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La conduzione della forma

Come apprendere la forma di un brano?

Il mio articolo vuole esplorare il concetto di apprendimento della forma musicale in relazione alla conduzione come contesto e strategia improvvisativa utile a tale scopo e rispondere alla domanda su cosa significhi apprendere la forma musicale in un contesto di formazione di base.

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Apprendere la forma musicale

Possiamo parlare di una forma musicale minima? Non è forse quella del singolo suono? Nel dire che questo suono è uno, non stiamo per caso dicendo che questo suono ha una forma? Anche se ascolto questo silenzio, posso dire che “questo silenzio è lungo” (o intenso, o breve, o assordante, ecc,) e immediatamente individuo la forma di questo silenzio. Ma sto realmente individuando una forma? Oppure colgo semplicemente l’unità di un fenomeno? Le due cose non sono la stessa cosa anche se vanno di pari passo. L’unità e la forma sono dimensioni differenti. Basti riflettere sul fatto che io posso modificare l’altezza, o il timbro, o la durata di un suono mantenendo la sua unità.
Per comprendere il rapporto fra unità e forma prenderò in considerazione il rapporto fra i concetti di invarianza e trasformazione[1]. L’unità del suono dipende da ciò che nel tempo rimane costante, strutturalmente invariante. Viceversa, la forma di un suono può cambiare nel tempo, possono cambiare le sue caratteristiche che dipendono dalle trasformazioni possibili del suono stesso (Cassirer, 1944)[2].

Dunque, per apprendere la forma di un suono dobbiamo considerare il rapporto fra l’unità e la forma, ovvero fra ciò che rimane costante e ciò che cambia. Considero che questo ragionamento sia valido anche per strutture formali più ampie. In generale, la forma dipende dalle caratteristiche sonore che, se trasformate, modificate, non inficiano l’unità del suono stesso, nel momento in cui i cambiamenti formali del suono “rompono” le costanti sonore allora l’unità del suono viene meno.  Qualcuno potrebbe pensare che questa deduzione sia scorretta. Prendiamo il caso di una frase musicale, di una melodia. In questo caso come possiamo dire che il suono mantiene la sua unità? Intanto i suoni sono tanti, vi possono essere pause, le altezze cambiano, ecc.. come possiamo considerare una melodia un suono unico? Difatti non si tratta di un unico suono. Si tratta però di un evento che ha una struttura, costituita da vari contenuti sonori che generano una forma sonora. La struttura melodica è unica e invariante e proprio le varie trasformazioni sonore conferiscono una forma unica all’evento, la melodia appunto. Lo stesso ragionamento si applica a elementi formali più grandi, come sezioni o parti più ampie di un brano musicale[3].

Come apprendere dunque la forma di un brano? I dispositivi che si utilizzano in questo caso non possono che prendere in considerazione il rapporto fra forma e unità della musica, fra ciò che si trasforma e ciò che rimane invariato nel decorso sonoro. Possiamo elencare quattro principali occorrenze del rapporto fra unità e forma:

  1. Le trasformazioni sonore sono rilevanti e l’unità del brano tiene
  2. Le trasformazioni sonore sono rilevanti e l’unità del brano viene meno
  3. Le trasformazioni sonore sono irrilevanti e l’unità del brano tiene
  4. Le trasformazioni sonore sono irrilevanti e l’unità del brano viene meno

Il primo è il caso di un evento musicale in cui vi sono cambiamenti notevoli in tutte le dimensioni sonore (altezza, timbro, durata, densità, tessitura, articolazione, ecc.) ma l’unità del brano è mantenuta. Si tratta di eventi che possono avere una breve o una lunga durata[4].
Il secondo è il caso in cui vi siano rilevanti trasformazioni ma l’unità del brano viene meno. Si tratta di brani che comunemente diciamo “informali”. Le trasformazioni sono così importanti che l’invarianza strutturale viene meno e dunque si perde l’unità del brano. Siamo di fronte a decorsi sonori a cui è difficile attribuire un’unità di senso musicale.
Il terzo caso è quello che vede poche trasformazioni e dunque una chiara costanza strutturale. Ad esempio, un brano molto ripetitivo o un suono tenuto appartengono a questo tipo di soluzione formale.
L’ultimo caso è impossibile. Se le caratteristiche del brano rimangono costanti nel tempo non può venir meno l’invarianza strutturale. Alcuni potrebbero ritenere che, per esempio, il silenzio possa compromettere l’unità di un brano, ma in realtà noi concepiamo il silenzio come una trasformazione del suono, quindi rientra nel secondo caso.

Dunque, se un evento sonoro percettivamente è il medesimo nel tempo allora mantiene la sua unità, è impossibile che la perda. Sia nel secondo che nel quarto caso il suono perde la sua unità e di conseguenza viene meno la sua forma. I casi da considerare come significativi per quanto riguarda la forma sono il primo e il terzo.
Quindi, per apprendere la forma è importante imparare a tenere l’unità del brano quando vi sono cambiamenti nelle sue caratteristiche musicali (sia rilevanti che non). Questa è la conclusione del nostro ragionamento ma anche Il nostro punto di partenza. Per apprendere come gestire, creare o modificare gli elementi formali di un brano, è essenziale mantenere l’unità del brano stesso, preservando alcune caratteristiche mentre se ne trasformano altre. Ciò deve avvenire facendo attenzione a non dissolvere le invarianze, ovvero la permanenza di certe caratteristiche strutturali, cosa che minerebbe alla base l’unità dell’evento sonoro e dunque la sua forma.
Adesso, a noi interessa approfondire come apprendere la forma musicale in un contesto improvvisativo.

Tenere e trasformare mentre improvvisiamo

Il decorso della musica dipende da ciò che riusciamo a cambiare nel tempo e ciò che invece sappiamo tenere fermo. Cambiare qualcosa (musicalmente) implica che io sappia come rispondere a uno spunto precedente, in un processo che dal passato avanza linearmente verso il futuro. La temporalità tipica di questo sviluppo è ciò che io chiamo Linearità. Il tempo scorre idealmente da sinistra verso destra, dal passato procede verso il futuro, gli eventi si succedono secondo un ordine e relazioni che determinano ciò che viene prima e ciò che viene dopo.  Tenere fermo qualcosa implica che io sappia cumulare (ritenere e stare allo stesso tempo) gli eventi musicali in un presente che implica la copresenza nonlineare di passato e futuro. La temporalità tipica di questo sviluppo è ciò che io chiamo Nonlinearità. Il tempo non scorre, si ferma e contiene tutte le temporalità in un presente in cui gli eventi sono presi nella loro autonomia, senza considerare l’ordine delle loro relazioni.
In che modo queste due capacità interagiscono con l’agire improvvisativo? L’agire improvvisativo è connesso con un atto che può essere descritto come un fluire in un presente che è in attesa da una parte di ciò che può improvvisamente accadere e dall’altra di ciò che può fallire a tenere.
Il presente è la calamita verso cui le varie temporalità si stringono, quella che si apre verso il futuro e i suoi possibili accadimenti e l’altra ancorata in ciò che è passato. Ecco che l’improvvisatore è in un’attesa costante, di spunti e di scelte e dall’altra accoglie e cumula questi spunti e queste scelte per ridisegnare il proprio passato. Il presente è in ogni momento rinnovato e pronto per attrarre il tempo o, meglio, le temporalità, rinnovato poiché le scelte lo hanno modificato e pronto per accogliere nuovi spunti che costituiranno nuove norme.
Dunque, l’improvvisatore pare esemplificare nel suo agire proprio il rapporto fra ciò che si trasforma nel tempo e ciò che invece non muta. Egli è alle prese con qualcosa (un’unità) che tiene nel tempo ma allo stesso tempo si apre alle modificazioni e si trasforma retroagendo su ciò che ora accade (è accaduto). L’agire improvvisativo è emblematico di un tenere in forma (uno) ciò che si trasforma continuamente. Ciò avviene “nello stesso tempo”, che in realtà significa nel presente (forza di attrazione).
Per apprendere la forma improvvisando dovremo imparare a gestire i contenuti musicali, la loro unità e le loro trasformazioni nel contesto di un agire improvviso. Questo implica che l’unità del brano e la sua forma sono aperte all’improvviso e all’imprevisto. Si tratta quindi di imparare a inventare e gestire allo stesso tempo un brano musicale che in ogni momento è e sta per venire e divenire.  Nel mio agire improvvisativo io devo imparare a individuare l’unità del brano, ciò che tiene, non muta nel tempo, che è costante durante tutto il decorso musicale, e allo stesso tempo devo modificare la forma del brano agendo sulle caratteristiche sonore nella salvaguardia di questo rapporto.
Così il musicista si appropria della forma e del suo modo di costituirsi. Rispettivamente, egli “comprende” la forma musicale poiché percepisce le varie caratteristiche sonore nel tempo e le loro modificazioni, allo stesso tempo “afferra” la forma nell’unità del brano rispetto a quei principi o a quelle regole che tengono e non cambiano; inoltre, impara come la forma cambia o rimane la stessa nel tempo poiché agisce direttamente modificando la materia musicale e allo stesso tempo tiene ferme le norme che consentono al fluire musicale di rimanere un’unità significativa.

Il caso dell’Improvvisazione Condotta

Guardiamo da vicino il caso dell’Improvvisazione Condotta come strategia per apprendere la forma musicale. I gesti del conduttore anticipano norme di comportamento, prescrivono indicazioni musicali; da una parte, stabiliscono principi musicali ai quali attenersi, ovvero ciò che in un brano (o una sua sezione) deve tenere malgrado tutte le modifiche possibili, dall’altra indicano anche possibili modifiche alla forma musicale intervenendo su precise caratteristiche musicali (come la dinamica, l’altezza ec…). Lo fanno a livelli diversi di significatività musicale, dalle indicazioni generiche di attivazione del suono o del silenzio fino a stabilire la condotta di eventi musicali che hanno una durata significativa.
Sulla base della strutturazione che Vitali ha effettuato dei gesti di Butch Morris (Vitali, 2024) proviamo a comprendere quali implicazioni vi sono rispetto alla forma musicale e all’agire improvvisativo.

I segni “Chi suona”

Sono segni che il conduttore applica per indicare chi deve suonare e quando suonare, se un singolo musicista, un gruppo, una sezione, una parte dell’ensemble oppure tutta l’orchestra. Essi avvengono sia con lo sguardo che direttamente con la bacchetta.
Cerchiamo di comprendere cosa prescrivono queste indicazioni dal punto di vista del musicista che deve interpretarle. L’indicazione “chi suona” può apparire banale, ciascun musicista dell’ensemble è “chiamato” a suonare; dunque, indicarlo potrebbe semplicemente rappresentare una “conferma”. In realtà, l’indicazione ci fa comprendere l’asimmetria fra il conduttore e il musicista. Il primo non solo, come vedremo, stabilisce quando è possibile suonare, ma anche se, in generale, sei autorizzato a farlo. Potrebbe accadere che un musicista esaurisca il suo ruolo semplicemente con la sua presenza, e succedere di partecipare alla performance senza emettere un suono. Questo è un aspetto da considerare con attenzione nel caso di un uso didattico della conduzione. Il bambino non è libero di esprimere il suo ruolo di musicista (almeno nel senso di persona che fa musica) a meno che il conduttore non lo permetta[5]. Qualcuno potrebbe pensare che esistano già pratiche musicali in cui il musicista è chiamato a suonare (magari direttamente dal leader del gruppo), basti pensare alle successioni dei soli in un brano di musica jazz. In realtà, in questo caso, viene stabilito più che il “chi” suona, il “quando” suona. Il jazzista che suona uno standard sa benissimo di essere un musicista “libero di suonare”, di essere in quel contesto per suonare (non per fare presenza), sa anche che sarà indicato per suonare un solo ad un certo momento, e di non suonare quando il solo lo farà un altro musicista, ma ciò è il frutto, ripeto, di una pratica condivisa che riguarda prioritariamente il “quando suonare”.
Nel nostro caso, il conduttore può considerare il musicista come una semplice presenza. Lo fa indirettamente se stabilisce di “non chiamare” qualcuno, o un gruppo, perfino l’ensemble stesso. L’unico ruolo che conserva le sue potenzialità nel tempo è proprio quello del conduttore. Anche nel caso estremo che egli non “chiami” l’ensemble a suonare egli manterrà intatte le sue potenzialità di conduttore e la performance sarà una performance “silenziosa”. È un caso estremo, ma è importante esserne consapevoli. Il musicista sa che potrà non suonare, non improvvisare, malgrado sia lì per questo motivo.
La presenza di segni per individuare un musicista o un gruppo è chiaro che hanno uno scopo performativo, nella costruzione di un brano musicale non sempre tutti devono suonare. Ma questa considerazione va al di là della prescrizione del segno del “chi suona” poiché riguarda più il “quando” che il “chi”. Capiamo come poter risolvere didatticamente questo che potrebbe presentarsi come un problema in un contesto di educazione di base.
Mi è capitato di eseguire conduzioni, di arrivare al termine della performance e di accorgermi che qualcuno non ha emesso un suono. La mia sensazione è stata di dispiacere e immagino una sensazione simile abbia provato il musicista. Nel caso dei ragazzi il rischio è che qualcuno possa provare stress emotivo, senso di frustrazione, dispiacere, fino a generare spiegazioni del proprio “fallimento” del tipo “non sono capace a suonare”, o perfino “sono antipatico al conduttore”.

In che modo posso apprendere la forma musicale a partire da questi primi segni del conduttore? Questi primi segni sul “chi suona” ci fanno capire che io posso suonare e nello specifico apprendere la forma musicale soltanto se il conduttore lo consente. Tale situazione è deplorevole in un contesto educativo, dunque deve essere risolta. Ciò può avvenire solo se io considero il “chi suona” insieme al “quando suona”. In questo modo la prescrizione del conduttore è una norma sulla quale io posso agire. Se la mia presenza è vincolata al tempo allora il mio silenzio ha un significato che non è valutabile esclusivamente dal punto di vista corporeo (presenza/assenza) ma musicale, ovvero della gestione del rapporto fra suono e silenzio. Se il musicista non suona è perché “in questo momento” il suo silenzio contribuisce al decorso musicale. Non è in gioco semplicemente la mia presenza ma l’essere musicista. Il gesto dell’indicare “chi suona” deve essere anche un gesto del “quando suona”.
In ambito educativo è bene sottolineare come questi segni sono distinti dal punto di vista organizzativo ma funzionano assieme, poiché soltanto così possono creare lo spazio che consente al musicista di agire musicalmente. Se la soggettività del ragazzo è immersa nel flusso temporale della performance allora è possibile aprirsi all’apprendimento e in particolare all’apprendimento della forma. In che modo? Grazie all’ascolto. In questa prima fase il ragazzo impara a riconoscere la propria presenza o la propria assenza come elemento formale della performance, il proprio suono o il proprio silenzio come elementi formali che determinano l’unità del brano musicale in corso.
La mia proposta è di utilizzare il segno del “chi”, del “cosa” e del “quando” all’interno del segno di Attenzione. Questa è di solito la prassi che prediligo. Chiamo il gesto di Attenzione, poi indico chi deve suonare, poi cosa deve suonare e infine quando. Tutto avviene in un unico “gesto” che è formato da altri segni o gesti.

Il gesto di Attenzione

Il segno (o il gesto) dell’Attenzione è il primo che introduco poiché didatticamente è quello che fa comprendere il rapporto fra un flusso musicale che scorre e il modo in cui ciascuno può agire. Esso consente di “aprire una finestra” nel presente continuamente sfuggente e introdurre una istruzione, una norma che sarà poi quella che condizionerà ciò che accadrà in seguito.
Il segno dell’Attenzione mostra che, anche quando il musicista è in silenzio, il suo silenzio deve essere attivo e vigile, un’azione che influenza già la forma della performance musicale. Pedagogicamente, esso viene prima dell’indicare il “chi” poiché stabilisce che noi siamo già nel ruolo di musicisti attivi e partecipi nella costituzione del brano musicale. Esso ci dice che “stiamo per suonare” ma ci dice anche che “stiamo per fare silenzio”, in entrambi i casi stiamo inventando la forma musicale del brano in essere (e in fieri).
All’inizio, può anche essere utile didatticamente utilizzare soltanto il segno dell’Attenzione rivolgendo il palmo della mano ora verso un musicista, ora verso un gruppo, ora verso l’intero ensemble, e verificare la prontezza dei ragazzi, se sono vigili, pronti, già attivi. In realtà si capisce poco dopo che questo esercizio è già una performance poiché i ragazzi, con il loro silenzio-attivo, stanno già facendo musica, performance. Inoltre, essi si sentono “chiamati” in causa, partecipi, in sintonia e in sincronia con il conduttore. Il segno dell’attenzione, usato “a vuoto”, consente una prima forma di agire improvvisativo poiché richiama l’organizzazione dei possibili gruppi musicali (dal singolo, al duo, trio, piccolo gruppo, e infine ensemble). Il ragazzo capisce che la sua partecipazione attiva, seppur nel silenzio, può organizzare gruppi di musicisti utili alla performance. Se il ragazzo non risponde al gesto dell’Attenzione capisce che il risultato musicale che potrebbe venirsi a creare non sarà il medesimo e quindi influirà sulla forma del brano e sulla sua unità[6].
Il gesto dell’Attenzione si manifesta come un gesto del “chi”, ma con un valore attivo e partecipativo che include implicitamente anche il “quando”, ovvero adesso! Più in generale potrebbe essere reinterpretato in modo più ampio come un gesto dell’ascolto, un ascolto attivo e partecipato.

Gesti conduzione Significato
Attenzione (Ascolto) Gesto che chiede al musicista di stare attento, vigile, in ascolto. È possibile che il conduttore chieda anche il chi e il quando ma non è detto, anche soltanto la sua applicazione è utile per comprendere la suddivisione formale dell’ensemble in gruppi di musicisti

Gesto Pronti/Via

Il gesto Pronti/Via è tanto potente quanto “pericoloso”: esso chiede, con un attacco del conduttore, di suonare. Il musicista riceve un segnale al quale deve rispondere; in linea teorica può suonare qualsiasi cosa egli ritenga opportuno. Non può “non suonare”, è un gesto di attivazione del suono. Due aspetti devono essere chiariti prima di usare il gesto: primo, il musicista deve suonare sull’attacco oppure può iniziare con un margine di tolleranza intenzionale? Secondo, il musicista improvvisa? Vi sono condizioni particolari che regolano la sua improvvisazione?

Per quanto riguarda il primo aspetto, il problema nasce poiché vi sono altri gesti (quelli indicati da Vitali come Conduzione Rappresentativa) che chiedono al musicista di rispondere immediatamente e non consentono di iniziare a proprio agio. Si pensi alla chiamata dei “Punti”, rapidi, lenti ecc.. Il gesto del Pronti/Via potrebbe essere confuso con questi a meno che i gesti rappresentativi non siano introdotti da un segnale (Es.: bacchetta che tocca la punta del naso).
Il secondo aspetto è più interessante da considerare. L’architettura della conduzione è fatta di norme che regolano il flusso musicale senza far riferimento al contenuto di questo flusso. Cosa devono suonare i musicisti? “Suona forte” o suona “Punti”, oppure “Accompagna”, sono gesti che organizzano il materiale musicale, ma non suggeriscono cosa, in particolare, si debba suonare. Intorno al Gesto del “Pronti/Via” si gioca tutto il senso della performance, compreso, come vedremo il senso del rapporto fra materia e forma musicale.
Tradizionalmente questa pratica sottintende che ciascun musicista improvvisi. In realtà la stessa architettura organizzativa potrebbe essere applicata (con qualche eccezione: la conduzione rappresentativa) a materiali già composti in precedenza. Si può anche pensare di ibridare l’architettura, ad esempio basandola sull’improvvisazione e inserendo momenti pre-composti in corrispondenza dei gesti “Memoria”[7].
Limitiamoci a considerare il caso in cui la pratica esecutiva dei musicisti sia sostanzialmente improvvisata[8]. L’architettura della conduzione agisce dunque sull’esecuzione musicale di un gruppo di improvvisatori. Ciò significa che il gesto del Pronti/Via chiede a ciascun musicista di improvvisare. Ecco la “potenza” di questo gesto, esso consente di aprire nuovi scenari, mondi sonori inesplorati, aprire all’invenzione musicale e alla creatività grazie alla pratica improvvisativa. Il musicista si sente libero di esprimersi e interpretare i segni e i gesti della conduzione secondo la propria intenzione e il proprio desiderio comunicativo. La conduzione è così un mezzo per liberare la fantasia musicale del conduttore e dei musicisti, in un processo di condivisione delle scelte e degli esiti musicali. La performance è una vera e propria “opera collettiva” che nasce e muore sul momento.
Allo stesso tempo, il gesto del Pronti/Via è un gesto “pericoloso”, delicato dal punto di vista sia estetico che educativo. Molto spesso il ragazzo che non pratica l’improvvisazione musicale, o la pratica saltuariamente, rischia la paralisi di fronte a un gesto che chiede con fermezza: “Improvvisa!”. È comprensibile, soprattutto per chi è abituato a concepire il suonare in termini sostanzialmente esecutivi. Il musicista abituato ad eseguire partiture composte in precedenza sa benissimo cosa fare se il direttore da l’attacco di inizio di un brano. Vi è la tensione dell’attacco, della pulizia e precisione del suono[9], ma allo stesso tempo vi è la sicurezza di “sapere cosa suonare, e come suonarlo”. Nel caso dell’improvvisatore manca proprio quest’ultimo aspetto. L’improvvisazione è una pratica basata sull’improvviso e l’imprevisto, iniziare a improvvisare è proprio l’emblema del “non so cosa andrò a fare”. Con l’esperienza si impara il “come fare” pur rimanendo l’apertura all’imprevisto la caratteristica fondamentale dell’agire improvvisativo: esso si condensa nell’affermazione “So come fare il non so cosa”. Ciò che sto dicendo non implica affatto che per improvvisare sia necessario un training preliminare che consenta al musicista di agire nell’imprevisto. È proprio questo fraintendimento che genera preoccupazione e stress in chi si appresta a improvvisare. L’agire improvvisativo ci dice che occuparsi in anticipo di ciò che accadrà è una pre-occupazione. Come tale non è utile, anzi induce ansia e impedimento al libero flusso di idee ed emozioni utili per l’invenzione musicale. La preoccupazione del “cosa devo suonare” è molto frequente nei ragazzi, dobbiamo renderli consapevoli che la loro preoccupazione si basa su di un fraintendimento, che improvvisare significa suonare in un’ottica prevalentemente lineare. Se è vero che il decorso musicale si sviluppa in un tempo lineare, non è detto che l’agire improvvisativo attinga esclusivamente a questa dimensione per realizzarsi. Non è necessario concatenare gli eventi musicali seguendo regole di successione, oppure suonare in modo narrativo o drammatico sviluppando in modo “orizzontale” il flusso musicale. È possibile invece concentrarsi su un solo aspetto del decorso sonoro e farlo diventare la norma dell’agire improvvisativo. Posso ad esempio “curare la pasta del suono”, e allora immaginare di improvvisare suonando una nota soltanto. Nel tenere questo suono io mi concentrerò sulle sue innumerevoli sfumature timbriche o sulle minime oscillazioni dell’altezza, o sulla sua dinamica. Si tratta di “tenere” una di queste caratteristiche e modificarne altre. Suonare una nota lunga adesso diventa una pratica di esplorazione del suono che è già una pratica improvvisativa. In questo senso, la preoccupazione del “cosa suonare” si dissolve, prevale il desiderio di esplorare e modificare il suono. Attaccare un suono non è più eseguire un compito di precisione e riproduzione ma diventa un’”avventura” di ricerca e di cura, di invenzione e godimento.

In un contesto di scuola di base la pratica della conduzione deve affiancarsi alla pratica dell’improvvisazione. Da una parte non dobbiamo sottovalutare le risorse espressive e creative dei ragazzi rischiando di limitare la loro capacità improvvisativa, dall’altra non dobbiamo “pretendere” che tutti vivano serenamente questa pratica. Purtroppo, una concezione fortemente lineare della musica pervade ancora molti ambiti educativi e formativi per cui è importante curare con attenzione il modo di “entrare” in questa pratica.
In che modo il gesto del Pronti/Via determina l’apprendimento della forma? Anche da questo punto di vista questo gesto mostra enormi potenzialità ma anche notevoli pericoli. Come abbiamo detto, l’improvvisazione è in grado di modificare la forma di un brano, e lo fa sul momento. Ciascun intervento sul suono e sulla sua articolazione genera un cambiamento nella sua forma. In un contesto collettivo, una modifica nel singolo suono è allo stesso tempo una modifica al suono collettivo. La forma del singolo suono contribuisce alla forma del suono complessivo. In un contesto di agire improvvisativo questo contributo avviene sul momento, una risorsa e una complicazione al tempo stesso[10]. Il ragazzo può essere in una fase “esplorativa”, trovarsi di fronte alla necessità di “gestire” la forma musicale, la propria e quella del gruppo, può rappresentare una preoccupazione (come nel caso appena visto dell’improvvisazione musicale). Paradossalmente, è proprio in un contesto di musica d’insieme, e di improvvisazione collettiva, che il ragazzo apprende con efficacia la forma musicale. Le proprie soluzioni formali sono mediate da quelle degli altri musicisti, i vincoli introdotti dal contesto collettivo rappresentano limiti entro i quali le proprie norme inventive devono stare. Queste norme, nel momento della loro applicazione e del confronto con le norme degli altri musicisti, si trasformano fino a diventare norme collettive in un confronto serrato e continuo.

Una strategia didattica per preparare il gesto del “Pronti/Via”.

Avendo chiarito le potenzialità e i rischi connessi all’uso del gesto “Pronti/Via”, propongo di adottare la seguente strategia didattica[11]. Prima di introdurre il gesto può essere utile utilizzare la combinazione dei gesti “Suoni lunghi” e “Guida tu”. In particolare, il conduttore chiama “Suoni lunghi” all’ensemble, o a una sua sezione o gruppo, dopodiché chiama il gesto del “Guida tu” a un singolo musicista. Entrambi i gesti hanno una connotazione formale abbastanza delineata.
Il primo gesto chiede di eseguire suoni prolungati, dunque consente di concentrarsi (come detto in precedenza) sulla qualità del suono, cercando di evitare la preoccupazione del dover “dire qualcosa” o del “raccontare”. Molto velocemente il musicista capisce anche che qualsiasi suono (nota) va bene all’occorrenza, che è possibile cambiarla, con calma, senza fretta; il cluster sonoro, se ben equilibrato dinamicamente e nella qualità del suono[12], ha una sua unità (e piacevolezza). Nella gestione del suono lungo, il musicista “accorda” la propria forma sonora con quella della sezione, o del gruppo o dell’ensemble. Così si apprende la forma, nell’interazione fra le proprie scelte formali (le modificazioni al proprio suono) e quelle che emergono dal gruppo[13].
Il secondo gesto chiede al musicista di mettersi in evidenza, di “farsi sentire”[14]. A pensarci bene, l’idea di emergere dal gruppo può essere ottenuta anche soltanto modificando un solo aspetto della mia improvvisazione. In questo caso posso anche pensare di iniziare facendo suoni lunghi, come il resto dell’ensemble, e poi provare a modificare un aspetto del mio suono: l’altezza? il colore? La pasta? La pesantezza? Ecc.. Potrei quindi modificare la densità dei suoni, ora più ora meno, modificare il timbro del mio suono, eseguendo suoni più morbidi oppure aspri, ora aumentando o diminuendo il volume della mia esecuzione e infine eseguendo suoni molto brevi o decisamente lunghi[15]. Come si può intuire, si tratta di un agire improvvisativo a tutti gli effetti, ma circoscritto a interventi che non drammatizzano (o estremizzano) il rapporto fra la propria forma sonora e quella dell’ensemble. Al contrario, il ragazzo percepisce la forte unità del brano (dovuta ad esempio alla permanenza della texture sonora), tiene ferma tale invarianza e allo stesso tempo agisce sul cambiamento sonoro. Egli sperimenta immediatamente cosa significa modificare la forma del proprio suono (aumentare o diminuire la dinamica ad esempio) rispetto a quella dell’ensemble e di conseguenza impara a costituire una forma condivisa. Egli si assume pienamente la propria responsabilità dovendo seguire il gesto del conduttore, espone il proprio suono e se stesso in un contesto nel quale apprende a improvvisare e allo stesso tempo impara a gestire la forma del brano. Inoltre, la performance riesce dal punto di vista estetico poiché, sebbene a rischio di fallimento (come tutte le esperienze improvvisative), si muove su di un piano di coerenza e di unità del brano significative[16].

A chiusura di questa attività si può presentare il gesto Panorama che chiede di suonare sulla base dell’orientamento della bacchetta. Io lo interpreto secondo questo principio: il braccio è disteso, la bacchetta è dritta e perpendicolare al braccio, il musicista suona se la bacchetta tocca la linea immaginaria che unisce lo sguardo del conduttore con quello del ragazzo. Rispetto alla versione originale è meno “fine” la sua efficacia, è molto difficile in questo modo far interagire il singolo musicista (spesso lungo questa linea vi si trovano più musicisti). Ha però il vantaggio di creare un momento di improvvisazione di breve durata e perlopiù collettivo. In un certo senso è la “contrazione” temporale del gesto Guida tu poiché il musicista è chiamato a improvvisare ma in un lasso di tempo brevissimo. Ciò consente, seppur nella rapidità della sua esecuzione, di lanciarsi nell’improvvisazione con maggiore slancio (sebbene minor cura). È un gesto che normalmente riscuote un certo successo poiché il risultato sonoro è “spettacolare”, se il gesto del conduttore è ben controllato, è in grado di produrre spostamenti del suono sull’asse stereofonico di notevole effetto. Singolarmente, ogni ragazzo partecipa con entusiasmo poiché è “trascinato” insieme agli altri nell’esecuzione.

Gesti conduzione Significato
Attenzione (Ascolto) Gesto che chiede al musicista di stare attento, vigile, in ascolto. È possibile che il conduttore chieda anche il chi e il quando ma non è detto, anche soltanto la sua applicazione è utile per comprendere la suddivisione formale dell’ensemble in gruppi di musicisti
Suono lungo

Guida tu

Panorama

I due gesti sono utili per avvicinarsi al gesto del Pronti/Via poiché consentono di avvicinarsi all’improvvisazione e al cambiamento della forma musicale con maggiore prudenza.

Il gesto Panorama può essere considerato come un gesto di chiusura di questa strategia condensando in un breve momento l’agire improvvisativo.

Ho trascritto due interviste fatte a Giada e a Davide che mostrano il livello di consapevolezza delle strutture formali apprese.
Insegnante: “Cosa vorresti migliorare in questa performance?”
Giada: “Il suono, a volte era troppo forte”
I: “Hai usato il gesto del Guida tu con più persone, ha funzionato?”
G: “Ho qualche dubbio, forse è meglio una sola persona”
I: “C’è stato un momento che ti è piaciuto più di altri?”
G: “Si, quando suonavano meno persone”
I: “C’erano delle sezioni strumentali o delle combinazioni di timbri che ti piacevano più di altri?”
G: “Forse le percussioni, il violino con la tastiera e il flauto”
I: “Questo brano, secondo te, è diviso in parti? E se sì, quali sono?”
G: “o due o tre parti. Nella prima c’erano meno strumenti e quindi suonava meglio, nella seconda c’erano molti più strumenti e quindi più confusione e l’ultima parte con piccole sezioni”.

Intervista a Davide
Insegnante: “Racconta questa performance”
D: “Mi è piaciuta, Giuliano (batterista) ha suonato bene, l’ho voluto tenere sempre perché rianimava sempre il ritmo”.
I: “in quante parti hai diviso questo brano?”
D: “più o meno in tre, all’inizio ho messo la batteria con il violino, la tastiera e il cajon, mentre nella seconda parte ho messo la batteria con due tastiere e il violino mentre nella terza parte ho fatto suonare più o meno un po’ tutti.
I: “qual è la parte che ti è piaciuta di più?”
D: “la seconda, anche se non saprei dire perché”.

La consapevolezza formale delle improvvisazioni comincia a delinearsi, i ragazzi prendono lentamente coscienza del fatto che il brano può essere suddiviso in più momenti eterogenei. Facendo leva sulla memoria ricostruiscono il decorso sonoro e sono in grado di scandire il passaggio del tempo raggruppandolo secondo caratteristiche timbriche (spesso si riferiscono allo strumento passando per il nome del bambino che lo suona, probabilmente la scelta formale vede indissolubilmente legati il timbro alla persona che lo produce. Questo è un tema che meriterebbe di essere approfondito).
Davide ha sentito il bisogno di gestire l’intensità e ha introdotto il relativo gesto senza preavviso (lo aveva visto fare dall’insegnante due lezioni prima).

L’istruzione Disegno

L’istruzione Disegno consente di condurre l’improvvisazione tramite “disegni immaginari”. Il movimento della bacchetta nell’aria simula la scrittura di segni grafici che il ragazzo interpreta musicalmente come fossero disegni.
È possibile creare punti, linee, superfici e forme geometriche. Come nel caso del gesto Pronti/Via, il musicista è chiamato a improvvisare. Malgrado ciò vi è una differenza importante, il musicista deve “rappresentare” musicalmente alcuni segni grafici semplici. La loro semplicità (un punto, una linea) guida la risposta istintiva del musicista che, sebbene virtualmente mai la stessa, si concretizza in risposte più o meno standard.  Ai punti vengono associati suoni brevi, alle linee suoni lunghi e glissandi, al movimento verso l’alto l’acuto, al basso il grave, all’oscillazione veloce una rapida successione di note oppure un’oscillazione nell’altezza dello strumento (strumenti ad arco), ecc.. Queste soluzioni, come si può notare, contengono in sé una buona costituzione formale, la forma del disegno viene restituita in forme musicali in modo intuitivo e rapido. Come nel caso del Guida tu, la possibilità di cogliere velocemente una forma e di poterla modificare agevolmente è garanzia di successo dell’agire improvvisativo. Stiamo parlando di strutture elementari, che si basano su invarianze musicali semplici e ben percepibili. Ciò che accade è che una costanza nel segno grafico viene trasferita in una costanza nel flusso musicale. Il segno del punto con la bacchetta è percepito come un suono breve, la forma del segno puntuale, prima ancora che la sua grandezza relativa (se disegno più punti posso con il gesto accentuarne la grandezza o la piccolezza) viene restituita come un suono breve con una data intensità. Se il segno del punto viene calcato con più intensità dal conduttore allora il musicista introdurrà nella sua restituzione l’aspetto dinamico (più forte = più intenso il gesto, più piano = meno intenso il gesto). Il segno della linea mostra una continuità e una costanza nel tratto che, sulla base dell’effettivo gesto del conduttore, può suggerire una linea spessa, oppure una linea esile o leggermente mossa sui bordi. Queste costanti grafiche vengono riconsiderate musicalmente, una linea spessa può diventare un suono lungo con un’intensità mezzoforte, una linea esile, un suono lungo con una dinamica piano, ecc.. la percezione della forma grafica viene intuitivamente restituita con un contenuto musicale unitario e ben formato. Non si tratta di stabilire se la “traduzione” del segno in musica sia corretta. Personalmente, preferisco parlare di restituzione, come quell’operazione che trasferisce un segno grafico in un contenuto sonoro. La restituzione non è corretta o sbagliata, ma più o meno valida, a giudicare dal confronto fra la forma del contenuto percettivo visivo e quello uditivo.

Il punto di forza di questo gesto è che il ragazzo riesce a restituire i segni grafici improvvisando con una buona qualità formale, semplice ma efficace. Ciò gli consente di reagire abbastanza velocemente alle richieste del conduttore e quindi sentirsi sicuro del proprio risultato sonoro. Il consiglio è di introdurre i segni grafici partendo dai punti e dalle linee per poi iniziare a “giocare” sull’altezza del gesto e sulla sua intensità e finire con le forme geometriche[17].

Gesti conduzione Significato
Attenzione (Ascolto) Gesto che chiede al musicista di stare attento, vigile, in ascolto. È possibile che il conduttore chieda anche il chi e il quando ma non è detto, anche soltanto la sua applicazione è utile per comprendere la suddivisione formale dell’ensemble in gruppi di musicisti
Suono lungo

Guida tu

Panorama

I gesti Suono lungo e Guida tu sono utili per avvicinarsi al gesto del Pronti/Via poiché consentono di avvicinarsi all’improvvisazione e al cambiamento della forma musicale con maggiore prudenza.

Il gesto Panorama può essere considerato come un gesto di chiusura di questa strategia condensando in un breve momento l’agire improvvisativo.

Disegno Il gesto ha la virtù di stimolare l’improvvisazione in un contesto di rispecchiamento fra segno grafico ed esecuzione che consente una efficace gestione della forma musicale

Osservazioni

Rispetto al segno dell’attenzione
I conduttori hanno mostrato un iniziale desiderio di rinforzare il segnale, avvicinandosi ai compagni e talvolta usando il linguaggio verbale, per paura di non essere compresi e per oggettiva mancanza di attenzione dei compagni. Ho suggerito una maggiore lentezza nel movimento che da più tempo di fruizione ai musicisti e una maggiore comprensibilità.

Rispetto al segno di suono lungo e guida tu.
Non ci sono particolari osservazioni. Sono gesti molto chiari. Rispetto al suono lungo gli studenti hanno chiesto se possono cambiare altezza, io ho suggerito di si, naturalmente mantenendo il senso di “lungo” del suono. Hanno chiesto anche di cambiare timbro ma ho preferito tenere uniformi le sezioni. I ragazzi hanno deciso di usare per il Guida tu un gesto diverso, diventato popolare in questo periodo. Il gesto ha funzionato bene. Dopo la spiegazione verbale che ho fatto, una studentessa ha chiesto se poteva aumentare l’intensità del suono usando la mano sinistra e alzando e abbassando la mano. La richiesta è relativa al cambiamento formale del suono a partire da una sua caratteristica. L’improvvisazione è legata allo sviluppo della forma, questa ne è una conferma.

Dentro la forma

La consapevolezza formale emerge progressivamente con l’utilizzo della gestualità. Questo aspetto è rilevante per la mia indagine. La forma non si delinea come una dimensione musicale più o meno astratta ma emerge nell’agire “direttoriale”, incarnata nel gesto della conduzione. Per questo motivo ho deciso di continuare la mia ricerca tenendo sospese alcune strategie di apprendimento della forma descritte e suggerite in letteratura come ad esempio

  1. Individuare i contrasti (timbrici, di intensità o di velocità o armonici)
  2. Individuare le ripetizioni[18]

In questi casi l’insegnante deve “spingere” per rendere accessibili questi concetti in modo tale che lo studente ne possa prendere consapevolezza. D’altra parte, non è chiaro se lo studente sia in grado di far propri questi elementi semplicemente in un contesto di riconoscimento guidato. L’insegnante può individuare la ripetizione e suggerirla ma non è certo che lo studente afferri il rapporto fra gli eventi sonori proprio rispetto a ciò che in essi si ripete e che sia in grado in futuro di riconoscerlo nuovamente. Ci sono studiosi, come Michel Imberty[19], che sostengono come l’apprendimento della forma dipenda dallo sviluppo cognitivo del bambino e che di conseguenza alcune consapevolezze sono legate alla maturazione di specifici processi percettivi. Per tale motivo ho preferito rimanere aderente all’idea che la percezione e la gestualità siano facce della stessa medaglia e che la consapevolezza della forma emerga a partire da questo rapporto.
Perciò ho pensato di creare una consegna a partire dal principio strutturale che costituisce l’idea di forma discussa all’inizio, ovvero che vi sia qualcosa che rimane invariato rispetto alle trasformazioni possibili. Preso nella sua generalità questo principio può essere riformulato come un principio di azione di questo tipo

  • Agisci tenendo un’invarianza mentre trasformi.

Questa condotta può essere riformulata così da essere maggiormente comprensibile senza però perdere la sua generalità. Il rischio di specificare troppo ciò che può essere tenuto e ciò che può essere trasformato rischia di far precipitare di nuovo la strategia didattica nel dubbio di scarsa chiarezza ed efficacia. L’obiettivo è far crescere nei ragazzi la consapevolezza del rapporto fra qualcosa che viene mantenuto costante e qualcosa che invece si trasforma. In questo rapporto sta l’essenza della forma. Altre formulazioni possono essere le seguenti:

  • Conduci in modo che qualcosa rimanga costante mentre qualcos’altro si modifica
  • Conduci tenendo qualcosa fermo mentre qualcos’altro si trasforma
  • Tieni fermo qualcosa mentre lo cambi

Solo in seguito è necessario tornare su questo principio e specificarlo, ma solo sulla base delle scoperte che l’allievo effettua durante la sua esperienza di conduzione.

Conclusioni

Le conduzioni di Matteo (https://youtu.be/4LmdJ6GxvCc) e Davide (https://youtu.be/vAMeM6MkPnI) sono riassuntive del percorso fatto durante l’anno scolastico. Egli avevano a disposizione tutti i gesti finora introdotti: Attenzione, Pronti via, Guida tu, Panorama, Disegno, Dinamica[20]. Come si può notare, ne hanno usato pochi, anche a causa del fatto che queste esecuzioni sono avvenute molto tempo dopo aver introdotto e fatto esperienza dei gesti del conduttore (motivi relativi agli impegni del calendario scolastico).
Aggiungo di seguito la trascrizione dell’intervista fatta a Matteo dopo l’esecuzione della conduzione:

Insegnante: Matteo, mi sapresti dire in che modo hai suddiviso il brano dal punto di vista formale?
Matteo: In tre parti, la prima quando suonavano gli xilofoni, Violet e i flauti. La seconda quando ho chiuso i flauti e gli xilofoni e hanno iniziato le tastiere con Giorgia e Giuliano, e la terza in cui hanno suonato un po’ tutti.
I: come hai applicato il principio di tenere qualcosa mentre cambi qualcos’altro?
M: ho tenuto un sacco Giorgia, tutto il tempo, ho tenuto anche Damian all’inizio. Ho modificato sia Emma con il gesto del Disegno e Brando.

La qualità delle conduzioni nel loro complesso ha notevoli margini di miglioramento, diciamo che alla fine del percorso fatto i ragazzi hanno tutti gli strumenti per approfondire le capacità espressive dell’Improvvisazione Condotta[21].  A noi interessava tematizzare il rapporto fra Improvvisazione Condotta e acquisizione formale. In questo senso, possiamo trarre alcune conclusioni che incoraggiano il proseguimento dell’esperienza fatta in vista di un maggiore approfondimento delle questioni formali implicite nel processo di indagine svolto secondo il metodo dell’Improvvisazione Condotta.

Gli studenti hanno acquisito e hanno gestito la forma musicale e in vari modi:

  • Suddivisione del brano in sezioni. Essi dimostrano di sapere distinguere l’ensemble secondo criteri di omogeneità strumentale e timbrica facendo spesso riferimento al musicista piuttosto che allo strumento musicale.
  • Capacità di agire e percepire trasformazioni musicali nel tempo.
  • Consapevolezza del rapporto fra suono e silenzio, del “quando” e del “chi” suona come elementi costitutivi della forma.
  • Memoria sonora retroattiva e ripercussiva con cui gli studenti riconoscono il brano come una successione coerente di eventi che si influiscono a vicenda. Dalle loro interviste si capisce che attribuiscono “parti” e “momenti” al brano denotando una buona intuizione formale (anche se espressa con un vocabolario semplice e non specialistico).

I gesti utilizzati, l’Attenzione, il Guida Tu, il Pronti/Via, il Panorama e il Disegno organizzano a diversi livelli il rapporto fra elementi costanti e variabili. Essi non “insegnano” la forma ma la fanno agire e costruire nel contesto della performance. Il principio per cui si “tiene qualcosa mentre si trasforma qualcos’altro” è un dispositivo che ha mostrato la sua utilità poiché consente allo studente di agire in prima persona sulla costituzione della forma musicale. Esso genera un “paradosso fertile” per cui costanza e trasformazione devono coesistere per essere generativi. La forma musicale non viene “esercitata” (e in questo senso ho evitato di dare istruzioni preconcette sulle possibili dimensioni che la forma musicale può assumere come spunto per esercitarsi) ma agita dinamicamente, cioè, fatta emergere dall’esperienza musicale. Ad esempio, il gesto dell’Attenzione, usato come introduzione ai gesti successivi, attiva l’ascolto come costruttore di forma per cui l’allievo decide, tiene e trasforma nel mentre che vive l’esperienza della conduzione.
Quali dimensioni formali sono state agite dai ragazzi? I ragazzi hanno dimostrato di aver compreso la relazione fra ciò che rimane costante e ciò che muta (vedi l’intervista di Giada), sia rispetto alle sezioni strumentali che alle combinazioni timbriche (vedi l’intervista di Davide). I riferimenti a “prima, seconda e terza parte” indicano una buona consapevolezza dell’organizzazione temporale degli eventi sonori, non tanto sequenziale quanto strutturale. Non vi erano difatti particolari motivi che caratterizzavano le transizioni fra una parte e l’altra per cui, più che l’ordine temporale, è stata significativa la distinzione strutturale del brano e dunque una concezione del tempo come campo di possibilità strutturato. Inoltre, sia l’aspetto timbrico che il silenzio sono percepiti come elementi strutturali e non solo rispettivamente coloristici o come assenza di suono.
Il principio del “tenere qualcosa trasformando qualcos’altro” ha influito sull’acquisizione della forma e ha funzionato come metodo pedagogico implicito del processo di apprendimento della conduzione e dell’improvvisazione musicale. Rispetto all’improvvisazione è divenuto una forma mentis che ha guidato le esecuzioni (tenere invarianti e trasformare altre dimensioni). Infine, è diventato uno strumento di costruzione collettiva poiché ha consentito alla forma di emergere non come schema preesistente ma come norma da condividere, applicare e allo tesso tempo trasformare e mettere in discussione.
L’Improvvisazione Condotta ha consentito ai ragazzi di acquisire consapevolezza del proprio ruolo musicale, sia come esecutori che come conduttori, di intervenire sul brano senza distruggerne l’unità (la strategia di Matteo che ha mantenuto Giorgia mentre cambiava altro), e infine di apprendere competenze metacognitive musicali come quando Giada valuta che un gesto non funziona bene (Guida Tu con più persone), segno di una riflessione autonoma sulle conseguenze formali delle proprie azioni musicali.
Possiamo concludere dicendo che l’Improvvisazione Condotta, basata sui gesti e sull’ascolto, consente di acquisire la forma musicale in modo esperienziale e creativo. Il principio dell’invarianza e della trasformazione funge da motore dell’apprendimento e da criterio valutativo interno alla pratica stessa.

Come propositi per il futuro sarebbe interessante continuare ad approfondire il rapporto fra forma musicale e Improvvisazione Condotta in una dimensione esperienziale e creativa, ad esempio creando “forme modulari” che aumentano la consapevolezza della ripetizione, della variazione e del contrato come elementi strutturali, oppure situazioni di conduzione a staffetta così da  sviluppare la consapevolezza formale in modo collettivo (ogni conduttore deve mantenere un elemento invariante e trasformare il resto). Inoltre, potrebbe essere interessante lavorare sul gesto della Memoria per richiamare elementi tematici o timbrici e aumentare la consapevolezza strutturale.

Bibliografia

AA.VV., Capire la forma, EDT/SIEM, 2004
Cassirer, E., (1944), The Concept of Group and the Theory Perception Theory, A Quarterly Journal, Vol V, N.1.
Strobino, E., Il suono, l’istante e l’avventura, Progetti Sonori, 2022.
Vitali, M., (2024), Condurre il suono a scuola, Musicheria.

NOTE

[1] Ho approfondito questi due concetti nella mia tesi di dottorato “Fenomenologia dell’improvvisazione musicale. La prospettiva del performer” (https://hdl.handle.net/11368/2931263).

[2] Il rapporto fra invarianza e trasformazione e la sua applicabilità in ambito fenomenologico è descritta in Cassirer […]. A partire dalla teoria matematica dei gruppi egli indaga il funzionamento della percezione ritenendo che “The real foundation of mathematical certainty lies no longer  in the elements from which mathematics starts but in the rule by which the elements are related to each other and reduced to a “unity of thought” (Cassirer, 1944: 8). La “regola” che rende analoga la matematica e la percezione può essere definita come il “gruppo di trasformazioni” che possiamo applicare a un oggetto. Un oggetto, matematico o percettivo, può apparire differente (ad esempio, una statua vista da angolazioni differenti) ma avere la stessa “struttura” (invarianza) che ne caratterizza l’“essenza” e l’unità.

[3] Stiamo parlando di unità e di forma, cosa diversa è l’identità di cui in questo caso non ci occupiamo.

[4] Si tratta sempre di trasformazioni che non minano l’unità del brano, cioè che non compromettono l’invarianza strutturale in atto.

[5] Considerare la semplice presenza, con l’abbigliamento e lo strumento musicale, come un elemento performativo è qualcosa che può esteticamente ed artisticamente essere considerato ma non mi pare sia nelle premesse della Conduction, per come ad esempio la utilizza Butch Morris.

[6] Vedi https://youtu.be/P8Vv3xBzV4Q e https://youtu.be/Q_Win8Wa8SI. Nel prossimo video gli studenti rispondono ad alcune domande dell’insegnante: https://youtu.be/A3M1dhDHuTQ. I video sono in formato 360, è possibile vedere varie angolazioni tenendo premuto e spostando il puntatore del mouse. Da ora in poi li indicherò con (360).

[7] Come suggerisce e pratica Enrico Strobino in un suo recente laboratorio musicale [riferimento]

[8] In un contesto di organizzazione del materiale musicale è lecito domandarsi se sia possibile fare citazioni musicali. La questione è interessante. Vedremo come è possibile risolverla all’interno del rapporto fra forma e unità del brano.

[9] Condizioni emotive su cui riflettere ma che esulano dallo scopo del presente articolo.

[10]  Improvvisare è assumersi delle responsabilità, verso il mio suono e verso il suono dell’ensemble, verso me stesso e verso gli altri. Il secondo aspetto è forse più importante del primo (sebbene ovviamente collegati), nel senso che in un contesto di educazione di base, un fallimento musicale viene probabilmente considerato come un fallimento della persona (con evidenti ripercussioni sul contesto socio-affettivo).

[11] Già utilizzata spesso nella mia esperienza laboratoriale.

[12] Sull’attenzione alla dinamica e alla qualità del suono il conduttore può insistere anche verbalmente durante l’esecuzione.

[13] Nel primo video (360) vediamo l’esecuzione del gesto del Suono Lungo da parte di una allieva (https://youtu.be/gx2Gl7PtrmM). Il prossimo video (360) utilizza i gesti dell’Attenzione, del Suono Lungo e della Chiusura da parte di Emma (https://youtu.be/avkOhj6h4gg) e da parte dell’insegnante (https://youtu.be/Kx4XKaR9EAA).

[14] In questa fase, non mi concentrerei tanto sul significato di guidare quanto quello di emergere.

[15] Sulla base di queste indicazioni si possono costruire esercizi appositi.

[16] Video (360) relativo all’uso del gesto Guida Tu: https://youtu.be/S8iL61kK0jE.

[17] Il video mostra Giada alle prese con vari gesti compreso il Gesto Disegno (https://youtu.be/f13Lyc0h7uA). Si può notare come il gesto incontri in alcuni alunni qualche difficoltà, lo strumento musicale condiziona notevolmente l’esecuzione poiché il gesto fa leva su modalità di esecuzione insolite che i ragazzi raramente hanno modo di esplorare. In questo senso il gesto del Disegno ha bisogno di essere praticato per consentire maggior libertà di espressione esecutiva.

[18] Vedi AA.VV., Capire la forma, EDT/SIEM, 2004

[19] Vedi articolo Imberty in AA.VV., Capire la forma, EDT/SIEM, 2004.

[20] Il Gesto Dinamica chiede ai musicisti di aumentare o diminuire l’intensità del loro suono.

[21] Conto di proseguire il percorso intrapreso nel prossimo anno scolastico (2025/2026).

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