Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Musica per la didattica universitaria #2

Un seminario formativo sulla dimensione sonora nella comunicazione

L’articolo descrive un’esperienza sonora svolta presso l’Università di Genova durante un seminario formativo sul tema della comunicazione efficace. La proposta a studenti e docenti (estranei a percorsi di formazione musicale) è stata articolata in due fasi: prima alcune esperienze di ascolto e discussione dei rimandi simbolici evocati, accompagnata da alcuni riferimenti in ambito musicologico, e successivamente un’esperienza di risonorizzazione di frammenti video utilizzando brani audio estranei. L’obiettivo dell’attività era riflettere sulla dimensione di senso, conscia o inconscia, di cui sono portatori gli elementi sonori, e dell’uso possibile in ambito comunicativo. Emerge infine una riflessione su quanto la pratica musicale possa essere una strategia di apprendimento in contesti di alta formazione anche non strettamente musicale.

Premessa

Consiglio ai lettori che hanno già letto l’articolo antecedente a questo, intitolato “Musica per la didattica universitaria #1”, di saltare la premessa e andare direttamente al secondo paragrafo. Ho volutamente tenuto la stessa introduzione perché i due articoli sono stati concepiti insieme, due racconti di esperienze diverse situati nello stesso ambito e con finalità analoghe.

In ambito accademico oggi è vivo il dibattito sullo sviluppo delle competenze trasversali, considerate obiettivi di apprendimento al pari delle competenze disciplinari. Si tratta di tutte quelle competenze che non sono legate a contenuti specifici (Pellerey, 2017), ma che fanno parte della vita quotidiana al di là della formazione o della professione. Questa esigenza è fortemente richiesta dal mondo del lavoro, che spesso lamenta l’ingresso negli ambienti professionali di studenti con un grande bagaglio disciplinare, ma difficoltà nell’autonomia e nelle relazioni. A mio avviso non dovrebbe essere solo questo il motore: si tratta di competenze generali (lavorare in gruppo, pensare criticamente, imparare ad imparare, sviluppare la creatività, risolvere problemi, ecc.) che vengono stimolate fin dalla prima infanzia e permettono a ciascuno di vivere meglio a livello intra e intersoggettivo, non solo sul luogo di lavoro. Al di là di questa nota sociale, dietro alla promozione delle soft skills in ambito universitario si celano alcuni problemi.

Quali competenze? Non esiste una classificazione unitaria e in letteratura vi sono moltissimi modelli, che hanno portato ad una molteplicità di definizioni e clusterizzazioni (Cinque 2016, Magnoler 2018). Questo ha come conseguenza una diversificazione degli approcci, che di per sé non è un problema (tutt’al più una ricchezza), ma che rende inevitabilmente più difficile la costruzione e la valutazione di percorsi efficaci.

Come si configurano? Partendo dal modello di Spencer&Spencer (2017), la competenza è un iceberg: vi è una piccola parte in superficie, composta da knowledge (conoscenza teorica) e skills (abilità pratica), che sono osservabili e valutabili con prove orali, scritte o tecnico-gestuali; c’è però anche tutto il sommerso, ovvero ciò che non è sempre osservabile e valutabile, definito behaviour (attitudine, comportamento), che di fatto è ciò che più rimane e perdura nella persona dopo la fase di verifica. Dunque, un approccio educativo e formativo efficace sulle competenze dovrebbe puntare molto al livello subacqueo, anche se è più complesso da attuare e da valutare.

Come svilupparle? La difficoltà nel progettare interventi efficaci si lega al fatto che le competenze trasversali sono per lo più “sommerse”, ovvero composte da comportamenti e atteggiamenti più che da conoscenze e abilità. La logica della prova orale, scritta o pratica, non può funzionare in questo senso, se non per sondare livelli superficiali. Occorre puntare all’esperienza e alla metariflessione, all’attività didattica strutturata come una prova in sé, una simulazione, una metafora della vita. Di fatto nulla di nuovo: è logico che si impara a lavorare in gruppo lavorando in gruppo; eppure, non è scontato che lo si possa fare, in un contesto dove si privilegia la valutazione del singolo; è logico che si impara ad argomentare confrontandosi dialetticamente, ma ciò non è possibile in un contesto dove si privilegia la lezione frontale.  Ecco allora che occorre ripensare i contesti universitari, la conformazione delle aule, il numero di allievi per ciascun gruppo classe, i dispositivi pedagogici che vengono utilizzati, la modalità di progettazione, le strategie di valutazione. E per quest’ultimo punto sarebbe anche utile non avere la pretesa di misurare tutto, ma accettare l’ineffabile.

Mi scuso con i lettori per non aver ancora utilizzato il termine “musica”, che probabilmente è il motivo per cui hanno iniziato questa lettura, ci arrivo subito. Da quando ho iniziato a frequentare gli ambienti accademici ho cominciato a pensare alle attività sonore come possibili strategie di apprendimento per lavorare su quel livello sommerso di competenze. La musica e il suono toccano costantemente l’ineffabile (Jankelevitch, 1961), giocano con gli strati più profondi della coscienza e della persona, mettono in luce le dinamiche relazionali, permettono di lavorare contemporaneamente nella dimensione intra e intersoggettiva. Chi legge sa bene che queste affermazioni non sono una novità soprattutto nell’ambito dell’educazione musicale; oltre alla dimensione sonora, le attività proposte nei vari gradi della scuola di base hanno una funzione regolatrice nello sviluppo globale della persona e nelle dinamiche relazionali. Un’ampia letteratura in ambito psicopedagogico parla di come l’esperienza sonoro-musicale sia fondamentale nei percorsi educativi di base. Un’altrettanta ampia letteratura (la musicoterapia) tratta lo stesso tema nell’ambito terapeutico, proponendo in contesti clinici esperienze sonore che possono raggiungere i livelli esistenziali e sensoriali più nascosti e intimi.

Non ho trovato molto, invece, sui contesti di alta formazione. Qui la musica diventa a tutti gli effetti un contenuto disciplinare di cui si occupano gli specialisti del saper fare (i musicisti) e del sapere (i musicologi), spesso divisi fra loro, tra conservatori e università. Talvolta alcuni docenti utilizzano materiali musicali come supporto di carattere culturale ai contenuti (discipline umanistiche, o scientifiche legate ai fenomeni acustici), ma non ho mai sentito o letto di esperienze sonore che abbiano avuto come finalità un lavoro su competenze trasversali. In effetti, la formazione dei docenti universitari non ha nulla a che vedere con l’ambito musicale in termini metodologici, escludendo chi si occupa di musica come contenuto formativo. Diversamente, le maestre di scuola dell’infanzia e primaria hanno (o dovrebbero avere) alcune indicazioni di base sull’utilizzo della musica come strumento educativo. Eppure, le esperienze musicali colpiscono e coinvolgono chiunque, ed hanno un grande potenziale in termini di sviluppo delle competenze trasversali. Come si propongono attività sonoro-musicali in tutte le scuole di base, perché non utilizzare lo stesso approccio in alta formazione? Da questa domanda nasce questa piccola sperimentazione.

 

Il tema e il contesto: comunicazione efficace

Nei giorni 14, 15 e 16 luglio 2022 si è tenuto un ciclo di incontri formativi per la IANUA Summer School, sul tema della comunicazione efficace. IANUA (https://ianua.unige.it) è la Scuola Superiore dell’Ateneo Genovese, che offre un percorso formativo di approfondimento per allievi dell’Università; si tratta di corsi che muovono su temi trasversali adatti a studenti appartenenti a differenti aree disciplinari. Il tema della comunicazione, ad esempio, preso in senso generale, si collega a qualsiasi indirizzo formativo e professionale. In queste tre giornate sono stati invitati esperti e docenti con varie specializzazioni, nel mio caso l’ambito musicale. Per la lezione avevo a disposizione 4 ore, di cui effettive 3,5, e al seminario hanno partecipato circa 60 allieve e allievi di vari corsi (giurisprudenza, psicologia, architettura, scienze politiche, ingegneria, e molti altri). Ho deciso di proporre come tema la dimensione sonora all’interno della comunicazione; si tratta di un tema ampio, per cui non avevo la pretesa di essere esaustivo quanto più (questo era il mandato) di suscitare interesse e dare alcune linee di orientamento.

Dopo una breve presentazione, ho puntualizzato che avevo intitolato l’intervento “la dimensione sonora” poiché il ragionamento che avremmo intrapreso sarebbe stato applicabile a qualsiasi elemento sonoro, non solo a ciò che decodifichiamo culturalmente (e in maniera mai univoca) come musica. Tuttavia, gli esempi e le esperienze riportate sarebbero stati incentrati su brani musicali, in quanto artefatti che condensano una molteplicità di elementi sonori sui quali siamo abbastanza abituati ad interrogarci e a riflettere. Manifestata questa premessa, è iniziata la lezione.

 

L’attività sonora: dall’ascolto alla ri-sonorizzazione

Prima di presentare idee, riflessioni, teorie, ho voluto partire da un’esperienza. Anzi, da tre piccole esperienze di ascolto. Ho scelto tre brani appartenenti a culture differenti fra loro, che avessero sia elementi familiari che elementi inusuali, che fossero ibridi tra stili anche molto lontani, e che permettessero l’evocazione di rimandi simbolici di vario tipo. La consegna per la classe era, a seguito di ogni ascolto, di confrontarsi in gruppo (6-8 persone) e raccogliere impressioni, sensazioni, immagini, ricordi, riferimenti culturali, rimandi simbolici e quant’altro gli fosse venuto in mente durante l’ascolto. Al termine dei tre ascolti avremmo confrontato le idee in plenaria. I tre brani scelti per questa prima fase sono stati:

  • Bognya, di DJ Khalab e Baba Sissoko (Khalab & Baba, 2005)
  • Flight, di Tanya Tagaq (Animism, 2014)
  • Alla turca jazz op.5b, di Fazil Say (Say plays Say, 2014)

Ascolti di questo tipo, ibridi, suscitano sempre un grande interesse, tra meraviglia della novità (o il disgusto) e lo spaesamento dovuto ad elementi riconoscibili in qualche modo trasfigurati. La discussione nei gruppi e poi in plenaria è stata molto viva, ricca di elementi di connessione tra le diverse interpretazioni. Alcuni temi, come la comunità, la solitudine, la metamorfosi, sono stati toccati in maniera differente tra gli ascolti. La capacità analitica degli studenti è stata elevata, come la ricostruzione di senso attorno agli elementi sonori. La finalità ultima, però, non era quella di decodificare o interpretare con precisione, quanto più di avviare una riflessione e suscitare interesse per la complessità del mondo sonoro e la pluralità di significati.

Così, dopo un’ora abbondante di ascolti e riflessioni, una seconda fase della lezione è stata dedicata a dare loro alcuni riferimenti teorici in campo musicologico, al fine di rafforzare la consapevolezza e la capacità di analisi su quanto il sonoro sia una componente fondamentale della comunicazione e più in generale della vita. Ho proposto questi contenuti con un approccio didattico tradizionale, utilizzando alcune slide e video per accompagnare il discorso, cercando laddove possibile (e dove la classe rispondeva) di avviare momenti di confronto dialogico e prendendo come esempi esperienziali gli elementi emersi durante l’attività di ascolto. Ho seguito alcuni temi o domande come traccia. I lettori conosceranno bene queste tematiche, occorre precisare che ho volutamente pensato ad un percorso di “accenni”, per cui alcuni argomenti sono stati appena citati, al fine di dare riferimenti e mostrare quanti i possibili punti di approfondimento. Molti di questi temi non sono riferiti direttamente alla dimensione sonora nella comunicazione, ma penso siano passaggi fondamentali per costruire una maggiore consapevolezza circa gli effetti del sonoro negli scambi di messaggi.

Rapporto uomo-suono. Le prime slide miravano a tracciare una panoramica ultra-sintetica della relazione tra essere umano e il mondo sonoro: la gravidanza e dell’associazione suono-vita, a sintonizzazione affettiva nella diade con la madre, l’ampliamento in senso relazionale all’interno della comunità (rituali sociali e sonori), infine la funzione di memoria sensoriale residuale (musicoterapia e fine vita).

Che cos’è la musica? Entrando nello specifico in ambito musicologico, in quanto sapere che più di altri ha operato un’analisi del mondo sonoro, ho proposto in seguito alcune definizioni volte a smontare idee precostituite di musica e ad accettare un’apertura di possibilità, secondo il pensiero occidentale contemporanea. Ho portato la classe a riflettere sul concetto di condotta, dunque sull’intenzionalità come fulcro della produzione musicale (e anche dell’attività recettiva).

Dopo una pausa di circa 30 minuti, abbiamo ripreso l’incontro passando ad altri due temi.

Cosa significa la musica? Anche qui la destrutturazione del concetto di musica rispetto ai canoni di intrattenimento occidentale porta ad uno spaesamento circa l’attribuzione di significato. Ho fatto riflettere, partendo dalle esperienze di ascolto, sulla distinzione di Nattiez (2002) tra endosemantica ed esosemantica musicale, sui significati intrinseci ed estrinseci. Due altri rapidi passaggi sono stati il rapporto tra suono e gesto (il movimento produttore ed evocato) e tra suono e segno (la rappresentazione nel linguaggio grafico), in quanto percorsi di trasformazione del sonoro che ne permettono una configurazione tattile e visiva.

Quali usi del sonoro? Riportando la riflessione dal piano musicale al piano sonoro, ho cercato infine di dare alcuni spunti su quanto pensare al suono e prendersene cura sia utile in contesti professionali differenti: la cura del paesaggio sonoro, dal design all’ecologia; l’attenzione al suono della voce nel public speaking; l’utilizzo di musica e suoni nei media; la musica come medium e setting nei contesti educativi e in quelli terapeutici.

È stata una carrellata estremamente densa di contenuti, ma gestita in una modalità il più possibile interattiva. Lo scopo di questo passaggio era dare spessore teorico e riferimenti pratici, partendo dall’esperienza precedente di ascolto, per fare arrivare le allieve e gli allievi più consapevoli all’ultima attività. C’era la volontà di suscitare interesse per il mondo sonoro in futuri giornalisti, designer, medici, docenti, o altro. Davvero, non credo che esista una professione completamente avulsa dalla dimensione sonora.

L’ultima ora di lezione è stata invece dedicata ad un’altra attività, questa volta non di recezione ma di produzione. Volevo far fare loro un’esperienza di manipolazione finalizzata ad un uso consapevole del sonoro con un preciso scopo comunicativo. Ho chiesto alla classe di dividersi nuovamente in gruppi e ri-sonorizzare un frammento video, facendo in modo che la nuova colonna sonora ne variasse la percezione producendo una reazione emotiva differente rispetto all’originale. Avevo a disposizione un pc con proiettore ed un mio impianto audio con mixer per avere un canale dedicato allo smartphone. Ho fornito loro un esempio (Lion king, video 1): avevo scelto il frammento di un film (o video) conosciuto e gli avevo associato una colonna sonora alternativa, avviando la riproduzione con due dispositivi differenti (il pc per il video, lo smartphone per l’audio). Dopo averglielo mostrato, ho suggerito di cercare un punto di sincronizzazione scegliendo un preciso frammento video (inquadratura o movimento) da abbinare ad un gesto sonoro in risalto all’interno del brano musicale; nel mio caso, avevo sincronizzato le partenze dei frammenti in modo che all’urlo di Zack de la Rocha (Rage against the machine) corrispondesse il ruggito di Simba, al minuto 1’23”. La trasformazione di senso in questo caso ha portato ad un incremento energetico simile all’originale, ma più violento, esplosivo, di rabbia più che di pace.

A seguito dell’esempio, ho lasciato lavorare gli studenti in autonomia. Dopo circa un quarto d’ora di intensa attività, qualcuno aveva già finito. Una volta pronti, abbiamo avviato le presentazioni, di cui ripresento gli elaborati più interessanti tra i materiali allegati, come video montati a posteriori.

A Clockwork Orange (video 2): la variazione della colonna sonora conferisce un senso grottesco, quasi umoristico, al frammento già denso di ambiguità, alleggerendo in qualche modo la scena rispetto alla dissociazione pensata da Kubrick nel rappresentare una violenza futile, banale, annoiata, vuota, prima di motivazione.

Shining (video 3): è stata una scelta ardita partire da una scena horror e cercarla di farla sembrare ancora più agghiacciante di quanto non sia; eppure, se si accentua la dissociazione e lo straniamento dando a Jack Nicholson la voce di un personaggio dell’immaginario infantile, la visione del frammento diventa ancora più inquietante.

Rogue One (video 4): non si può toccare Darth Vader senza rimanere coinvolti dal lato oscuro, il nero della figura è avvolgente e lascia poco spazio ad altre interpretazioni; ma se si toglie il respiro affannato e si pensa che la spada laser rossa potrebbe diventare rosa, un rosa fluorescente anni ’90, allora tutto cambia.

Titanic (video 5): humor nero, duro e crudo di grande impatto, che ha suscitato un applauso immediato per la genialità dell’associazione. Non ha bisogno di altri commenti, se non quello di un’anziana professoressa che, avendo terminato la sua lezione, si era fermata incuriosita a seguire la conclusione della mia, e alla fine mi ha fermato per dirmi qualcosa come: “volevo piangere, perché questa scena mi ha sempre suscitato orrore, panico e una sofferenza profonda per la tragedia che rappresenta … ma al tempo stesso non riuscivo a smettere di ridere, era qualcosa di indescrivibilmente divertente per l’assurdità dell’associazione tra visivo e sonoro”.

 

Riflessioni

In questa lezione si è passati da attività recettiva, di interpretazione e dialogo, ad un percorso conoscitivo di “accenni” e riferimenti, per terminare con una forma molto semplice di invenzione musicale. Penso che non sia stato un percorso utile solo a chi si intende di musica, ma in generale per futuri professionisti. Lavorare sull’ascolto, sull’introspezione, sulla definizione e organizzazione delle prospettive plurali, ma anche sulla trasformazione e variazione di materiali, sono attività che rientrano in vari ambiti disciplinari e in generale nella vita. La musica in questo senso è una delle possibili strade per creare opportunità di sviluppo di tali competenze. Non mi aspettavo una tale creatività nella manipolazione (o si potrebbe parlare di composizione?) di materiali sonori. Questo mi ha fatto pensare al potenziale latente che spesso non si considera tra i giovani. Si è troppo spesso concentrati sulla conduzione, che garantisce il controllo, il raggiungimento degli obiettivi, e si perde di vista la creatività come finalità e come strumento trasversale di molte attività umane. Spesso basta creare il contesto di gioco, e la musica si presta bene a questo scopo.

Le competenze del formatore, per tenere una lezione di questo tipo, non devono essere necessariamente legate alla pratica della musica. Servono conoscenze sui vari temi trattati, che nel mio caso derivano da studi in ambito pedagogico, musicologico e musicoterapeutico, ma che potrebbero tranquillamente essere frutto di un interesse musicale al di fuori di altri percorsi accademici. Serve aver fatto esperienze di ascolto e meta riflessione in un gruppo di adulti, saper spaziare tra i materiali discografici. Servono le competenze didattiche per gestire una lezione di 3 ore e mezza in un’aula con 60 studenti, strutturando un programma che permetta di stimolare l’attenzione e la partecipazione.

Concludo con una valutazione dell’attività richiesta ad una voce esterna. Ho posto quattro domande (seguendo il modello dell’articolo precedente) al Professor Fabrizio Bracco, docente di Psicologia sociale e coordinatore del ciclo di incontri sulla comunicazione efficace, che mi aveva invitato a tenere la lezione ed era presente al momento dell’attività come osservatore.

Quali motivazioni o suggestioni ti hanno portato ad inserire un intervento legato alla musica all’interno del ciclo di incontri sulla comunicazione efficace?

volevo dare agli studenti l’opportunità di una riflessione su un mezzo così pervasivo da risultare quasi “trasparente”. Musica come sottofondo che rischia di scomparire ma su cui si veicolano messaggi a livello affettivo da non trascurare. Volevo anche offrire l’occasione per riflettere sulla comunicazione non solo come atto di emissione del messaggio, ma anche come capacità di capire e decodificare i messaggi che ci giungono. La musica quindi non solo come mezzo per chi vuole esprimersi mediante composizione, ma anche come messaggio che chiunque riceve e che potrebbe non ascoltare in modo competente.

Come hai vissuto l’esperienza?

In modo positivo, ci sono stati contenuti teorici ma anche esperienziali, buon bilanciamento fra aspetti contenutistici e lavori di gruppo, il tutto gestito con un clima collaborativo e sereno.

Dopo aver vissuto l’esperienza, quali competenze pensi si possa lavorare attraverso questa tipologia di attività musicali?

Mi ha colpito l’attenzione da porre al significato, al potere evocativo della musica, che per essere colto richiede ascolto attivo, presenza mentale. Penso che la competenza all’ascolto sarebbe un ambito da consolidare.

Dopo aver vissuto l’esperienza, quali competenze pensi siano necessarie ad un formatore per poterla riprogettare e condurre?

A parte le ovvie competenze musicali e tecniche, serve capacità di ascolto dell’aula, di accettazione delle condivisioni, di facilitazione del gruppo verso attività che potrebbero sembrare banali ma non lo sono. Capacità di stimolare un clima sereno ma non sfilacciato, sempre orientato al lavoro, al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento.

 

Bibliografia

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Premessa

Consiglio ai lettori che hanno già letto l’articolo antecedente a questo, intitolato “Musica per la didattica universitaria #1”, di saltare la premessa e andare direttamente al secondo paragrafo. Ho volutamente tenuto la stessa introduzione perché i due articoli sono stati concepiti insieme, due racconti di esperienze diverse situati nello stesso ambito e con finalità analoghe.

In ambito accademico oggi è vivo il dibattito sullo sviluppo delle competenze trasversali, considerate obiettivi di apprendimento al pari delle competenze disciplinari. Si tratta di tutte quelle competenze che non sono legate a contenuti specifici (Pellerey, 2017), ma che fanno parte della vita quotidiana al di là della formazione o della professione. Questa esigenza è fortemente richiesta dal mondo del lavoro, che spesso lamenta l’ingresso negli ambienti professionali di studenti con un grande bagaglio disciplinare, ma difficoltà nell’autonomia e nelle relazioni. A mio avviso non dovrebbe essere solo questo il motore: si tratta di competenze generali (lavorare in gruppo, pensare criticamente, imparare ad imparare, sviluppare la creatività, risolvere problemi, ecc.) che vengono stimolate fin dalla prima infanzia e permettono a ciascuno di vivere meglio a livello intra e intersoggettivo, non solo sul luogo di lavoro. Al di là di questa nota sociale, dietro alla promozione delle soft skills in ambito universitario si celano alcuni problemi.

Quali competenze? Non esiste una classificazione unitaria e in letteratura vi sono moltissimi modelli, che hanno portato ad una molteplicità di definizioni e clusterizzazioni (Cinque 2016, Magnoler 2018). Questo ha come conseguenza una diversificazione degli approcci, che di per sé non è un problema (tutt’al più una ricchezza), ma che rende inevitabilmente più difficile la costruzione e la valutazione di percorsi efficaci.

Come si configurano? Partendo dal modello di Spencer&Spencer (2017), la competenza è un iceberg: vi è una piccola parte in superficie, composta da knowledge (conoscenza teorica) e skills (abilità pratica), che sono osservabili e valutabili con prove orali, scritte o tecnico-gestuali; c’è però anche tutto il sommerso, ovvero ciò che non è sempre osservabile e valutabile, definito behaviour (attitudine, comportamento), che di fatto è ciò che più rimane e perdura nella persona dopo la fase di verifica. Dunque, un approccio educativo e formativo efficace sulle competenze dovrebbe puntare molto al livello subacqueo, anche se è più complesso da attuare e da valutare.

Come svilupparle? La difficoltà nel progettare interventi efficaci si lega al fatto che le competenze trasversali sono per lo più “sommerse”, ovvero composte da comportamenti e atteggiamenti più che da conoscenze e abilità. La logica della prova orale, scritta o pratica, non può funzionare in questo senso, se non per sondare livelli superficiali. Occorre puntare all’esperienza e alla metariflessione, all’attività didattica strutturata come una prova in sé, una simulazione, una metafora della vita. Di fatto nulla di nuovo: è logico che si impara a lavorare in gruppo lavorando in gruppo; eppure, non è scontato che lo si possa fare, in un contesto dove si privilegia la valutazione del singolo; è logico che si impara ad argomentare confrontandosi dialetticamente, ma ciò non è possibile in un contesto dove si privilegia la lezione frontale.  Ecco allora che occorre ripensare i contesti universitari, la conformazione delle aule, il numero di allievi per ciascun gruppo classe, i dispositivi pedagogici che vengono utilizzati, la modalità di progettazione, le strategie di valutazione. E per quest’ultimo punto sarebbe anche utile non avere la pretesa di misurare tutto, ma accettare l’ineffabile.

Mi scuso con i lettori per non aver ancora utilizzato il termine “musica”, che probabilmente è il motivo per cui hanno iniziato questa lettura, ci arrivo subito. Da quando ho iniziato a frequentare gli ambienti accademici ho cominciato a pensare alle attività sonore come possibili strategie di apprendimento per lavorare su quel livello sommerso di competenze. La musica e il suono toccano costantemente l’ineffabile (Jankelevitch, 1961), giocano con gli strati più profondi della coscienza e della persona, mettono in luce le dinamiche relazionali, permettono di lavorare contemporaneamente nella dimensione intra e intersoggettiva. Chi legge sa bene che queste affermazioni non sono una novità soprattutto nell’ambito dell’educazione musicale; oltre alla dimensione sonora, le attività proposte nei vari gradi della scuola di base hanno una funzione regolatrice nello sviluppo globale della persona e nelle dinamiche relazionali. Un’ampia letteratura in ambito psicopedagogico parla di come l’esperienza sonoro-musicale sia fondamentale nei percorsi educativi di base. Un’altrettanta ampia letteratura (la musicoterapia) tratta lo stesso tema nell’ambito terapeutico, proponendo in contesti clinici esperienze sonore che possono raggiungere i livelli esistenziali e sensoriali più nascosti e intimi.

Non ho trovato molto, invece, sui contesti di alta formazione. Qui la musica diventa a tutti gli effetti un contenuto disciplinare di cui si occupano gli specialisti del saper fare (i musicisti) e del sapere (i musicologi), spesso divisi fra loro, tra conservatori e università. Talvolta alcuni docenti utilizzano materiali musicali come supporto di carattere culturale ai contenuti (discipline umanistiche, o scientifiche legate ai fenomeni acustici), ma non ho mai sentito o letto di esperienze sonore che abbiano avuto come finalità un lavoro su competenze trasversali. In effetti, la formazione dei docenti universitari non ha nulla a che vedere con l’ambito musicale in termini metodologici, escludendo chi si occupa di musica come contenuto formativo. Diversamente, le maestre di scuola dell’infanzia e primaria hanno (o dovrebbero avere) alcune indicazioni di base sull’utilizzo della musica come strumento educativo. Eppure, le esperienze musicali colpiscono e coinvolgono chiunque, ed hanno un grande potenziale in termini di sviluppo delle competenze trasversali. Come si propongono attività sonoro-musicali in tutte le scuole di base, perché non utilizzare lo stesso approccio in alta formazione? Da questa domanda nasce questa piccola sperimentazione.

 

Il tema e il contesto: comunicazione efficace

Nei giorni 14, 15 e 16 luglio 2022 si è tenuto un ciclo di incontri formativi per la IANUA Summer School, sul tema della comunicazione efficace. IANUA (https://ianua.unige.it) è la Scuola Superiore dell’Ateneo Genovese, che offre un percorso formativo di approfondimento per allievi dell’Università; si tratta di corsi che muovono su temi trasversali adatti a studenti appartenenti a differenti aree disciplinari. Il tema della comunicazione, ad esempio, preso in senso generale, si collega a qualsiasi indirizzo formativo e professionale. In queste tre giornate sono stati invitati esperti e docenti con varie specializzazioni, nel mio caso l’ambito musicale. Per la lezione avevo a disposizione 4 ore, di cui effettive 3,5, e al seminario hanno partecipato circa 60 allieve e allievi di vari corsi (giurisprudenza, psicologia, architettura, scienze politiche, ingegneria, e molti altri). Ho deciso di proporre come tema la dimensione sonora all’interno della comunicazione; si tratta di un tema ampio, per cui non avevo la pretesa di essere esaustivo quanto più (questo era il mandato) di suscitare interesse e dare alcune linee di orientamento.

Dopo una breve presentazione, ho puntualizzato che avevo intitolato l’intervento “la dimensione sonora” poiché il ragionamento che avremmo intrapreso sarebbe stato applicabile a qualsiasi elemento sonoro, non solo a ciò che decodifichiamo culturalmente (e in maniera mai univoca) come musica. Tuttavia, gli esempi e le esperienze riportate sarebbero stati incentrati su brani musicali, in quanto artefatti che condensano una molteplicità di elementi sonori sui quali siamo abbastanza abituati ad interrogarci e a riflettere. Manifestata questa premessa, è iniziata la lezione.

 

L’attività sonora: dall’ascolto alla ri-sonorizzazione

Prima di presentare idee, riflessioni, teorie, ho voluto partire da un’esperienza. Anzi, da tre piccole esperienze di ascolto. Ho scelto tre brani appartenenti a culture differenti fra loro, che avessero sia elementi familiari che elementi inusuali, che fossero ibridi tra stili anche molto lontani, e che permettessero l’evocazione di rimandi simbolici di vario tipo. La consegna per la classe era, a seguito di ogni ascolto, di confrontarsi in gruppo (6-8 persone) e raccogliere impressioni, sensazioni, immagini, ricordi, riferimenti culturali, rimandi simbolici e quant’altro gli fosse venuto in mente durante l’ascolto. Al termine dei tre ascolti avremmo confrontato le idee in plenaria. I tre brani scelti per questa prima fase sono stati:

  • Bognya, di DJ Khalab e Baba Sissoko (Khalab & Baba, 2005)
  • Flight, di Tanya Tagaq (Animism, 2014)
  • Alla turca jazz op.5b, di Fazil Say (Say plays Say, 2014)

Ascolti di questo tipo, ibridi, suscitano sempre un grande interesse, tra meraviglia della novità (o il disgusto) e lo spaesamento dovuto ad elementi riconoscibili in qualche modo trasfigurati. La discussione nei gruppi e poi in plenaria è stata molto viva, ricca di elementi di connessione tra le diverse interpretazioni. Alcuni temi, come la comunità, la solitudine, la metamorfosi, sono stati toccati in maniera differente tra gli ascolti. La capacità analitica degli studenti è stata elevata, come la ricostruzione di senso attorno agli elementi sonori. La finalità ultima, però, non era quella di decodificare o interpretare con precisione, quanto più di avviare una riflessione e suscitare interesse per la complessità del mondo sonoro e la pluralità di significati.

Così, dopo un’ora abbondante di ascolti e riflessioni, una seconda fase della lezione è stata dedicata a dare loro alcuni riferimenti teorici in campo musicologico, al fine di rafforzare la consapevolezza e la capacità di analisi su quanto il sonoro sia una componente fondamentale della comunicazione e più in generale della vita. Ho proposto questi contenuti con un approccio didattico tradizionale, utilizzando alcune slide e video per accompagnare il discorso, cercando laddove possibile (e dove la classe rispondeva) di avviare momenti di confronto dialogico e prendendo come esempi esperienziali gli elementi emersi durante l’attività di ascolto. Ho seguito alcuni temi o domande come traccia. I lettori conosceranno bene queste tematiche, occorre precisare che ho volutamente pensato ad un percorso di “accenni”, per cui alcuni argomenti sono stati appena citati, al fine di dare riferimenti e mostrare quanti i possibili punti di approfondimento. Molti di questi temi non sono riferiti direttamente alla dimensione sonora nella comunicazione, ma penso siano passaggi fondamentali per costruire una maggiore consapevolezza circa gli effetti del sonoro negli scambi di messaggi.

Rapporto uomo-suono. Le prime slide miravano a tracciare una panoramica ultra-sintetica della relazione tra essere umano e il mondo sonoro: la gravidanza e dell’associazione suono-vita, a sintonizzazione affettiva nella diade con la madre, l’ampliamento in senso relazionale all’interno della comunità (rituali sociali e sonori), infine la funzione di memoria sensoriale residuale (musicoterapia e fine vita).

Che cos’è la musica? Entrando nello specifico in ambito musicologico, in quanto sapere che più di altri ha operato un’analisi del mondo sonoro, ho proposto in seguito alcune definizioni volte a smontare idee precostituite di musica e ad accettare un’apertura di possibilità, secondo il pensiero occidentale contemporanea. Ho portato la classe a riflettere sul concetto di condotta, dunque sull’intenzionalità come fulcro della produzione musicale (e anche dell’attività recettiva).

Dopo una pausa di circa 30 minuti, abbiamo ripreso l’incontro passando ad altri due temi.

Cosa significa la musica? Anche qui la destrutturazione del concetto di musica rispetto ai canoni di intrattenimento occidentale porta ad uno spaesamento circa l’attribuzione di significato. Ho fatto riflettere, partendo dalle esperienze di ascolto, sulla distinzione di Nattiez (2002) tra endosemantica ed esosemantica musicale, sui significati intrinseci ed estrinseci. Due altri rapidi passaggi sono stati il rapporto tra suono e gesto (il movimento produttore ed evocato) e tra suono e segno (la rappresentazione nel linguaggio grafico), in quanto percorsi di trasformazione del sonoro che ne permettono una configurazione tattile e visiva.

Quali usi del sonoro? Riportando la riflessione dal piano musicale al piano sonoro, ho cercato infine di dare alcuni spunti su quanto pensare al suono e prendersene cura sia utile in contesti professionali differenti: la cura del paesaggio sonoro, dal design all’ecologia; l’attenzione al suono della voce nel public speaking; l’utilizzo di musica e suoni nei media; la musica come medium e setting nei contesti educativi e in quelli terapeutici.

È stata una carrellata estremamente densa di contenuti, ma gestita in una modalità il più possibile interattiva. Lo scopo di questo passaggio era dare spessore teorico e riferimenti pratici, partendo dall’esperienza precedente di ascolto, per fare arrivare le allieve e gli allievi più consapevoli all’ultima attività. C’era la volontà di suscitare interesse per il mondo sonoro in futuri giornalisti, designer, medici, docenti, o altro. Davvero, non credo che esista una professione completamente avulsa dalla dimensione sonora.

L’ultima ora di lezione è stata invece dedicata ad un’altra attività, questa volta non di recezione ma di produzione. Volevo far fare loro un’esperienza di manipolazione finalizzata ad un uso consapevole del sonoro con un preciso scopo comunicativo. Ho chiesto alla classe di dividersi nuovamente in gruppi e ri-sonorizzare un frammento video, facendo in modo che la nuova colonna sonora ne variasse la percezione producendo una reazione emotiva differente rispetto all’originale. Avevo a disposizione un pc con proiettore ed un mio impianto audio con mixer per avere un canale dedicato allo smartphone. Ho fornito loro un esempio (Lion king, video 1): avevo scelto il frammento di un film (o video) conosciuto e gli avevo associato una colonna sonora alternativa, avviando la riproduzione con due dispositivi differenti (il pc per il video, lo smartphone per l’audio). Dopo averglielo mostrato, ho suggerito di cercare un punto di sincronizzazione scegliendo un preciso frammento video (inquadratura o movimento) da abbinare ad un gesto sonoro in risalto all’interno del brano musicale; nel mio caso, avevo sincronizzato le partenze dei frammenti in modo che all’urlo di Zack de la Rocha (Rage against the machine) corrispondesse il ruggito di Simba, al minuto 1’23”. La trasformazione di senso in questo caso ha portato ad un incremento energetico simile all’originale, ma più violento, esplosivo, di rabbia più che di pace.

A seguito dell’esempio, ho lasciato lavorare gli studenti in autonomia. Dopo circa un quarto d’ora di intensa attività, qualcuno aveva già finito. Una volta pronti, abbiamo avviato le presentazioni, di cui ripresento gli elaborati più interessanti tra i materiali allegati, come video montati a posteriori.

A Clockwork Orange (video 2): la variazione della colonna sonora conferisce un senso grottesco, quasi umoristico, al frammento già denso di ambiguità, alleggerendo in qualche modo la scena rispetto alla dissociazione pensata da Kubrick nel rappresentare una violenza futile, banale, annoiata, vuota, prima di motivazione.

Shining (video 3): è stata una scelta ardita partire da una scena horror e cercarla di farla sembrare ancora più agghiacciante di quanto non sia; eppure, se si accentua la dissociazione e lo straniamento dando a Jack Nicholson la voce di un personaggio dell’immaginario infantile, la visione del frammento diventa ancora più inquietante.

Rogue One (video 4): non si può toccare Darth Vader senza rimanere coinvolti dal lato oscuro, il nero della figura è avvolgente e lascia poco spazio ad altre interpretazioni; ma se si toglie il respiro affannato e si pensa che la spada laser rossa potrebbe diventare rosa, un rosa fluorescente anni ’90, allora tutto cambia.

Titanic (video 5): humor nero, duro e crudo di grande impatto, che ha suscitato un applauso immediato per la genialità dell’associazione. Non ha bisogno di altri commenti, se non quello di un’anziana professoressa che, avendo terminato la sua lezione, si era fermata incuriosita a seguire la conclusione della mia, e alla fine mi ha fermato per dirmi qualcosa come: “volevo piangere, perché questa scena mi ha sempre suscitato orrore, panico e una sofferenza profonda per la tragedia che rappresenta … ma al tempo stesso non riuscivo a smettere di ridere, era qualcosa di indescrivibilmente divertente per l’assurdità dell’associazione tra visivo e sonoro”.

 

Riflessioni

In questa lezione si è passati da attività recettiva, di interpretazione e dialogo, ad un percorso conoscitivo di “accenni” e riferimenti, per terminare con una forma molto semplice di invenzione musicale. Penso che non sia stato un percorso utile solo a chi si intende di musica, ma in generale per futuri professionisti. Lavorare sull’ascolto, sull’introspezione, sulla definizione e organizzazione delle prospettive plurali, ma anche sulla trasformazione e variazione di materiali, sono attività che rientrano in vari ambiti disciplinari e in generale nella vita. La musica in questo senso è una delle possibili strade per creare opportunità di sviluppo di tali competenze. Non mi aspettavo una tale creatività nella manipolazione (o si potrebbe parlare di composizione?) di materiali sonori. Questo mi ha fatto pensare al potenziale latente che spesso non si considera tra i giovani. Si è troppo spesso concentrati sulla conduzione, che garantisce il controllo, il raggiungimento degli obiettivi, e si perde di vista la creatività come finalità e come strumento trasversale di molte attività umane. Spesso basta creare il contesto di gioco, e la musica si presta bene a questo scopo.

Le competenze del formatore, per tenere una lezione di questo tipo, non devono essere necessariamente legate alla pratica della musica. Servono conoscenze sui vari temi trattati, che nel mio caso derivano da studi in ambito pedagogico, musicologico e musicoterapeutico, ma che potrebbero tranquillamente essere frutto di un interesse musicale al di fuori di altri percorsi accademici. Serve aver fatto esperienze di ascolto e meta riflessione in un gruppo di adulti, saper spaziare tra i materiali discografici. Servono le competenze didattiche per gestire una lezione di 3 ore e mezza in un’aula con 60 studenti, strutturando un programma che permetta di stimolare l’attenzione e la partecipazione.

Concludo con una valutazione dell’attività richiesta ad una voce esterna. Ho posto quattro domande (seguendo il modello dell’articolo precedente) al Professor Fabrizio Bracco, docente di Psicologia sociale e coordinatore del ciclo di incontri sulla comunicazione efficace, che mi aveva invitato a tenere la lezione ed era presente al momento dell’attività come osservatore.

Quali motivazioni o suggestioni ti hanno portato ad inserire un intervento legato alla musica all’interno del ciclo di incontri sulla comunicazione efficace?

volevo dare agli studenti l’opportunità di una riflessione su un mezzo così pervasivo da risultare quasi “trasparente”. Musica come sottofondo che rischia di scomparire ma su cui si veicolano messaggi a livello affettivo da non trascurare. Volevo anche offrire l’occasione per riflettere sulla comunicazione non solo come atto di emissione del messaggio, ma anche come capacità di capire e decodificare i messaggi che ci giungono. La musica quindi non solo come mezzo per chi vuole esprimersi mediante composizione, ma anche come messaggio che chiunque riceve e che potrebbe non ascoltare in modo competente.

Come hai vissuto l’esperienza?

In modo positivo, ci sono stati contenuti teorici ma anche esperienziali, buon bilanciamento fra aspetti contenutistici e lavori di gruppo, il tutto gestito con un clima collaborativo e sereno.

Dopo aver vissuto l’esperienza, quali competenze pensi si possa lavorare attraverso questa tipologia di attività musicali?

Mi ha colpito l’attenzione da porre al significato, al potere evocativo della musica, che per essere colto richiede ascolto attivo, presenza mentale. Penso che la competenza all’ascolto sarebbe un ambito da consolidare.

Dopo aver vissuto l’esperienza, quali competenze pensi siano necessarie ad un formatore per poterla riprogettare e condurre?

A parte le ovvie competenze musicali e tecniche, serve capacità di ascolto dell’aula, di accettazione delle condivisioni, di facilitazione del gruppo verso attività che potrebbero sembrare banali ma non lo sono. Capacità di stimolare un clima sereno ma non sfilacciato, sempre orientato al lavoro, al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento.

 

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Video 2 - A Clockwork Orange

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Video 5 - Titanic