Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Suono e rumore. Dalla pratica alla teoria: un’esperienza alla scuola primaria

Clarissa Romani
Contributo presentato in occasione del Convegno di Urbino, “I saperi dall’ascolto: percorsi educativi nel paesaggio sonoro”- 26 settembre – 1 ottobre 2022.
FKL | Associazione CSMDB | Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

Questa esperienza nasce dalla considerazione che l’educazione musicale è soprattutto educazione all’ascolto. Mi interessava raggiungere un obiettivo in particolare e cioè che i bambini considerassero la musica anche sotto l’aspetto dell’osservazione attiva di ciò che accade al di là della loro percezione superficiale.
Il presupposto perché fossero protagonisti attivi di questa ricerca era partire dalle loro osservazioni per introdurre un approfondimento sugli eventi sonori in generale e su cosa avvenga quando percepiamo un suono o perché lo definiamo rumore.
I bambini hanno sperimentando a casa e riportato a scuola le loro osservazioni per discuterle insieme. Questo è il risultato del nostro lavoro, il cui valore scientifico deve essere considerato il raggiungimento di una verità “temporanea” perché ciò che più conta, a mio modo di vedere, è la spinta a saperne di più, a valutare che si possano sempre scoprire cose nuove, nuovi punti di vista.

Clarissa Romani musicista, cantante, concertista. Diplomata in didattica della musica e dello strumento e direzione di coro. Attiva nella scuola primaria da 20 anni, formatrice.


 

Parte prima
Le onde sonore

Quello che spinge la mia continua ricerca di nuovi spunti per insegnare Educazione Musicale è partire dalle osservazioni dei bambini, dalle loro domande. Penso che sia il punto di partenza per lavorare con loro al meglio, abituandoli a rintracciare nella ricerca individuale e nel confronto con gli altri le risposte, coltivando in loro la curiosità. Anche gli ambienti notoriamente meno consoni alla vita comune, possono essere una ricchezza. E così, la mensa ci ha offerto uno spunto che non potevo trascurare. Abbiamo quindi cominciato a ragionare su cosa accadesse nella mezzora del pranzo e mentre mi chiedevano perché ci fosse quel rumore fastidioso, perché parlando tutti insieme si creasse un gran caos, mi sono ritrovata a considerare in quale modo avrei potuto aiutarli a capire come si comporta un evento sonoro. Ho scelto di utilizzare questi termini volendo arrivare fin da subito alla possibilità di discernere tra suono e rumore senza “orientarli”.
Ma come far percepire ciò che non si vede? Lo spunto è partito da una classe seconda, ma in linea di massima nella scuola primaria mi sembrava una forzatura insistere su un livello di astrazione a mio avviso troppo elevato, almeno in un prima fase. Ho pensato quindi di proporre loro di sperimentare con l’acqua, e di osservare cosa accadesse sulla superficie di una bacinella rettangolare piena in cui gettare o far cadere oggetti di forma e peso differente da punti diversi: centro, lato corto, lato lungo, angolo. Ho poi chiesto alla classe di disegnare quanto visto e scrivere la lista degli oggetti utilizzati.
Terminata la fase sperimentale individuale, svolta a casa, abbiamo confrontato in classe le diverse esperienze e i bambini si sono scambiati le osservazioni. In questo modo hanno avuto l’opportunità di trovare similitudini, differenze, anche sulla metodologia che ognuno aveva utilizzato per relazionare l’esperimento. Ha suscitato molto scalpore l’esperienza di un bambino che, gettando una biglia molto pesante di metallo al centro della bacinella, si è ritrovato con un vero e proprio buco nell’acqua e totale assenza di onde.
Qualcuno ha notato che gli schizzi prodotti da alcuni oggetti a loro volta creavano onde più piccole e “leggere”. In classe quarta molti bambini hanno osservato, quindi disegnato e descritto le come le onde, fossero tornate indietro, una volta avere raggiunto la parete della bacinella. Abbiamo quindi ragionato del fenomeno dell’eco, provando a immaginarlo e a disegnarlo.
Ho concluso questa parte con una richiesta. Si trattava di disegnare una situazione ipotetica, visualizzando ciò che sarebbe accaduto. A ciascuno ho assegnato un compagno o una compagna lontana e in posizione opposta con cui comunicare, mentre altri due bambini incrociavano questa comunicazione, chiamandosi a loro volta. Ogni soggetto aveva le onde di colore azzurro e per gli altri poteva utilizzare tre colori a suo piacere. Già a questo punto la classe aveva capito cosa succede quando più persone parlano nello spesso momento. Siamo quindi giunti a riformulare la domanda di partenza: mensa cosa succede? Ho proposto alle classi di disegnarlo.

Conclusione: è un gran caos! Non si capisce niente!

Parte seconda
Suono, rumore?

Per la seconda parte della sperimentazione ho utilizzato uno xilofono, un metallofono e alcune superfici della classe (una pila di quaderni, la cattedra, l’anta di un armadio, il vetro della finestra). Ho chiesto ai bambini di tenere gli occhi chiusi e valutare, di volta in volta, nel confronto fra due eventi sonori, quale si potesse considerare un suono e quale un rumore. Ho quindi proceduto in questo modo:

 

Ho ripetuto più volte le diverse proposte, accogliendo le loro suggestioni senza esprimermi.
Quello che ne ho dedotto è stato che la percezione dello xilofono era in linea di massima assimilabile a quella delle superfici nel confronto con il metallofono. Tuttavia almeno un terzo della classe percepiva lo stimolo sonoro dello xilofono e lo descriveva come suono. Se confrontato con le diverse superfici della classe, più della metà dei bambini percepiva lo xilofono come suono, ma rimaneva una percentuale di indecisi o nettamente orientati sul rumore. A questo punto ho domandato alla classe cosa, secondo loro facesse la differenza tra l’evento sonoro/suono e l’evento sonoro/ rumore. Tra le tante proposte mi ha colpito quella di M. ,un bambino di classe seconda, il quale ha risposto che un suono si può intonare. Dunque abbiamo provato a intonare i diversi eventi e, di lì, è stato più facile per la classe arrivare al riconoscimento dello xilofono rispetto alle superfici. Ogni volta che una classe faceva osservazioni particolari e calzanti, portavo quella ricchezza nelle altre classi, proponendo l’esperienza anche da quel punto di vista. Ho anche chiesto di definire con aggettivi tanto i suono che il rumore e, al di là del volume, ne è scaturito che il suono viene comunque percepito come dolce, gradevole, tranquillizzante, bello, mentre il rumore è stato associato al concetto di fastidio, spavento, disorientamento. Da qui la terza parte.

Parte Terza
Orientarsi ascoltando

Giochi in giardino

Osserviamo tutti insieme

Alla fine dell’anno scolastico ho potuto proporre alle classi un’attività di gruppo, quindi ho realizzato gli stessi esperimenti che i bambini avevano fatto a casa, nel giardino della scuola. Inoltre volevo far osservare a tutti insieme la differenza tra le onde lunghe dei suoni e quelle corte dei rumori. Ho preparato quindi due grandi recipienti colmi d’acqua e abbiamo ripetuto i primi esperimenti condotti dai bambini nella prima parte dell’anno scolastico. In un secondo momento, abbiamo costruito delle torri e osservato come le onde si spezzassero nell’incontrare l’ostacolo e ci girassero intorno, rendendo più difficile l’osservazione.
Nella prima parte dell’esperimento è stato anche osservato che le onde, dopo aver colpito la parete dalla bacinella, tornavano indietro. Mentre in classe quarta alcuni bambini lo avevano dedotto dall’osservazione dell’esperimento, dal lavoro singolo dei bambini più piccoli questo fenomeno non era emerso. Ma, come spesso accade, il lavoro di gruppo crea le condizioni per andare oltre i propri limiti e qualcuno si è accorto che la parete non fermava né assorbiva le onde, ma che queste tornavano indietro. Ho chiesto di fare silenzio e ho gridato Ah! La voce ”è tornata indietro”; abbiamo provato a farlo tutti insieme e anche in questo caso la nostra eco ci ha risposto. Una volta tornati in classe, ho chiesto ai bambini di disegnare quello che avevano percepito e visto sulla superficie dell’acqua.

I giochi

Nella seconda parte dell’ora, ho proposto alle classi tre giochi sonori da fare in gruppo.

Gioco 1

Tutti in piedi, in movimento, con gli occhi chiusi. Ognuno tiene in mano due costruzioni Lego grandi semirigide. La persona di cui toccavo la spalla batteva fra loro le costruzioni una volta, forte. Il gioco si è protratto a lungo per poter garantire a tutti la possibilità di battere le costruzioni fra loro e per sfruttare ogni posizione possibile di vicinanza/lontananza del soggetto attivo dal gruppo. Alla fine del gioco ho chiesto: Siete riusciti a capire da dove venisse l’evento sonoro? RISPOSTA: No

Gioco 2

Tutta la classe seduta in ordine sparso, una persona in piedi in movimento, seguendo gli eventi sonori, a occhi chiusi. Uno alla volta, su mia richiesta, i compagni battevano fra loro le costruzioni una volta, forte. DOMANDA: Siete riusciti a capire da dove venisse l’evento sonoro e siete riusciti ad orientarvi e andare verso la fonte sonora? RISPOSTA: Si

Gioco 3

Bambini seduti a piccoli gruppi, molto distanti fra loro. Una persona in piedi in movimento ad occhi chiusi. A turno i gruppi producevano eventi sonori brevi e forti. Ad un mio segnale uno dei gruppi ha iniziato a battere fra loro le costruzioni in modo continuativo ma a basso volume. DOMANDA: Quando siete riusciti ad orientarvi, seguendo l’evento sonoro? RISPOSTA: nella seconda parte del gioco, perché essendo i gruppi molto distanti fra loro, un solo evento breve non ci ha consentito di capire in quale direzione andare, quando invece l’evento è durato a lungo, spostandoci lo abbiamo sentito e avvicinandoci, lo abbiamo percepito in modo sempre più chiaro e siamo andati in quella direzione.

Conclusioni

Percepire con nettezza la separazione tra suono e rumore è difficile. Non era comunque questo il mio scopo, ma far si che i bambini considerassero la musica anche sotto l’aspetto dell’osservazione attiva di ciò che accade al di là della loro percezione superficiale dell’evento sonoro. Da questa esperienza hanno dedotto in primis dei essere bravi ascoltatori, bravi osservatori e di saper discutere nel confronto. Hanno tratto quindi le loro conclusioni:

Un evento sonoro breve e isolato è poco significativo perché non resta nel tempo e distrae.

Al contrario, una fonte sonora certa e prolungata risulta chiaramente percepibile aiuta a orientarsi nello spazio,

Se chi produce gli eventi sonori è in movimento, questo crea un’ulteriore difficoltà.

Alcuni eventi sonori si possono imitare, altri si possono intonare e li chiamiamo suoni.

Se è importante saper ascoltare il suono di una voce o di uno strumento per intonarsi, lo è a mio avviso ancor di più, capire come si comporta tale evento e mettersi nei panni dell’osservatore, prima ancora che dell’esecutore. La partecipazione attiva è assai stimolante e porta a osservazioni che rendono la classe ricettiva e pronta a entrare in questo strano mondo musicale, che ha sue leggi e un suo complesso linguaggio, in modo consapevole e attento. Questa esperienza ha aiutato i bambini a considerare musica anche ciò che apparentemente non lo è. Quando non ci si pongono domande, l’apprendimento tende a essere passivo e l’ansia dell’errore si nasconde dietro l’angolo. La musica offre molte opportunità di confronto e ricerca, situazioni in cui ciascuno offre il proprio punto di vista e insieme si raggiunge un punto di accordo e si scoprono alcune regole. Ciò sostiene anche i più fragili a esprimersi e la ricerca si avvale del contributo di tutti. Durante questa esperienza, nessuno, nemmeno i più piccoli, che sono certamente meno strutturati e più spontanei, ha dubitato che stessimo facendo lezione di musica, nemmeno durante i giochi in giardino. La classe quarta ha inventato due giochi sonori davvero interessanti, cogliendo in pieno il senso della proposta.
Nello svolgere queste attività, è però importante, almeno in questo ambito, sapersi accontentare di una verità “temporanea” perché ciò che più conta, a mio modo di vedere, è la spinta a saperne di più, a non fermarsi al risultato raggiunto, a valutare che si possono sempre scoprire cose nuove, integrare competenze e ampliare la propria conoscenza.

L’Educazione Musicale

Quando parliamo di Educazione Musicale, cosa intendiamo veramente? Cosa educa alla musica? Il mero ascolto, l’apprendimento del pentagramma e della sua scrittura, la corretta intonazione, andare a tempo? Sono certamente cose importanti, ma ciò che rende interessante il lavoro, anche per chi insegna questa disciplina, è la possibilità di affrontare il fenomeno sonoro sotto il più ampio spettro possibile di situazioni. Ad esempio l’utilizzo dell’alfabeto offre moltissimi spunti per lavorare sulla percezione fisica e sonora di consonanti e vocali, consentendo la creazione di vere e proprie partiture. Una prima esperienza per tentare un percorso di distinzione tra eventi sonori di lunga durata e brevi impulsi sonori.
In definitiva è “paesaggio sonoro” tutto ciò che il nostro orecchio e il nostro corpo percepiscono, sta a noi cogliere, ed educare a cogliere, questi segnali e trasformarli in musica e nel suo specifico linguaggio.

 

Parte prima
Le onde sonore

Quello che spinge la mia continua ricerca di nuovi spunti per insegnare Educazione Musicale è partire dalle osservazioni dei bambini, dalle loro domande. Penso che sia il punto di partenza per lavorare con loro al meglio, abituandoli a rintracciare nella ricerca individuale e nel confronto con gli altri le risposte, coltivando in loro la curiosità. Anche gli ambienti notoriamente meno consoni alla vita comune, possono essere una ricchezza. E così, la mensa ci ha offerto uno spunto che non potevo trascurare. Abbiamo quindi cominciato a ragionare su cosa accadesse nella mezzora del pranzo e mentre mi chiedevano perché ci fosse quel rumore fastidioso, perché parlando tutti insieme si creasse un gran caos, mi sono ritrovata a considerare in quale modo avrei potuto aiutarli a capire come si comporta un evento sonoro. Ho scelto di utilizzare questi termini volendo arrivare fin da subito alla possibilità di discernere tra suono e rumore senza “orientarli”.
Ma come far percepire ciò che non si vede? Lo spunto è partito da una classe seconda, ma in linea di massima nella scuola primaria mi sembrava una forzatura insistere su un livello di astrazione a mio avviso troppo elevato, almeno in un prima fase. Ho pensato quindi di proporre loro di sperimentare con l’acqua, e di osservare cosa accadesse sulla superficie di una bacinella rettangolare piena in cui gettare o far cadere oggetti di forma e peso differente da punti diversi: centro, lato corto, lato lungo, angolo. Ho poi chiesto alla classe di disegnare quanto visto e scrivere la lista degli oggetti utilizzati.
Terminata la fase sperimentale individuale, svolta a casa, abbiamo confrontato in classe le diverse esperienze e i bambini si sono scambiati le osservazioni. In questo modo hanno avuto l’opportunità di trovare similitudini, differenze, anche sulla metodologia che ognuno aveva utilizzato per relazionare l’esperimento. Ha suscitato molto scalpore l’esperienza di un bambino che, gettando una biglia molto pesante di metallo al centro della bacinella, si è ritrovato con un vero e proprio buco nell’acqua e totale assenza di onde.
Qualcuno ha notato che gli schizzi prodotti da alcuni oggetti a loro volta creavano onde più piccole e “leggere”. In classe quarta molti bambini hanno osservato, quindi disegnato e descritto le come le onde, fossero tornate indietro, una volta avere raggiunto la parete della bacinella. Abbiamo quindi ragionato del fenomeno dell’eco, provando a immaginarlo e a disegnarlo.
Ho concluso questa parte con una richiesta. Si trattava di disegnare una situazione ipotetica, visualizzando ciò che sarebbe accaduto. A ciascuno ho assegnato un compagno o una compagna lontana e in posizione opposta con cui comunicare, mentre altri due bambini incrociavano questa comunicazione, chiamandosi a loro volta. Ogni soggetto aveva le onde di colore azzurro e per gli altri poteva utilizzare tre colori a suo piacere. Già a questo punto la classe aveva capito cosa succede quando più persone parlano nello spesso momento. Siamo quindi giunti a riformulare la domanda di partenza: mensa cosa succede? Ho proposto alle classi di disegnarlo.

Conclusione: è un gran caos! Non si capisce niente!

Parte seconda
Suono, rumore?

Per la seconda parte della sperimentazione ho utilizzato uno xilofono, un metallofono e alcune superfici della classe (una pila di quaderni, la cattedra, l’anta di un armadio, il vetro della finestra). Ho chiesto ai bambini di tenere gli occhi chiusi e valutare, di volta in volta, nel confronto fra due eventi sonori, quale si potesse considerare un suono e quale un rumore. Ho quindi proceduto in questo modo:

 

Ho ripetuto più volte le diverse proposte, accogliendo le loro suggestioni senza esprimermi.
Quello che ne ho dedotto è stato che la percezione dello xilofono era in linea di massima assimilabile a quella delle superfici nel confronto con il metallofono. Tuttavia almeno un terzo della classe percepiva lo stimolo sonoro dello xilofono e lo descriveva come suono. Se confrontato con le diverse superfici della classe, più della metà dei bambini percepiva lo xilofono come suono, ma rimaneva una percentuale di indecisi o nettamente orientati sul rumore. A questo punto ho domandato alla classe cosa, secondo loro facesse la differenza tra l’evento sonoro/suono e l’evento sonoro/ rumore. Tra le tante proposte mi ha colpito quella di M. ,un bambino di classe seconda, il quale ha risposto che un suono si può intonare. Dunque abbiamo provato a intonare i diversi eventi e, di lì, è stato più facile per la classe arrivare al riconoscimento dello xilofono rispetto alle superfici. Ogni volta che una classe faceva osservazioni particolari e calzanti, portavo quella ricchezza nelle altre classi, proponendo l’esperienza anche da quel punto di vista. Ho anche chiesto di definire con aggettivi tanto i suono che il rumore e, al di là del volume, ne è scaturito che il suono viene comunque percepito come dolce, gradevole, tranquillizzante, bello, mentre il rumore è stato associato al concetto di fastidio, spavento, disorientamento. Da qui la terza parte.

Parte Terza
Orientarsi ascoltando

Giochi in giardino

Osserviamo tutti insieme

Alla fine dell’anno scolastico ho potuto proporre alle classi un’attività di gruppo, quindi ho realizzato gli stessi esperimenti che i bambini avevano fatto a casa, nel giardino della scuola. Inoltre volevo far osservare a tutti insieme la differenza tra le onde lunghe dei suoni e quelle corte dei rumori. Ho preparato quindi due grandi recipienti colmi d’acqua e abbiamo ripetuto i primi esperimenti condotti dai bambini nella prima parte dell’anno scolastico. In un secondo momento, abbiamo costruito delle torri e osservato come le onde si spezzassero nell’incontrare l’ostacolo e ci girassero intorno, rendendo più difficile l’osservazione.
Nella prima parte dell’esperimento è stato anche osservato che le onde, dopo aver colpito la parete dalla bacinella, tornavano indietro. Mentre in classe quarta alcuni bambini lo avevano dedotto dall’osservazione dell’esperimento, dal lavoro singolo dei bambini più piccoli questo fenomeno non era emerso. Ma, come spesso accade, il lavoro di gruppo crea le condizioni per andare oltre i propri limiti e qualcuno si è accorto che la parete non fermava né assorbiva le onde, ma che queste tornavano indietro. Ho chiesto di fare silenzio e ho gridato Ah! La voce ”è tornata indietro”; abbiamo provato a farlo tutti insieme e anche in questo caso la nostra eco ci ha risposto. Una volta tornati in classe, ho chiesto ai bambini di disegnare quello che avevano percepito e visto sulla superficie dell’acqua.

I giochi

Nella seconda parte dell’ora, ho proposto alle classi tre giochi sonori da fare in gruppo.

Gioco 1

Tutti in piedi, in movimento, con gli occhi chiusi. Ognuno tiene in mano due costruzioni Lego grandi semirigide. La persona di cui toccavo la spalla batteva fra loro le costruzioni una volta, forte. Il gioco si è protratto a lungo per poter garantire a tutti la possibilità di battere le costruzioni fra loro e per sfruttare ogni posizione possibile di vicinanza/lontananza del soggetto attivo dal gruppo. Alla fine del gioco ho chiesto: Siete riusciti a capire da dove venisse l’evento sonoro? RISPOSTA: No

Gioco 2

Tutta la classe seduta in ordine sparso, una persona in piedi in movimento, seguendo gli eventi sonori, a occhi chiusi. Uno alla volta, su mia richiesta, i compagni battevano fra loro le costruzioni una volta, forte. DOMANDA: Siete riusciti a capire da dove venisse l’evento sonoro e siete riusciti ad orientarvi e andare verso la fonte sonora? RISPOSTA: Si

Gioco 3

Bambini seduti a piccoli gruppi, molto distanti fra loro. Una persona in piedi in movimento ad occhi chiusi. A turno i gruppi producevano eventi sonori brevi e forti. Ad un mio segnale uno dei gruppi ha iniziato a battere fra loro le costruzioni in modo continuativo ma a basso volume. DOMANDA: Quando siete riusciti ad orientarvi, seguendo l’evento sonoro? RISPOSTA: nella seconda parte del gioco, perché essendo i gruppi molto distanti fra loro, un solo evento breve non ci ha consentito di capire in quale direzione andare, quando invece l’evento è durato a lungo, spostandoci lo abbiamo sentito e avvicinandoci, lo abbiamo percepito in modo sempre più chiaro e siamo andati in quella direzione.

Conclusioni

Percepire con nettezza la separazione tra suono e rumore è difficile. Non era comunque questo il mio scopo, ma far si che i bambini considerassero la musica anche sotto l’aspetto dell’osservazione attiva di ciò che accade al di là della loro percezione superficiale dell’evento sonoro. Da questa esperienza hanno dedotto in primis dei essere bravi ascoltatori, bravi osservatori e di saper discutere nel confronto. Hanno tratto quindi le loro conclusioni:

Un evento sonoro breve e isolato è poco significativo perché non resta nel tempo e distrae.

Al contrario, una fonte sonora certa e prolungata risulta chiaramente percepibile aiuta a orientarsi nello spazio,

Se chi produce gli eventi sonori è in movimento, questo crea un’ulteriore difficoltà.

Alcuni eventi sonori si possono imitare, altri si possono intonare e li chiamiamo suoni.

Se è importante saper ascoltare il suono di una voce o di uno strumento per intonarsi, lo è a mio avviso ancor di più, capire come si comporta tale evento e mettersi nei panni dell’osservatore, prima ancora che dell’esecutore. La partecipazione attiva è assai stimolante e porta a osservazioni che rendono la classe ricettiva e pronta a entrare in questo strano mondo musicale, che ha sue leggi e un suo complesso linguaggio, in modo consapevole e attento. Questa esperienza ha aiutato i bambini a considerare musica anche ciò che apparentemente non lo è. Quando non ci si pongono domande, l’apprendimento tende a essere passivo e l’ansia dell’errore si nasconde dietro l’angolo. La musica offre molte opportunità di confronto e ricerca, situazioni in cui ciascuno offre il proprio punto di vista e insieme si raggiunge un punto di accordo e si scoprono alcune regole. Ciò sostiene anche i più fragili a esprimersi e la ricerca si avvale del contributo di tutti. Durante questa esperienza, nessuno, nemmeno i più piccoli, che sono certamente meno strutturati e più spontanei, ha dubitato che stessimo facendo lezione di musica, nemmeno durante i giochi in giardino. La classe quarta ha inventato due giochi sonori davvero interessanti, cogliendo in pieno il senso della proposta.
Nello svolgere queste attività, è però importante, almeno in questo ambito, sapersi accontentare di una verità “temporanea” perché ciò che più conta, a mio modo di vedere, è la spinta a saperne di più, a non fermarsi al risultato raggiunto, a valutare che si possono sempre scoprire cose nuove, integrare competenze e ampliare la propria conoscenza.

L’Educazione Musicale

Quando parliamo di Educazione Musicale, cosa intendiamo veramente? Cosa educa alla musica? Il mero ascolto, l’apprendimento del pentagramma e della sua scrittura, la corretta intonazione, andare a tempo? Sono certamente cose importanti, ma ciò che rende interessante il lavoro, anche per chi insegna questa disciplina, è la possibilità di affrontare il fenomeno sonoro sotto il più ampio spettro possibile di situazioni. Ad esempio l’utilizzo dell’alfabeto offre moltissimi spunti per lavorare sulla percezione fisica e sonora di consonanti e vocali, consentendo la creazione di vere e proprie partiture. Una prima esperienza per tentare un percorso di distinzione tra eventi sonori di lunga durata e brevi impulsi sonori.
In definitiva è “paesaggio sonoro” tutto ciò che il nostro orecchio e il nostro corpo percepiscono, sta a noi cogliere, ed educare a cogliere, questi segnali e trasformarli in musica e nel suo specifico linguaggio.

 

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