Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

“Specializzato in musica” alla scuola dell’infanzia

Tornare tra i bambini come pedagogisti musicali

Sono un musicista appassionato di educazione musicale. Da una decina d’anni lavoro come esperto esterno nelle scuole dell’infanzia e primaria, ho progettato e condotto laboratori musicali in vari istituti prima in Piemonte (Biella e Ivrea) e negli ultimi anni in Liguria (Genova). Dal 2020 il mio lavoro è cambiato molto, come per tutti i musicisti ed educatori che svolgevano e svolgono questo mestiere.

L’arrivo della pandemia ha dapprima fatto sospendere le attività dell’anno scolastico 2019/2020, per poi cercare di recuperare alcune ore perse in modalità online, con tutte le difficoltà del caso. Non è di questo che vorrei parlare, perché avrei poco da raccontare in più rispetto a quello che molti colleghi hanno già scritto. Piuttosto riporterò che ho vissuto durante lo scorso anno scolastico, da settembre 2020 a giugno 2021.

Da tre anni collaboravo con una scuola paritaria dell’infanzia di Genova, dove il rapporto con le colleghe docenti di ruolo era sempre stato collaborativo e ricco di scambi. Ci tenevano a farmi partecipare alla riunione di programmazione annuale e ad alcuni incontri con i genitori, per integrare il più possibile il laboratorio di musica con il percorso didattico. Come per molte altre scuole, le colleghe si sono trovate in difficoltà nel dover gestire le sezioni come “bolle”, senza possibili spostamenti di personale da una all’altra. La scuola conta tre sezioni omogenee di circa 20-25 bambini, con la coordinatrice e tre docenti, di cui una di sostegno. L’organico non era sufficiente per garantire la presenza su tutte le sezioni per l’intera giornata senza spostamenti di docenti da una classe all’altra. La coordinatrice ha optato per una scelta “anomala”: invece che chiamare una maestra laureata in Scienze della Formazione primaria, ha deciso di proporre a me, un educatore musicale, una docenza di 25 ore settimanali in supporto alla sua sezione.

La proposta mi ha meravigliato e senza pensarci troppo ho accettato, anche perché sapevo che, come esperto esterno, non avrei potuto lavorare molto con il sistema delle “bolle”. Da lì è iniziata un’avventura in compagnia delle Coccinelle, 21 bambini di tre anni con cui ho vissuto un anno di crescita, il primo di scuola dell’infanzia (non solo per loro, ma anche e soprattutto per me).

 

 

Ruolo educativo

Non sono stato assunto come docente di scuola dell’infanzia (senza il titolo di formazione primaria non è possibile), ma ho scoperto che è possibile entrare nell’organico come “docente di scuola infanzia specializzato in musica”, grazie al diploma di conservatorio. In teoria non avrei potuto tenere da solo la classe al di fuori delle ore adibite al laboratorio musicale (una al giorno, quando la coordinatrice era in pausa), ma all’occorrenza poteva succedere. In quanto referente Covid, la mia collega era spesso impegnata in attività riguardanti la gestione delle situazioni critiche, la comunicazione con gli uffici della ASL ecc … In sostanza sulla carta ero docente di musica, all’atto pratico sono diventato un maestro a tutto tondo.

Il primo problema che ho affrontato è stato dunque quello delle competenze: avevo appena iniziato l’ultimo anno di LM-85 (Laurea Magistrale in Pedagogia, progettazione e ricerca educativa presso l’Università degli studi di Genova), ma non avevo mai svolto attività continuativa, tutti giorni per tutto l’anno, nella stessa scuola dell’infanzia. Le colleghe e la coordinatrice mi hanno aiutato molto con un dialogo continuo, permettendomi di entrare sempre di più nel ruolo. Provo ad utilizzare alcune parole chiave per descrivere i passaggi di questa formazione sul campo.

Prospettiva

Il primo passaggio è stato un cambio di sguardo. Quando facevo i laboratori musicali la mia osservazione era focalizzata sulle condotte e sull’esperienza sonora della classe. Da maestro ho dovuto lavorare su una percezione indirizzata allo sviluppo globale di ogni singolo bambino. Prima, dato il poco tempo a disposizione ad ogni incontro, non era possibile riuscire a valutare l’esperienza musicale nella dimensione soggettiva di un allievo piuttosto che un altro. Durante l’anno passato non era invece possibile valutare l’esperienza musicale separata dal resto della vita scolastica. La lente d’ingrandimento si è quindi spostata dalla proposta didattica collettiva agli obiettivi di sviluppo personali. Cambiare l’oggetto osservato significa cambiare modo di guardare, e questo è stato il lavoro dei primi mesi, il mio “inserimento”.

Relazione

Quando si incontra una classe con cadenza settimanale i rapporti sono molto esplosivi, l’energia e la gioia dell’incontro si concentra in quell’ora e con esse l’attenzione dei bambini. Tuttavia, non si può creare una relazione educativa paragonabile a ciò che avviene stando in classe per molte ore ogni giorno. Se uno dei problemi che affrontavo da educatore musicale era cercare di ricordarmi i nomi di tutti gli allievi, quest’anno non me lo sono posto nemmeno dopo la prima giornata. La prossimità continua implica l’osservazione e l’interpretazione di molte sfaccettature del carattere e del comportamento, che sviluppa una tridimensionalità della relazione educativa. Una relazione più intensa non implica maggiore o minore difficoltà nel ruolo. L’esterno è più distaccato, e questo può permettere di costruire un’”aura magica” attorno alle attività musicali proposte; tuttavia, nella quotidianità l’obiettivo non è “incantare”, non porterebbe a nulla. Piuttosto è necessario sviluppare un legame di fiducia, soprattutto all’inizio, e se necessario di autorevolezza, ma non di autorità. I bambini ascoltano se c’è un buon motivo per farlo, se si fidano dell’adulto e se lo riconoscono come guida. Il “mago” non è più un mago se lo incontri tutti i giorni, se ci pranzi insieme, se gioca a nascondino con te e se gli scappa da andare in bagno. Stabilire una buona relazione educativa, senza “magia”, può essere più difficile. Occorre lavorare molto sulle proprie risposte emotive nei confronti dei comportamenti più vari e complessi, perché basta poco per lasciarsi sopraffare dagli istinti, come spesso fanno i bimbi. Ma loro sono gli allievi, noi adulti non dobbiamo permetterci di dare risposte inadeguate per colpa dello stress o della difficoltà nel gestire le “monellate”. Mantenere un buon rapporto senza diventare il giullare, raggiungere l’autorevolezza senza trasformarsi in un gendarme, è una costante ricerca di equilibrio per chiunque lavori in profondità sulla relazione educativa.

Obiettivi

Il cambio di prospettiva e il costante lavoro sulla relazione educativa portano ad una conoscenza più approfondita di ogni allievo. Questo bagaglio di informazioni permette di puntare a formulare obiettivi personali, calibrati su quel bambino. Questo non comporta perdere di vista la dimensione collettiva, bensì rende più articolata e complessa la programmazione. Nel momento in cui si pensano le attività strutturate si ragiona sugli obiettivi generali di sviluppo, sulle competenze da raggiungere o da rinforzare, sui bisogni del gruppo-classe. Ma fuori da quelle attività ci sono tutti gli altri momenti, soprattutto quelli di gioco libero, nei quali si riesce a lavorare a livello individuale. Questo approfondimento riporta l’attenzione ai bisogni del singolo anche all’interno delle attività strutturate, che vengono modulate e valutate incrociando la dimensione collettiva ed individuale. Purtroppo, da esterni non è possibile una cura degli aspetti didattici ed educativi in questo senso, non per mancanza di competenze, bensì perché non c’è modo di conoscere in maniera approfondita gli allievi. Quando si riesce a lavorare puntando alle competenze del soggetto, si può utilizzare davvero la musica come strumento per raggiungere obiettivi più generali per lo sviluppo della persona, come d’altronde fa da sempre la musicoterapia, “sorella” della pedagogia musicale.

Tempo e Ritmo

La dimensione temporale è mutata radicalmente. L’incontro con i bambini era costante, per tutto l’anno, e non più concentrato in alcuni appuntamenti. Per usare una metafora musicale, non si trattava più di comporre delle hit estive efficaci che convogliassero l’energia, ma di estendere la produzione a grandi opere sinfoniche, apprezzabili nella loro interezza e molteplicità di idee coerenti e concatenate. Un tempo disteso, un ritmo più libero. In questo racconto non parlerò delle attività didattiche in generale, ma mi concentrerò su quelle musicali per descrivere il cambio di ruolo. L’esperto esterno entra a scuola suonando il campanello, predispone la sala e fa musica per una lezione. Il maestro entra a scuola senza suonare, ma da lì comincia a cantare. Il bello delle attività musicali è che sono immediate, si possono realizzare con la voce e il corpo in qualunque luogo, posso essere molto brevi, sono divertenti anche ripetute quotidianamente, la loro qualità esecutiva matura se esercitata costantemente. Chiunque studi uno strumento sa che rende di più un’ora di studio ogni giorno che un concentrato di 8 ore in una giornata a settimana. Ho cercato di applicare questo principio alla scuola dell’infanzia: piuttosto che la lezione settimanale di musica, ho predisposto un programma di proposte da reiterare quotidianamente nei momenti di passaggio tra il gioco libero, l’attività strutturata, il pranzo, la nanna ecc … Una musica tappabuchi, che permetteva di trasformare momenti apparentemente “morti” in pillole educative e musicali. Non solo. La musica si presta a supportare molte altre attività quali l’educazione motoria, il disegno, la narrazione, il gioco strutturato; dunque, si può inserire velatamente un po’ ovunque accompagnando altre esperienze. Anche i momenti liberi sono stati occasione per permettere ai bambini di giocare con i suoni, predisponendo dispositivi pedagogici adeguati (area strumenti da utilizzare liberamente) e creando lo spazio per l’ascolto di brani proposti sia dai bambini che da noi docenti. Garantire il tempo per una rielaborazione dei materiali musicali è difficile per un esterno, ma diventa un’ottima possibilità per chi lavora a scuola dall’interno. La creatività è un passaggio importante nello sviluppo musicale e globale, come da sempre sostengono i più importanti pedagogisti musicali in Italia, e troppo spesso viene tralasciata per far spazio alle proposte degli adulti.

 

Contenuti musicali

Questa esperienza mi ha permesso di ripensare completamente il mio ruolo di docente, non senza difficoltà nel mutare le abitudini acquisite negli anni precedenti. Dal punto di vista delle attività proposte, è stata un’importante occasione per mettere insieme gran parte del repertorio personale. Giochi, filastrocche, esperienze sonore, canti, danze, strumenti … In un anno di scuola si può davvero fare molto, adattandolo a seconda degli obiettivi del progetto educativo. Ho diviso il programma di attività strutturate e libere in cinque categorie:

Canti e filastrocche

Prendendo spunto dalle idee di Orff e Kodaly e dalle rispettive metodologie, molte proposte musicali strutturate erano costituite da canti e filastrocche adatti all’età dei bimbi (3 anni). Il repertorio si è formato utilizzando brani proposti dalle colleghe, in particolare i canti della routine, canti popolari da varie parti del mondo, filastrocche e conte che avevano come tema i soggetti narrativi della programmazione settimanale. Gli obiettivi principali di quest’attività erano il linguaggio (molti bimbi non parlavano ad inizio anno), la memoria, la condivisione di stati affettivi (sintonizzazione), la socializzazione attraverso il canto cooperativo. Alle parole erano sempre associati gesti e simboli riguardanti la dimensione narrativa dei testi. Per riportare in questo racconto qualche esempio, all’interno di un modulo dedicato alla vocalità ho scelto cinque canti provenienti da diversi Paesi (si trovano tutti in varie versioni su youtube, riporto i testi semplificati):

  • Do do l’enfant do (Francia): “Dodo, ninna oh, dormi dormi mio bambin /Dodo, ninna oh, presto dormirai …

Una coccinella, dorme nella culla / ninna oh, presto dormirai … ninna oh!”

  • Dynom danom (Repubblica Ceca): “Dynom Danom LalalalaLalla” (x4)
  • Canta Sabia (Brasile) “Canta Sabia, Nao pè de l’arangera / Canta sabia, todo dia noite intera”
  • Funga Alafia (Sierra Leone): “Funga alafia ashe ashe / Funga alafia ashe ashe”
  • Pupu hinuhinu (Hawaii): “Pupu hinu hinu, pupu hinu hinu eh / Oke Kay kay kay kay eh, Pupu hinu hinu eh”

La selezione è stata fatta pensando a melodie semplici, pentatoniche o diatoniche, facili da memorizzare, secondo un criterio multiculturale; alcune parti dei testi troppo difficili per i bimbi sono state semplificate in lallazioni o sostituite con parole italiane. Ogni canto veniva eseguito con gesti specifici con le mani o con movimenti in cerchio. Con il passare delle settimane, ho cercato di introdurre in ogni brano variazioni musicale che ampliavano la forma e la complessità, quali alterazioni di tempo, timbro o intensità in funzione di effetti espressivi e rimandi simbolici particolari. Ad esempio, nel primo canto in elenco, essendo una ninnananna, cambiavamo timbro vocale e intensità a seconda che cullassimo un bambino minuto o un bambino enorme: nel primo caso spostavamo il registro sulle le frequenze acute con dinamica piano, viceversa nel secondo caso ci spostavamo su quelle gravi con dinamica. Il tutto si svolgeva come un gioco dopo pranzo, come momento di stacco e di quiete prima della ripresa dei giochi.

Giochi di movimento

Non è possibile immaginare un suono slegato da un movimento. La musica, registrata o suonata dal vivo, era un’ottima base per avviare giochi di movimento indirizzati verso l’attivazione o il contenimento e per aiutare i bambini nello sviluppo motorio. Un determinato gesto sonoro aiutava i bambini ad interiorizzare un gesto motorio, come la capriola, la camminata sulle punte, ecc. Inoltre, a fianco allo sviluppo motorio si lavorava su quello percettivo e cognitivo: attenzione ai segnali, ai movimenti dei compagni, alle indicazioni verbali o gestuali del docente, alle regole del gioco di movimento, alla struttura narrativa.  Alle volte in supporto delle attività motorie utilizzavamo attrezzatura da psicomotricità. Un esempio di questi giochi è stato l’utilizzo degli incipit del primo movimento di ognuna delle Quattro Stagioni di Vivaldi divenute danze di carnevale coreografate con i foulards. Ho utilizzato la registrazione della Israel Symphony Orchestra diretta da Zubin Mehta, 1983, minutaggio da disco ma inserisco qui il video integrale

https://www.youtube.com/watch?v=paOCwzcS79s

  • Estate (0’00’’-1’10’’): ingresso progressivo all’interno del cerchio di tutti i bimbi con i foulards attorno al collo come sciarpe, quando ci si incontrava si faceva un inchino e si salutava con la mano, come gli invitati al ballo di carnevale che entrano in sala.
  • Inverno (0’00’’-0’42’’): i foulards diventavano maschere, si camminava all’interno del cerchio come fantasmi seguendo la dinamica in crescendo.
  • Autunno (0’00’-1’05’’): l’attivazione energetica fa sventolare i foulards, sempre tenuti con la stessa mano seguendo la dinamica, con piccoli movimenti di polso nel piano e ampi movimenti di braccio nel forte.
  • Primavera (0’00’’-0’33’’): una vera e propria esplosione che porta a lanciare in aria i foulards e saltare, successivamente raccoglierli e nella ripetizione piano farne una pallina, per poi lanciarli nuovamente.

Esplorazione strumentale

Molti bambini identificano la musica on gli strumenti musicali: il contatto con il materiale vibrante, il gesto, la manipolazione, la varietà di colori e forme, le variazioni timbriche, sono tutti elementi che affascinano, incuriosiscono e motivano i bambini nella sperimentazione individuale o collettiva. In questi momenti si sviluppa molto il ramo creativo dell’educazione musicale. Proprio per questo penso che il valore formativo degli strumenti sia emerso più nei momenti liberi di manipolazione ed improvvisazione che in quelli in cui venivano usati per accompagnare canti o giochi strutturati.

Alcuni strumenti erano sempre a disposizione: una decina di maracas, quattro tamburi, un bastone della pioggia, un ocean drum, tre ukulele, un metallofono contralto a piastre mobili. Nei momenti di gioco libero i bambini potevano utilizzarli liberamente, suonando da soli o insieme. Altri strumenti sono stati oggetto di esplorazione libera con la mia supervisione, per evitare incidenti ai bambini o agli strumenti: una chitarra elettrica suonata con lo slide, una viola, due piatti sospesi, utilizzati spesso in coppia. Nell’uso libero e quotidiano degli strumenti i bambini sono passati dall’esplorazione al dialogo sonoro, per giungere alcune volte a brevi forme strutturate (suono e silenzio, imitazione, forte e piano) o ad accompagnarsi nel canto di canzoni.

Ascolto di brani

Anche l’ascolto è un’importante condotta musicale. I brani registrati di differenti generi musicali stimolano la fantasia, permettono di inventare storie, possono accompagnare molte attività rinforzando l’attivazione o il riposo, come nel momento della nanna; inoltre, influiscono positivamente l’acculturazione promuovendo la familiarità verso tradizioni e stili musicali differenti. Organizzando dei momenti di ascolto si possono far emergere i gusti musicali dei bambini, dando spazio alla loro volontà di riascoltare la musica che amano, per poi muoversi da quelle canzoni con giochi ed altre attività musicali. Si riesce in questo modo a dare uno spazio decisionale in più ai bambini, accogliendo le loro proposte e rilanciandone di proprie. E poi oggi, con app come youtube o spotify e una cassa bluetooth, siamo in grado di far sentire qualsiasi musica con una qualità audio accettabile.

Con le Coccinelle abbiamo creato una playlist mista, associando ad ogni brano un personaggio: quando si ascoltava il brano, i bambini imitavano il personaggio con un particolare movimento. Alcuni brani sono stati scelti dai bambini, altri da me partendo dai personaggi richiesti da loro:

Esperimenti sonori

Altre attività strutturate sono state pensate puntando alla sperimentazione, alla ricerca delle sonorità, sull’onda delle avanguardie della musica colta contemporanea. Riporto qui due in particolare, seguite dai bambini con molta curiosità.

Versi Volatili: traendo spunto dalla concrete music e dalle ricerche ornitologiche di Messiaen, ho inserito in un multipad i versi di quattro uccelli, che i bimbi dovevano riconoscere ed imitare con uno specifico movimento.

Musicattoli: ispirandosi ai rumoristi e a vari colleghi educatori musicali che hanno scritto testi su come costruire ed utilizzare oggetti sonori da materiali riciclati, ogni bambino ha costruito e decorato la propria scatola con gli strumenti autocostruiti, quali maracas, nacchere, guiro, piatto, sonagli.

 

“Trovate” pedagogiche

Terminato l’anno sono tornato a pensare alla mia professione nel campo dell’educazione musicale. Sapevo che sarebbe stato un incarico provvisorio, dato dalla situazione emergenziale, e che un posto “fisso” eventualmente sarebbe toccato a chi aveva il titolo e la formazione adatta alla mansione. Propongo a chi sta leggendo alcune considerazioni conclusive sulla valutazione globale dell’esperienza e sulle “trovate”, per usare un termine caro ai pedagogisti musicali, ovvero le idee pedagogiche scaturite dalle improvvisazioni didattiche.

Ci sono stati almeno tre grossi limiti nella progettazione didattica musicale che ho svolto.

Il primo è stata una partenza lenta, data dalla necessità di conoscere l’ambiente, gli allievi, la routine giornaliera, le norme e tutto ciò che di nuovo mi presentava il contesto. All’inizio sono andato per tentativi, alcuni riusciti ed altri falliti, ed ho iniziato a strutturare con cura le attività organizzate e i dispositivi pedagogici solo dopo i primi mesi, a gennaio. Era probabilmente il tempo necessario per “l’inserimento” mio e dei bambini; un po’ mi spiace per non aver impostato tutto in maniera organizzata fin da subito, ma al tempo stesso non so se sarebbe stato possibile e se il progetto sarebbe stato migliore rispetto ad una costruzione sul campo.

Il secondo limite è stata la mancanza di un sistema valutativo globale rispetto alle esperienze musicali. Il tema della valutazione è complesso in questa fascia di età, ma mi sarebbe piaciuto approfondirlo e sperimentare sistemi di osservazione e verifica delle competenze acquisite. Data la mole di attività musicali svolte e la rarità di questo tipo di opportunità lavorativa, sarebbe stato interessante studiarne l’impatto educativo. Purtroppo, il tempo a disposizione non è stato sufficiente per dedicarmi anche a questo aspetto.

Il terzo limite è la poca documentazione raccolta, dato che nei momenti in cui facevo attività musicale spesso ero da solo e la responsabilità sulla classe non mi permetteva di gestire anche una ripresa audiovisiva delle idee musicali manifestate dai bambini. D’altronde accade lo stesso con molte altre esperienze didattiche e di gioco non musicali, e questo indubbiamente ne limita la possibile condivisione.

Guardando invece agli aspetti positivi, l’esperienza è stata molto importante per la mia formazione. Da anni ero un viandante fra le scuole dell’infanzia, ma non ero mai stato un abitante delle classi. Questo anno passato mi ha fatto vivere da dentro come i bambini crescono e vivono la scuola e come le maestre lavorano e progettano le attività didattiche ed educative. L’opportunità ricevuta ha fatto crescere in me una maggior consapevolezza del contesto, ma anche delle possibilità, dei bisogni, degli obiettivi auspicabili per gli interventi degli esterni. Riuscire ad osservare lo stesso luogo, la scuola dell’infanzia, attraverso la prospettiva di un docente interno ha sicuramente cambiato il mio modo di pensare l’attività da esterno.

Non si tratta di un arricchimento solo mio: anche le colleghe, in sede di verifica, mi hanno fatto intendere come per loro sia stato importante avere un collega diverso da solito. La prospettiva maschile spesso è complementare a quella femminile, e nei primi gradi scolastici spesso c’è una grande disparità di genere fra gli insegnanti. Un collega con una formazione diversa, senza un’esperienza pregressa in quell’ambiente, ma con spirito d’iniziativa e un po’ di improvvisazione (in questo la formazione musicale è davvero utile) è una risorsa se si vuole mettere in discussione il “si è sempre fatto così”, o se si devono trovare soluzioni alternative che rispondano alla situazione pandemica. Un musicista, se ha ben chiari gli obiettivi educativi e non si chiude nella propria disciplina, può arricchire la dimensione sonora di ogni attività educativa, rendendo l’esperienza più complessa (non difficile o complicata) e formativa per i bambini. E questo arricchimento del sonoro può genera una multidimensionalità pedagogica che migliora sia il vissuto personale sia l’ambiente collettivo.

Quali “trovate” conclusive?

Parto da una domanda aperta: dato che esiste nell’ordinamento scolastico, perché in nessun’altra scuola avevo mai sentito parlare di docenti di scuola infanzia specializzati in musica? Quale potrebbe essere il valore di questa figura, se fosse diffusa?

Sicuramente la presenza di un docente di musica stabile migliora l’ambiente scolastico e dà uno spessore educativo diverso alla vita in classe. Certo, con la carenza di risorse che investe il sistema scolastico pubblico e privato non è auspicabile immaginare una rivoluzione in questo senso. Occorre tuttavia continuare ad affermare quanto la pedagogia musicale sia importante per lo sviluppo integrale, e che non dovrebbe essere relegata ad attività esterne finanziate quasi esclusivamente dai PON o dai genitori.

In linea teorica l’istituzione scolastica affida questa disciplina alle docenti di ruolo, ma è chiaro che i corsi di formazione siano carenti sulle competenze musicali (almeno per quanto riguarda il livello generale nazionale). Dall’altra parte, spesso gli esperti esterni arrivano in classe con pacchetti didattici preconfezionati, senza calibrare gli interventi sul contesto specifico e senza cercare di integrare il laboratorio musicale con la programmazione scolastica. Talvolta questi due mondi non si parlano, e la musica rimane relegata ad un’attività ricreativa al pari di una visita guidata o un film. Questo affidare la musica esclusivamente ai professionisti è un vecchio problema del mondo occidentale e non solo. Può essere sensato in determinati contesti, come i concerti o gli studi di registrazione, dove l’obiettivo è la musica in sé; diventa una distorsione nei contesti educativi, dove l’obiettivo è lo sviluppo integrale della persona, quindi anche nella dimensione sonoro-musicale. La pedagogia deve dialogare con la musica e la musica con la pedagogia, altrimenti ogni intervento sarà uno spot, una hit estiva come tante da consumare e dimenticare, e lascerà poco in profondità.

Penso che il pedagogista musicale, se inserito con continuità in un contesto scolastico, possa essere la figura ponte in grado di garantire dialogo interdisciplinare ed efficacia formativa ed educativa delle proposte laboratoriali. È compito nostro, dei pedagogisti musicali, trovare modo migliore per promuovere questo inserimento nella quotidianità scolastica, senza pensare per forza ad una integrazione nell’organico (assai improbabile a mio avviso in questo periodo storico), ma auspicando ad abitare gli spazi della consulenza e della formazione.

Ruolo educativo

Non sono stato assunto come docente di scuola dell’infanzia (senza il titolo di formazione primaria non è possibile), ma ho scoperto che è possibile entrare nell’organico come “docente di scuola infanzia specializzato in musica”, grazie al diploma di conservatorio. In teoria non avrei potuto tenere da solo la classe al di fuori delle ore adibite al laboratorio musicale (una al giorno, quando la coordinatrice era in pausa), ma all’occorrenza poteva succedere. In quanto referente Covid, la mia collega era spesso impegnata in attività riguardanti la gestione delle situazioni critiche, la comunicazione con gli uffici della ASL ecc … In sostanza sulla carta ero docente di musica, all’atto pratico sono diventato un maestro a tutto tondo.

Il primo problema che ho affrontato è stato dunque quello delle competenze: avevo appena iniziato l’ultimo anno di LM-85 (Laurea Magistrale in Pedagogia, progettazione e ricerca educativa presso l’Università degli studi di Genova), ma non avevo mai svolto attività continuativa, tutti giorni per tutto l’anno, nella stessa scuola dell’infanzia. Le colleghe e la coordinatrice mi hanno aiutato molto con un dialogo continuo, permettendomi di entrare sempre di più nel ruolo. Provo ad utilizzare alcune parole chiave per descrivere i passaggi di questa formazione sul campo.

Prospettiva

Il primo passaggio è stato un cambio di sguardo. Quando facevo i laboratori musicali la mia osservazione era focalizzata sulle condotte e sull’esperienza sonora della classe. Da maestro ho dovuto lavorare su una percezione indirizzata allo sviluppo globale di ogni singolo bambino. Prima, dato il poco tempo a disposizione ad ogni incontro, non era possibile riuscire a valutare l’esperienza musicale nella dimensione soggettiva di un allievo piuttosto che un altro. Durante l’anno passato non era invece possibile valutare l’esperienza musicale separata dal resto della vita scolastica. La lente d’ingrandimento si è quindi spostata dalla proposta didattica collettiva agli obiettivi di sviluppo personali. Cambiare l’oggetto osservato significa cambiare modo di guardare, e questo è stato il lavoro dei primi mesi, il mio “inserimento”.

Relazione

Quando si incontra una classe con cadenza settimanale i rapporti sono molto esplosivi, l’energia e la gioia dell’incontro si concentra in quell’ora e con esse l’attenzione dei bambini. Tuttavia, non si può creare una relazione educativa paragonabile a ciò che avviene stando in classe per molte ore ogni giorno. Se uno dei problemi che affrontavo da educatore musicale era cercare di ricordarmi i nomi di tutti gli allievi, quest’anno non me lo sono posto nemmeno dopo la prima giornata. La prossimità continua implica l’osservazione e l’interpretazione di molte sfaccettature del carattere e del comportamento, che sviluppa una tridimensionalità della relazione educativa. Una relazione più intensa non implica maggiore o minore difficoltà nel ruolo. L’esterno è più distaccato, e questo può permettere di costruire un’”aura magica” attorno alle attività musicali proposte; tuttavia, nella quotidianità l’obiettivo non è “incantare”, non porterebbe a nulla. Piuttosto è necessario sviluppare un legame di fiducia, soprattutto all’inizio, e se necessario di autorevolezza, ma non di autorità. I bambini ascoltano se c’è un buon motivo per farlo, se si fidano dell’adulto e se lo riconoscono come guida. Il “mago” non è più un mago se lo incontri tutti i giorni, se ci pranzi insieme, se gioca a nascondino con te e se gli scappa da andare in bagno. Stabilire una buona relazione educativa, senza “magia”, può essere più difficile. Occorre lavorare molto sulle proprie risposte emotive nei confronti dei comportamenti più vari e complessi, perché basta poco per lasciarsi sopraffare dagli istinti, come spesso fanno i bimbi. Ma loro sono gli allievi, noi adulti non dobbiamo permetterci di dare risposte inadeguate per colpa dello stress o della difficoltà nel gestire le “monellate”. Mantenere un buon rapporto senza diventare il giullare, raggiungere l’autorevolezza senza trasformarsi in un gendarme, è una costante ricerca di equilibrio per chiunque lavori in profondità sulla relazione educativa.

Obiettivi

Il cambio di prospettiva e il costante lavoro sulla relazione educativa portano ad una conoscenza più approfondita di ogni allievo. Questo bagaglio di informazioni permette di puntare a formulare obiettivi personali, calibrati su quel bambino. Questo non comporta perdere di vista la dimensione collettiva, bensì rende più articolata e complessa la programmazione. Nel momento in cui si pensano le attività strutturate si ragiona sugli obiettivi generali di sviluppo, sulle competenze da raggiungere o da rinforzare, sui bisogni del gruppo-classe. Ma fuori da quelle attività ci sono tutti gli altri momenti, soprattutto quelli di gioco libero, nei quali si riesce a lavorare a livello individuale. Questo approfondimento riporta l’attenzione ai bisogni del singolo anche all’interno delle attività strutturate, che vengono modulate e valutate incrociando la dimensione collettiva ed individuale. Purtroppo, da esterni non è possibile una cura degli aspetti didattici ed educativi in questo senso, non per mancanza di competenze, bensì perché non c’è modo di conoscere in maniera approfondita gli allievi. Quando si riesce a lavorare puntando alle competenze del soggetto, si può utilizzare davvero la musica come strumento per raggiungere obiettivi più generali per lo sviluppo della persona, come d’altronde fa da sempre la musicoterapia, “sorella” della pedagogia musicale.

Tempo e Ritmo

La dimensione temporale è mutata radicalmente. L’incontro con i bambini era costante, per tutto l’anno, e non più concentrato in alcuni appuntamenti. Per usare una metafora musicale, non si trattava più di comporre delle hit estive efficaci che convogliassero l’energia, ma di estendere la produzione a grandi opere sinfoniche, apprezzabili nella loro interezza e molteplicità di idee coerenti e concatenate. Un tempo disteso, un ritmo più libero. In questo racconto non parlerò delle attività didattiche in generale, ma mi concentrerò su quelle musicali per descrivere il cambio di ruolo. L’esperto esterno entra a scuola suonando il campanello, predispone la sala e fa musica per una lezione. Il maestro entra a scuola senza suonare, ma da lì comincia a cantare. Il bello delle attività musicali è che sono immediate, si possono realizzare con la voce e il corpo in qualunque luogo, posso essere molto brevi, sono divertenti anche ripetute quotidianamente, la loro qualità esecutiva matura se esercitata costantemente. Chiunque studi uno strumento sa che rende di più un’ora di studio ogni giorno che un concentrato di 8 ore in una giornata a settimana. Ho cercato di applicare questo principio alla scuola dell’infanzia: piuttosto che la lezione settimanale di musica, ho predisposto un programma di proposte da reiterare quotidianamente nei momenti di passaggio tra il gioco libero, l’attività strutturata, il pranzo, la nanna ecc … Una musica tappabuchi, che permetteva di trasformare momenti apparentemente “morti” in pillole educative e musicali. Non solo. La musica si presta a supportare molte altre attività quali l’educazione motoria, il disegno, la narrazione, il gioco strutturato; dunque, si può inserire velatamente un po’ ovunque accompagnando altre esperienze. Anche i momenti liberi sono stati occasione per permettere ai bambini di giocare con i suoni, predisponendo dispositivi pedagogici adeguati (area strumenti da utilizzare liberamente) e creando lo spazio per l’ascolto di brani proposti sia dai bambini che da noi docenti. Garantire il tempo per una rielaborazione dei materiali musicali è difficile per un esterno, ma diventa un’ottima possibilità per chi lavora a scuola dall’interno. La creatività è un passaggio importante nello sviluppo musicale e globale, come da sempre sostengono i più importanti pedagogisti musicali in Italia, e troppo spesso viene tralasciata per far spazio alle proposte degli adulti.

 

Contenuti musicali

Questa esperienza mi ha permesso di ripensare completamente il mio ruolo di docente, non senza difficoltà nel mutare le abitudini acquisite negli anni precedenti. Dal punto di vista delle attività proposte, è stata un’importante occasione per mettere insieme gran parte del repertorio personale. Giochi, filastrocche, esperienze sonore, canti, danze, strumenti … In un anno di scuola si può davvero fare molto, adattandolo a seconda degli obiettivi del progetto educativo. Ho diviso il programma di attività strutturate e libere in cinque categorie:

Canti e filastrocche

Prendendo spunto dalle idee di Orff e Kodaly e dalle rispettive metodologie, molte proposte musicali strutturate erano costituite da canti e filastrocche adatti all’età dei bimbi (3 anni). Il repertorio si è formato utilizzando brani proposti dalle colleghe, in particolare i canti della routine, canti popolari da varie parti del mondo, filastrocche e conte che avevano come tema i soggetti narrativi della programmazione settimanale. Gli obiettivi principali di quest’attività erano il linguaggio (molti bimbi non parlavano ad inizio anno), la memoria, la condivisione di stati affettivi (sintonizzazione), la socializzazione attraverso il canto cooperativo. Alle parole erano sempre associati gesti e simboli riguardanti la dimensione narrativa dei testi. Per riportare in questo racconto qualche esempio, all’interno di un modulo dedicato alla vocalità ho scelto cinque canti provenienti da diversi Paesi (si trovano tutti in varie versioni su youtube, riporto i testi semplificati):

  • Do do l’enfant do (Francia): “Dodo, ninna oh, dormi dormi mio bambin /Dodo, ninna oh, presto dormirai …

Una coccinella, dorme nella culla / ninna oh, presto dormirai … ninna oh!”

  • Dynom danom (Repubblica Ceca): “Dynom Danom LalalalaLalla” (x4)
  • Canta Sabia (Brasile) “Canta Sabia, Nao pè de l’arangera / Canta sabia, todo dia noite intera”
  • Funga Alafia (Sierra Leone): “Funga alafia ashe ashe / Funga alafia ashe ashe”
  • Pupu hinuhinu (Hawaii): “Pupu hinu hinu, pupu hinu hinu eh / Oke Kay kay kay kay eh, Pupu hinu hinu eh”

La selezione è stata fatta pensando a melodie semplici, pentatoniche o diatoniche, facili da memorizzare, secondo un criterio multiculturale; alcune parti dei testi troppo difficili per i bimbi sono state semplificate in lallazioni o sostituite con parole italiane. Ogni canto veniva eseguito con gesti specifici con le mani o con movimenti in cerchio. Con il passare delle settimane, ho cercato di introdurre in ogni brano variazioni musicale che ampliavano la forma e la complessità, quali alterazioni di tempo, timbro o intensità in funzione di effetti espressivi e rimandi simbolici particolari. Ad esempio, nel primo canto in elenco, essendo una ninnananna, cambiavamo timbro vocale e intensità a seconda che cullassimo un bambino minuto o un bambino enorme: nel primo caso spostavamo il registro sulle le frequenze acute con dinamica piano, viceversa nel secondo caso ci spostavamo su quelle gravi con dinamica. Il tutto si svolgeva come un gioco dopo pranzo, come momento di stacco e di quiete prima della ripresa dei giochi.

Giochi di movimento

Non è possibile immaginare un suono slegato da un movimento. La musica, registrata o suonata dal vivo, era un’ottima base per avviare giochi di movimento indirizzati verso l’attivazione o il contenimento e per aiutare i bambini nello sviluppo motorio. Un determinato gesto sonoro aiutava i bambini ad interiorizzare un gesto motorio, come la capriola, la camminata sulle punte, ecc. Inoltre, a fianco allo sviluppo motorio si lavorava su quello percettivo e cognitivo: attenzione ai segnali, ai movimenti dei compagni, alle indicazioni verbali o gestuali del docente, alle regole del gioco di movimento, alla struttura narrativa.  Alle volte in supporto delle attività motorie utilizzavamo attrezzatura da psicomotricità. Un esempio di questi giochi è stato l’utilizzo degli incipit del primo movimento di ognuna delle Quattro Stagioni di Vivaldi divenute danze di carnevale coreografate con i foulards. Ho utilizzato la registrazione della Israel Symphony Orchestra diretta da Zubin Mehta, 1983, minutaggio da disco ma inserisco qui il video integrale

https://www.youtube.com/watch?v=paOCwzcS79s

  • Estate (0’00’’-1’10’’): ingresso progressivo all’interno del cerchio di tutti i bimbi con i foulards attorno al collo come sciarpe, quando ci si incontrava si faceva un inchino e si salutava con la mano, come gli invitati al ballo di carnevale che entrano in sala.
  • Inverno (0’00’’-0’42’’): i foulards diventavano maschere, si camminava all’interno del cerchio come fantasmi seguendo la dinamica in crescendo.
  • Autunno (0’00’-1’05’’): l’attivazione energetica fa sventolare i foulards, sempre tenuti con la stessa mano seguendo la dinamica, con piccoli movimenti di polso nel piano e ampi movimenti di braccio nel forte.
  • Primavera (0’00’’-0’33’’): una vera e propria esplosione che porta a lanciare in aria i foulards e saltare, successivamente raccoglierli e nella ripetizione piano farne una pallina, per poi lanciarli nuovamente.

Esplorazione strumentale

Molti bambini identificano la musica on gli strumenti musicali: il contatto con il materiale vibrante, il gesto, la manipolazione, la varietà di colori e forme, le variazioni timbriche, sono tutti elementi che affascinano, incuriosiscono e motivano i bambini nella sperimentazione individuale o collettiva. In questi momenti si sviluppa molto il ramo creativo dell’educazione musicale. Proprio per questo penso che il valore formativo degli strumenti sia emerso più nei momenti liberi di manipolazione ed improvvisazione che in quelli in cui venivano usati per accompagnare canti o giochi strutturati.

Alcuni strumenti erano sempre a disposizione: una decina di maracas, quattro tamburi, un bastone della pioggia, un ocean drum, tre ukulele, un metallofono contralto a piastre mobili. Nei momenti di gioco libero i bambini potevano utilizzarli liberamente, suonando da soli o insieme. Altri strumenti sono stati oggetto di esplorazione libera con la mia supervisione, per evitare incidenti ai bambini o agli strumenti: una chitarra elettrica suonata con lo slide, una viola, due piatti sospesi, utilizzati spesso in coppia. Nell’uso libero e quotidiano degli strumenti i bambini sono passati dall’esplorazione al dialogo sonoro, per giungere alcune volte a brevi forme strutturate (suono e silenzio, imitazione, forte e piano) o ad accompagnarsi nel canto di canzoni.

Ascolto di brani

Anche l’ascolto è un’importante condotta musicale. I brani registrati di differenti generi musicali stimolano la fantasia, permettono di inventare storie, possono accompagnare molte attività rinforzando l’attivazione o il riposo, come nel momento della nanna; inoltre, influiscono positivamente l’acculturazione promuovendo la familiarità verso tradizioni e stili musicali differenti. Organizzando dei momenti di ascolto si possono far emergere i gusti musicali dei bambini, dando spazio alla loro volontà di riascoltare la musica che amano, per poi muoversi da quelle canzoni con giochi ed altre attività musicali. Si riesce in questo modo a dare uno spazio decisionale in più ai bambini, accogliendo le loro proposte e rilanciandone di proprie. E poi oggi, con app come youtube o spotify e una cassa bluetooth, siamo in grado di far sentire qualsiasi musica con una qualità audio accettabile.

Con le Coccinelle abbiamo creato una playlist mista, associando ad ogni brano un personaggio: quando si ascoltava il brano, i bambini imitavano il personaggio con un particolare movimento. Alcuni brani sono stati scelti dai bambini, altri da me partendo dai personaggi richiesti da loro:

Esperimenti sonori

Altre attività strutturate sono state pensate puntando alla sperimentazione, alla ricerca delle sonorità, sull’onda delle avanguardie della musica colta contemporanea. Riporto qui due in particolare, seguite dai bambini con molta curiosità.

Versi Volatili: traendo spunto dalla concrete music e dalle ricerche ornitologiche di Messiaen, ho inserito in un multipad i versi di quattro uccelli, che i bimbi dovevano riconoscere ed imitare con uno specifico movimento.

Musicattoli: ispirandosi ai rumoristi e a vari colleghi educatori musicali che hanno scritto testi su come costruire ed utilizzare oggetti sonori da materiali riciclati, ogni bambino ha costruito e decorato la propria scatola con gli strumenti autocostruiti, quali maracas, nacchere, guiro, piatto, sonagli.

 

“Trovate” pedagogiche

Terminato l’anno sono tornato a pensare alla mia professione nel campo dell’educazione musicale. Sapevo che sarebbe stato un incarico provvisorio, dato dalla situazione emergenziale, e che un posto “fisso” eventualmente sarebbe toccato a chi aveva il titolo e la formazione adatta alla mansione. Propongo a chi sta leggendo alcune considerazioni conclusive sulla valutazione globale dell’esperienza e sulle “trovate”, per usare un termine caro ai pedagogisti musicali, ovvero le idee pedagogiche scaturite dalle improvvisazioni didattiche.

Ci sono stati almeno tre grossi limiti nella progettazione didattica musicale che ho svolto.

Il primo è stata una partenza lenta, data dalla necessità di conoscere l’ambiente, gli allievi, la routine giornaliera, le norme e tutto ciò che di nuovo mi presentava il contesto. All’inizio sono andato per tentativi, alcuni riusciti ed altri falliti, ed ho iniziato a strutturare con cura le attività organizzate e i dispositivi pedagogici solo dopo i primi mesi, a gennaio. Era probabilmente il tempo necessario per “l’inserimento” mio e dei bambini; un po’ mi spiace per non aver impostato tutto in maniera organizzata fin da subito, ma al tempo stesso non so se sarebbe stato possibile e se il progetto sarebbe stato migliore rispetto ad una costruzione sul campo.

Il secondo limite è stata la mancanza di un sistema valutativo globale rispetto alle esperienze musicali. Il tema della valutazione è complesso in questa fascia di età, ma mi sarebbe piaciuto approfondirlo e sperimentare sistemi di osservazione e verifica delle competenze acquisite. Data la mole di attività musicali svolte e la rarità di questo tipo di opportunità lavorativa, sarebbe stato interessante studiarne l’impatto educativo. Purtroppo, il tempo a disposizione non è stato sufficiente per dedicarmi anche a questo aspetto.

Il terzo limite è la poca documentazione raccolta, dato che nei momenti in cui facevo attività musicale spesso ero da solo e la responsabilità sulla classe non mi permetteva di gestire anche una ripresa audiovisiva delle idee musicali manifestate dai bambini. D’altronde accade lo stesso con molte altre esperienze didattiche e di gioco non musicali, e questo indubbiamente ne limita la possibile condivisione.

Guardando invece agli aspetti positivi, l’esperienza è stata molto importante per la mia formazione. Da anni ero un viandante fra le scuole dell’infanzia, ma non ero mai stato un abitante delle classi. Questo anno passato mi ha fatto vivere da dentro come i bambini crescono e vivono la scuola e come le maestre lavorano e progettano le attività didattiche ed educative. L’opportunità ricevuta ha fatto crescere in me una maggior consapevolezza del contesto, ma anche delle possibilità, dei bisogni, degli obiettivi auspicabili per gli interventi degli esterni. Riuscire ad osservare lo stesso luogo, la scuola dell’infanzia, attraverso la prospettiva di un docente interno ha sicuramente cambiato il mio modo di pensare l’attività da esterno.

Non si tratta di un arricchimento solo mio: anche le colleghe, in sede di verifica, mi hanno fatto intendere come per loro sia stato importante avere un collega diverso da solito. La prospettiva maschile spesso è complementare a quella femminile, e nei primi gradi scolastici spesso c’è una grande disparità di genere fra gli insegnanti. Un collega con una formazione diversa, senza un’esperienza pregressa in quell’ambiente, ma con spirito d’iniziativa e un po’ di improvvisazione (in questo la formazione musicale è davvero utile) è una risorsa se si vuole mettere in discussione il “si è sempre fatto così”, o se si devono trovare soluzioni alternative che rispondano alla situazione pandemica. Un musicista, se ha ben chiari gli obiettivi educativi e non si chiude nella propria disciplina, può arricchire la dimensione sonora di ogni attività educativa, rendendo l’esperienza più complessa (non difficile o complicata) e formativa per i bambini. E questo arricchimento del sonoro può genera una multidimensionalità pedagogica che migliora sia il vissuto personale sia l’ambiente collettivo.

Quali “trovate” conclusive?

Parto da una domanda aperta: dato che esiste nell’ordinamento scolastico, perché in nessun’altra scuola avevo mai sentito parlare di docenti di scuola infanzia specializzati in musica? Quale potrebbe essere il valore di questa figura, se fosse diffusa?

Sicuramente la presenza di un docente di musica stabile migliora l’ambiente scolastico e dà uno spessore educativo diverso alla vita in classe. Certo, con la carenza di risorse che investe il sistema scolastico pubblico e privato non è auspicabile immaginare una rivoluzione in questo senso. Occorre tuttavia continuare ad affermare quanto la pedagogia musicale sia importante per lo sviluppo integrale, e che non dovrebbe essere relegata ad attività esterne finanziate quasi esclusivamente dai PON o dai genitori.

In linea teorica l’istituzione scolastica affida questa disciplina alle docenti di ruolo, ma è chiaro che i corsi di formazione siano carenti sulle competenze musicali (almeno per quanto riguarda il livello generale nazionale). Dall’altra parte, spesso gli esperti esterni arrivano in classe con pacchetti didattici preconfezionati, senza calibrare gli interventi sul contesto specifico e senza cercare di integrare il laboratorio musicale con la programmazione scolastica. Talvolta questi due mondi non si parlano, e la musica rimane relegata ad un’attività ricreativa al pari di una visita guidata o un film. Questo affidare la musica esclusivamente ai professionisti è un vecchio problema del mondo occidentale e non solo. Può essere sensato in determinati contesti, come i concerti o gli studi di registrazione, dove l’obiettivo è la musica in sé; diventa una distorsione nei contesti educativi, dove l’obiettivo è lo sviluppo integrale della persona, quindi anche nella dimensione sonoro-musicale. La pedagogia deve dialogare con la musica e la musica con la pedagogia, altrimenti ogni intervento sarà uno spot, una hit estiva come tante da consumare e dimenticare, e lascerà poco in profondità.

Penso che il pedagogista musicale, se inserito con continuità in un contesto scolastico, possa essere la figura ponte in grado di garantire dialogo interdisciplinare ed efficacia formativa ed educativa delle proposte laboratoriali. È compito nostro, dei pedagogisti musicali, trovare modo migliore per promuovere questo inserimento nella quotidianità scolastica, senza pensare per forza ad una integrazione nell’organico (assai improbabile a mio avviso in questo periodo storico), ma auspicando ad abitare gli spazi della consulenza e della formazione.

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