelle importanti ad esempio in una scala pentatonica quali, tonica, terza, settima e nona:

  • costruire frasi di diversa lunghezza (prima due, poi cinque, poi una, poi sette note ecc…)
  • fare tante pause
  • ricominciare la frase successiva da dove è terminata quella precedente.

Tali “regole del gioco” permettono di rispondere esaurientemente a tutte le caratteristiche della prestazione espressiva citate da Sloboda-Davidson ed in questo contesto l’errore non esiste: eventuali deviazioni dalla consegna primaria di utilizzare solo quelle quattro note, saranno considerate più come un atto creativo, una temporanea deviazione dalla richiesta, dei “fuori contesto” in quel dato momento che possono diventare appropriati in un’altro.  Del resto in questo genere di musica, il suonare “out” accanto al suonare “in” è perfettamente comprensibile e addirittura apprezzabile: il risultato notevole è che semplicemente “sbagliando” delle note, l’allievo si troverà automaticamente a praticare un linguaggio musicale inusitato, ad avere una pronuncia corretta e convincente in un genere di musica pressoché sconosciuto, senza aver sentito parlare di tensioni, scale e modi. Questo non vuol dire ovviamente ignorare la teoria sottostante, le enormi possibilità che le conoscenze armoniche offrono e che rendono un musicista più completo ma piuttosto, essere portati a voler conoscere, approfondire ed interiorizzare la materia, con un livello di consapevolezza superiore, avendo sperimentato direttamente e parlato una lingua nuova di cui ancora non si conoscono le regole grammaticali e volendola parlare ancora meglio[4].
È un tipo di pratica con la quale trasmettere competenza quasi per contagio, con un processo di trasferimento di conoscenze tacite (Colazzo, 2005): viene chiesto di non esplicitare un contenuto, col rischio che diventi incomprensibile, ma che rimanga nel “suo mistero” e non pienamente svelato, per poi farlo interiorizzare. Questo vale sia per l’allievo quanto per il maestro: secondo Azzara (1999), è possibile anche per il docente che non possieda una solida conoscenza dell’argomento, interiorizzare e poi trasmettere nozioni sull’improvvisazione, con un approccio “aurale”, ascoltando molte improvvisazioni, imparando molto repertorio ad orecchio e soprattutto sperimentando molto. Ma la vera novità dell’approccio sta nella sua visualizzazione geometrica, favorita dalle simmetrie della chitarra; le quattro note di cui sopra possono essere sintetizzate in una forma rettangolare, visualizzandola sulla testiera della chitarra, o per esempio cambiando brano, per improvvisare su uno standard come “C-jam Blues” di Duke Ellington, usando tonica, modale e settima minore (do-mib-sib tra terzo, quarto e quinto tasto, terza e seconda corda) possiamo visualizzare un triangolo di note principali, al quale affiancare per esempio l’esecuzione di un triangolo ad esso complementare ma costituito tutto da tensioni, note di passaggio e di approccio. Così facendo, la ricerca di geometrie possibili va avanti autonomamente e con risultati anche considerevoli.

Conclusioni

Il laboratorio sull’improvvisazione qui presentato, ritengo possa avere una duplice valenza: per gli studenti, a partire dalle scuole medie per finire al Conservatorio per sviluppare capacità di ascolto, di interplay, affinare l’orecchio, sviluppare una capacità di invenzione melodica e soprattutto, per abbattere le barriere. Proprio per il suo non essere legato al segno scritto, l’improvvisazione permette anche a chi ha difficoltà nella lettura, come chi soffre di disturbi specifici dell’apprendimento o abbia disabilità, di sentirsi alla pari e incluso nel gruppo, avendo magari un lato creativo molto pronunciato.
Seconda importante valenza è per i docenti, che nella maggior parte dei casi provengono da studi tradizionali: quella di improvvisare rappresenta una vera e propria sfida con se stessi, con la possibilità di far emergere capacità forse ritenute assenti, quando invece solo nascoste.
Secondo questa prospettiva insegnare a improvvisare implica un soffermarsi sulle strutture generative, mentali, musicali, verbali e corporee (cinestesiche, visuali, olfattive ecc.) del nostro fare musica. È un processo a ritroso che dalle regole e categorie strettamente musicali risale, in senso diverso da quello shenkeriano, alle fonti e matrici originarie del discorso musicale, che sole lo rendono possibile.” (Cappelletti, 2009).

Bibliografia

Azzara, C. D. (1999), “An Aural Approach to Improvisation”. Music Educators Journal, 86 (3), 21–25. https://doi.org/10.2307/3399555

Biasutti, M. (2017), Teaching Improvisation through Processes. Applications in Music Education and Implications for General Education. Frontiers in Psychology. 8. 10.3389/fpsyg.2017.00911.

Berthoz, A. (2011), La semplessità. Codice Edizioni, Torino.

Cappelletti, A. (2009), “Ricercare le matrici profonde per liberarsi dalle regole”. Musicadomani, n. 151, pp. 45-46. https://www.musicadomani.it/wp-content/archivio/MD/MD151.pdf.

Colazzo, S. (2005), “Mentalizzare la prassi, operativizzare i concetti”. Spectrum, 17-30. YUMPU, https://www.yumpu.com/it/document/view/15731318/mentalizzare-la-prassi-operazionalizzare-i-concetti-siem. Data di accesso 07/10/2024

Cosottini, M. (2009), “Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale”. Musicadomani, n. 151, pp. 39-41. https://www.musicadomani.it/wp-content/archivio/MD/MD151.pdf.

Davidson, J., Pitts, S. E., & Correia, J. S. (2001), “Reconciling Technical and Expressive Elements in Young Children’s Musical Instrument Teaching: Working with Children”. Journal of  Aesthetic Education, 35(3), 51-62.

Delfrati, C. (2008), Fondamenti di pedagogia musicale. EDT. Torino.

Huovinen, Erkki & Tenkanen, Atte & Kuusinen, Vesa-Pekka. (2011). “Dramaturgical and music-theoretical approaches to improvisation pedagogy”. International Journal of Music Education. 29. 82-100.

Raganato, E. (2018). “La didattica reticolare, la semplessità ed il laboratorio di musica d’insieme Reticular teaching, simplexity and ensemble music class”. «Nuova Secondaria», Numero 4 del Dicembre 2018., (4).

Strobino, E. (2022 ), Il suono, l’istante e l’avventura. Educazione musicale e improvvisazione, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). https://www.musicheria.net/libri/il-suono-listante-e-lavventura-strobino/

Vitali, M. (2024), Ragazzi che si ascoltano. Improvvisare con i suoni nella scuola di base, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). https://www.musicheria.net/libri/ragazzi-che-si-ascoltano/

Note

[1] A sostegno della pratica dell’improvvisazione specialmente in ambito scolastico, intervengono diverse fonti normative ministeriali, quasi totalmente ignorate: Maturazione progressiva di tecniche improvvisative (solistiche e dinsieme)” (Linee guida dei licei musicali (DPR 89/2010), “Padronanza dello strumento sia attraverso la lettura sia attraverso l’imitazione e l’improvvisazione, sempre opportunamente guidata” (D.M. n. 201/1999), Limprovvisazione, intesa come gesto e pensiero che si scopre nellattimo in cui avviene (Traguardi per lo sviluppo delle competenze nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012).

[2] L’esperienza didattica è reperibile a questo indirizzo: https://arti.indire.it/switch/index.php?action=uda_singola&id=22

[3]La semplessità è la complessità “semplice”, ridotta e ricodificata in funzione dell’azione, in una forma compatibile con le proprie esigenze. Si tratta di un concetto mutuato dagli studi del fisiologo Alain Berthoz” (Raganato, 2018)

[4] Sono principi su cui si fonda la moderna didattica delle lingue, utilizzata per esempio in alcune app molto diffuse come Duolingo, dove la pratica diretta anche con l’uso dell’Intelligenza Artificiale, precede sempre la teorizzazione grammaticale.

Quanto scritto in questo articolo e che ne rappresenta i presupposti teorici e di metodo, è stato messo in pratica e sviluppato all’interno di un  progetto coordinato da INDIRE, dal titolo “Musicascuola”, dedicato alla creazione di attività laboratoriali innovative per la didattica degli strumenti musicali ed è pubblicato sul relativo portale dal 2022[1]. Pertanto in questa sede, non ci si soffermerà sulla metodologia in maniera descrittiva, ma quanto spiegato servirà a chiarirne la logica di costruzione formale sottostante.

Tradizione e innovazione

I tradizionali schemi didattici di cui si è parlato, hanno una serie di caratteristiche tipiche per insegnare ad improvvisare: anzitutto si nota l’incardinamento delle pratiche di improvvisazione all’interno di una grammatica “a priori”, che prevede di insegnarla pretendendo che la si conosca a fondo prima di saperla effettivamente “parlare”, cosa che invece avviene spontaneamente con il linguaggio e che è tra l’altro, una caratteristica essenziale di questo tipo di pratica, appresa e prodotta storicamente in contesti informali. Questa postura didattica, prevede quindi che prima di creare la propria improvvisazione, si dedichi molto tempo a quella che Delfrati chiama “propedeutica per l’aldilà“ e che vede nell’esercizio a sé stante, il modo migliore di allenare un’abilità che si è sicuri servirà nel futuro percorso, ammesso che non ci si fermi prima (Delfrati, 2008). Nella storia della didattica, ci sono stati esempi illuminanti di metodi che hanno coniugato la bellezza musicale con l’utilità tecnica, come nel caso degli studi op. 25 di Chopin o come nel caso della chitarra, con gli studi di Fernando Sor ed in particolare con la selezione e revisione operata da Andrés Segovia, che nella prefazione dei suoi “20 Studi” ne sottolinea la coesistente utilità tecnica e valenza musicale e di come questa caratteristica, non sia stata comune a tanti compositori e didatti. Schumann in questo senso compie un salto di qualità: non solo gli “Studi op. 3” sono di pregevole fattura musicale, ma sono a loro volta preceduti da esercizi tecnici che aiutano a migliorare e preparare esattamente ciò che l’allievo avrebbe trovato nel relativo successivo brano didattico. Anche se gli esempi esposti non si riferiscono precisamente all’ambito dell’improvvisazione, pur nascendo come detto in precedenza da una “attitudine improvvisativa” del comporre, ci aiutano a comprendere come ad un insegnamento “statico”, che decontestualizza la tecnica in gruppi di esercizi da proporre in maniera lineare durante il tempo, si può contrapporre dunque un insegnamento “dinamico”, che compie l’operazione di una continua contestualizzazione e “drammatizzazione” della tecnica, in un contesto espressivo-musicale.

Geometrie possibili: una nuova proposta didattica

Alla linearità di un percorso accademico tradizionale, che come abbiamo detto rischia di vincolare una materia per sua natura libera (pur sempre entro certi margini), possiamo pensare di contrapporre un atteggiamento non lineare, che lasci parlare le note come in un discorso a “braccio” dove non siano presenti degli schemi rigidi prefissati.

Quanto esposto trova conferma nelle proposte di un testo cult della pratica jazzistica, come Limprovvisazione Jazz” di Jamey Aebersold, illuminante per molti versi anche se legato per altri ad una didattica tradizionale “scale e arpeggi”.

L’autore invita a suonare espressivamente, comunicando qualcosa con entrambi gli emisferi cerebrali: quello sinistro, legato alla conoscenza teorica da mettere in pratica attraverso scale e accordi e quello destro, legato più alla spontaneità e all’istinto, che si fa guidare dall’orecchio dando grande importanza al canto, prima esterno e poi interno, per rendere libero il musicista di esprimersi senza il condizionamento dei suoi limiti tecnici sullo strumento. La voce infatti, strumento che ciascuno di noi sa utilizzare da prima e da più lungo tempo di qualsiasi altro studiato, permette di liberare meglio la fantasia e la creatività, rendendo potenzialmente assai espressivo e musicale ciascun musicista che abbia raggiunto un certo grado di libertà e di decondizionamento dalle proprie mani e della propria spesso frenante cultura musicale, legata molto di più al segno che al suono.

Sloboda e Davidson individuano cinque caratteri della prestazione espressiva:

  • Sistematicità: una chiara relazione tra l’uso di particolari procedure espressive e particolari fatture della musica, quali i confini di metro e di frase.
  • Comunicabilità: consiste nel fatto che gli ascoltatori possono meglio inferire fatture strutturali della musica quando l’espressione è presente che non quando manca.
  • Stabilità: quando la prestazione e ripetibile a distanza di tempo.
  • Flessibilità: un esecutore esperto può attenuare, esagerare modificare il profilo espressivo per evidenziare aspetti diversi del brano.
  • Automatismo: certe azioni vengono interiorizzate in modo da poter essere esercitate, quando serve senza nemmeno averne consapevolezza.

La sintesi proposta nel progetto didattico “Easy soling” per INDIRE – Musicascuola[2] parte da queste considerazioni “semplessificandole”[3], cioè rendendo comprensibili e molto più facilmente praticabili le classiche norme didattiche che normalmente richiedono moltissimo esercizio, senza sminuirne i tratti importanti e salienti: tutto questo partendo da tre regole semplici con l’utilizzo di pochissime note, anche solo quattro tra quelle importanti ad esempio in una scala pentatonica quali, tonica, terza, settima e nona:

  • costruire frasi di diversa lunghezza (prima due, poi cinque, poi una, poi sette note ecc…)
  • fare tante pause
  • ricominciare la frase successiva da dove è terminata quella precedente.

Tali “regole del gioco” permettono di rispondere esaurientemente a tutte le caratteristiche della prestazione espressiva citate da Sloboda-Davidson ed in questo contesto l’errore non esiste: eventuali deviazioni dalla consegna primaria di utilizzare solo quelle quattro note, saranno considerate più come un atto creativo, una temporanea deviazione dalla richiesta, dei “fuori contesto” in quel dato momento che possono diventare appropriati in un’altro.  Del resto in questo genere di musica, il suonare “out” accanto al suonare “in” è perfettamente comprensibile e addirittura apprezzabile: il risultato notevole è che semplicemente “sbagliando” delle note, l’allievo si troverà automaticamente a praticare un linguaggio musicale inusitato, ad avere una pronuncia corretta e convincente in un genere di musica pressoché sconosciuto, senza aver sentito parlare di tensioni, scale e modi. Questo non vuol dire ovviamente ignorare la teoria sottostante, le enormi possibilità che le conoscenze armoniche offrono e che rendono un musicista più completo ma piuttosto, essere portati a voler conoscere, approfondire ed interiorizzare la materia, con un livello di consapevolezza superiore, avendo sperimentato direttamente e parlato una lingua nuova di cui ancora non si conoscono le regole grammaticali e volendola parlare ancora meglio[4].
È un tipo di pratica con la quale trasmettere competenza quasi per contagio, con un processo di trasferimento di conoscenze tacite (Colazzo, 2005): viene chiesto di non esplicitare un contenuto, col rischio che diventi incomprensibile, ma che rimanga nel “suo mistero” e non pienamente svelato, per poi farlo interiorizzare. Questo vale sia per l’allievo quanto per il maestro: secondo Azzara (1999), è possibile anche per il docente che non possieda una solida conoscenza dell’argomento, interiorizzare e poi trasmettere nozioni sull’improvvisazione, con un approccio “aurale”, ascoltando molte improvvisazioni, imparando molto repertorio ad orecchio e soprattutto sperimentando molto. Ma la vera novità dell’approccio sta nella sua visualizzazione geometrica, favorita dalle simmetrie della chitarra; le quattro note di cui sopra possono essere sintetizzate in una forma rettangolare, visualizzandola sulla testiera della chitarra, o per esempio cambiando brano, per improvvisare su uno standard come “C-jam Blues” di Duke Ellington, usando tonica, modale e settima minore (do-mib-sib tra terzo, quarto e quinto tasto, terza e seconda corda) possiamo visualizzare un triangolo di note principali, al quale affiancare per esempio l’esecuzione di un triangolo ad esso complementare ma costituito tutto da tensioni, note di passaggio e di approccio. Così facendo, la ricerca di geometrie possibili va avanti autonomamente e con risultati anche considerevoli.

Conclusioni

Il laboratorio sull’improvvisazione qui presentato, ritengo possa avere una duplice valenza: per gli studenti, a partire dalle scuole medie per finire al Conservatorio per sviluppare capacità di ascolto, di interplay, affinare l’orecchio, sviluppare una capacità di invenzione melodica e soprattutto, per abbattere le barriere. Proprio per il suo non essere legato al segno scritto, l’improvvisazione permette anche a chi ha difficoltà nella lettura, come chi soffre di disturbi specifici dell’apprendimento o abbia disabilità, di sentirsi alla pari e incluso nel gruppo, avendo magari un lato creativo molto pronunciato.
Seconda importante valenza è per i docenti, che nella maggior parte dei casi provengono da studi tradizionali: quella di improvvisare rappresenta una vera e propria sfida con se stessi, con la possibilità di far emergere capacità forse ritenute assenti, quando invece solo nascoste.
Secondo questa prospettiva insegnare a improvvisare implica un soffermarsi sulle strutture generative, mentali, musicali, verbali e corporee (cinestesiche, visuali, olfattive ecc.) del nostro fare musica. È un processo a ritroso che dalle regole e categorie strettamente musicali risale, in senso diverso da quello shenkeriano, alle fonti e matrici originarie del discorso musicale, che sole lo rendono possibile.” (Cappelletti, 2009).

Bibliografia

Azzara, C. D. (1999), “An Aural Approach to Improvisation”. Music Educators Journal, 86 (3), 21–25. https://doi.org/10.2307/3399555

Biasutti, M. (2017), Teaching Improvisation through Processes. Applications in Music Education and Implications for General Education. Frontiers in Psychology. 8. 10.3389/fpsyg.2017.00911.

Berthoz, A. (2011), La semplessità. Codice Edizioni, Torino.

Cappelletti, A. (2009), “Ricercare le matrici profonde per liberarsi dalle regole”. Musicadomani, n. 151, pp. 45-46. https://www.musicadomani.it/wp-content/archivio/MD/MD151.pdf.

Colazzo, S. (2005), “Mentalizzare la prassi, operativizzare i concetti”. Spectrum, 17-30. YUMPU, https://www.yumpu.com/it/document/view/15731318/mentalizzare-la-prassi-operazionalizzare-i-concetti-siem. Data di accesso 07/10/2024

Cosottini, M. (2009), “Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale”. Musicadomani, n. 151, pp. 39-41. https://www.musicadomani.it/wp-content/archivio/MD/MD151.pdf.

Davidson, J., Pitts, S. E., & Correia, J. S. (2001), “Reconciling Technical and Expressive Elements in Young Children’s Musical Instrument Teaching: Working with Children”. Journal of  Aesthetic Education, 35(3), 51-62.

Delfrati, C. (2008), Fondamenti di pedagogia musicale. EDT. Torino.

Huovinen, Erkki & Tenkanen, Atte & Kuusinen, Vesa-Pekka. (2011). “Dramaturgical and music-theoretical approaches to improvisation pedagogy”. International Journal of Music Education. 29. 82-100.

Raganato, E. (2018). “La didattica reticolare, la semplessità ed il laboratorio di musica d’insieme Reticular teaching, simplexity and ensemble music class”. «Nuova Secondaria», Numero 4 del Dicembre 2018., (4).

Strobino, E. (2022 ), Il suono, l’istante e l’avventura. Educazione musicale e improvvisazione, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). https://www.musicheria.net/libri/il-suono-listante-e-lavventura-strobino/

Vitali, M. (2024), Ragazzi che si ascoltano. Improvvisare con i suoni nella scuola di base, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). https://www.musicheria.net/libri/ragazzi-che-si-ascoltano/

Note

[1] A sostegno della pratica dell’improvvisazione specialmente in ambito scolastico, intervengono diverse fonti normative ministeriali, quasi totalmente ignorate: Maturazione progressiva di tecniche improvvisative (solistiche e dinsieme)” (Linee guida dei licei musicali (DPR 89/2010), “Padronanza dello strumento sia attraverso la lettura sia attraverso l’imitazione e l’improvvisazione, sempre opportunamente guidata” (D.M. n. 201/1999), Limprovvisazione, intesa come gesto e pensiero che si scopre nellattimo in cui avviene (Traguardi per lo sviluppo delle competenze nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012).

[2] L’esperienza didattica è reperibile a questo indirizzo: https://arti.indire.it/switch/index.php?action=uda_singola&id=22

[3]La semplessità è la complessità “semplice”, ridotta e ricodificata in funzione dell’azione, in una forma compatibile con le proprie esigenze. Si tratta di un concetto mutuato dagli studi del fisiologo Alain Berthoz” (Raganato, 2018)

[4] Sono principi su cui si fonda la moderna didattica delle lingue, utilizzata per esempio in alcune app molto diffuse come Duolingo, dove la pratica diretta anche con l’uso dell’Intelligenza Artificiale, precede sempre la teorizzazione grammaticale.

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