1. Discipline / Curricolo
Il rapporto tra una disciplina e il progetto educativo implica qualche riflessione preliminare di carattere generale sul senso della presenza di una determinata disciplina nel curricolo formativo. Possiamo iniziare facendo riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (2012), documento ministeriale che ha accolto ed esprime una visione di scuola e una prospettiva educativa interessante.
Nelle Indicazioni il termine usato per il curricolo musicale della scuola primaria e secondaria di I grado è semplicemente “Musica”, mentre per la scuola dell’infanzia le indicazioni per le attività musicali sono contenute nel paragrafo dei campi di esperienza “Immagini, suoni, colori”. Nei documenti ministeriali precedenti le denominazioni relative alla musica erano: “Educazione musicale” (Programmi, orari di insegnamento e prove d’esame per la scuola media statale del 1979), “Educazione al suono e alla musica” (Approvazione dei nuovi programmi didattici per la scuola primaria del 1985), “Attività sonore e musicali” – nel campo di esperienza educativa “Messaggi, forme e media” (Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali del 1991).
Le Indicazioni del 2012 segnano un cambiamento notevole di prospettiva: l’attenzione non è posta tanto sui contenuti dei programmi d’insegnamento, e quindi sui contenuti disciplinari e sulle connesse metodologie, ma sulla acquisizione delle competenze, attraverso percorsi che intrecciano saperi, esperienze e discipline:
Ogni scuola predispone il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina. […] Fin dalla scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado l’attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno e non ad una sequenza lineare, e necessariamente incompleta, di contenuti disciplinari. I docenti, in stretta collaborazione, promuovono attività significative nelle quali gli strumenti e i metodi caratteristici delle discipline si confrontano e si intrecciano tra loro, evitando trattazioni di argomenti distanti dall’esperienza e frammentati in nozioni da memorizzare. Le discipline, così come noi le conosciamo, sono state storicamente separate l’una dall’altra da confini convenzionali che non hanno alcun riscontro con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento. Ogni persona, a scuola come nella vita, impara infatti attingendo liberamente dalla sua esperienza, dalle conoscenze o dalle discipline, elaborandole con un’attività continua e autonoma. (MIUR, 2012, p. 17).
Gli obiettivi formativi riguardano la globalità della persona e occorre focalizzare l’attenzione sul “senso dell’esperienza educativa”, favorendo la consapevolezza di sé e sviluppando le proprie inclinazioni. Tenendo presente queste finalità generali si può inquadrare meglio quella che è definita “alfabetizzazione culturale di base” che, nella scuola primaria, «attraverso gli alfabeti caratteristici di ciascuna disciplina, permette di esercitare differenti stili cognitivi, ponendo così le premesse per lo sviluppo del pensiero riflessivo e critico» (MIUR, 2012, p. 32). Nella scuola secondaria di I grado, invece, «si realizza l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo» (ibidem) anche se, avvertono le Indicazioni:
le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione. […] Le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline concorrono a loro volta alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale, orientate ai valori della convivenza civile e del bene comune» (MIUR, 2012, pp. 32-33).
Credo che il quadro complessivo delineato nella prima parte delle Indicazioni abbia determinato anche la scelta di come presentare la “disciplina musica”. Il testo “Musica”, infatti, non presenta tanto un elenco di contenuti da apprendere ma un insieme di attività finalizzate all’acquisizione di competenze centrate su due dimensioni:
a) produzione, mediante l’azione diretta (esplorativa, compositiva, esecutiva) con e sui materiali sonori, in particolare attraverso l’attività corale e di musica d’insieme; b) fruizione consapevole, che implica la costruzione e l’elaborazione di significati personali, sociali e culturali, relativamente a fatti, eventi, opere del presente e del passato» (MIUR, 2012, p. 71).
Si specificano quindi le funzioni formative che l’apprendimento della musica esplica: cognitivo-culturale, linguistico-comunicativa, emotivo-affettiva, identitaria e interculturale, critico-estetica. Si potrebbe dire, quindi, che sia privilegiata più la prospettiva di un’educazione con la musica, più che una educazione alla musica, terminologia che qualche decennio fa aveva suscitato un’ampia discussione.
2. Educare con / Educare a
Nei programmi per la scuola elementare pubblicati nel 1985 il capitolo relativo alla musica riportava, come si è detto, la denominazione “Educazione al suono e alla musica”, espressione probabilmente scelta in alternativa a “educare con la musica”, dove le preposizioni alla e con determinano due prospettive che implicano concezioni e metodologie diverse.
Negli anni ‘70 “Educare con la musica” era stata assunta come prospettiva per un rilancio e una rivalorizzazione dell’educazione musicale nella scuola. Tale espressione è stata definita anche “slogan” e “astuzia di valore eminentemente tattico” da Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti italiani di Didattica della musica che, esaminando il rapporto tra con e alla, afferma (1986, p. 23):
Una strategia di educazione con la musica, che rinneghi un’educazione alla musica, non può generare, sul terreno didattico, che una gracile creatura: lo spontaneismo; o, se si vuole, l’infantilismo didattico. Un’esperienza musicale perennemente arrestata alle abilità iniziali, alla “competenza comune”, nelle sue varie dimensioni: del percepire, del riprodurre, dell’inventare, del capire, dello scrivere. Una rinuncia a costruire competenze avanzate, una rinuncia alla progressione degli apprendimenti. […] Basta un’occhiata all’euforica produzione editoriale pullulata in questi anni per la scuola elementare per rendersi conto che il rischio dell’infantilismo è tutt’altro che teorico. E l’attuale incultura musicale della maestra è il viatico più sicuro delle sorti che nella Scuola elementare attenderanno i nuovi programmi. Sempre che la logica dello spontaneismo non venga respinta, che non si abbandoni per strada (ringraziandola per i suoi servigi politici) la tattica, occasionalmente utile, dell’“educare con la musica” in una superiore strategia: quella che sanzioni l’unicità sostanziale, l’omogeneità, del processo di apprendimento disciplinare, dalle fasi iniziali (quelle del gioco infantile o del diletto amatoriale) alle fasi avanzate (quelle del professionismo).
3. Discipline scolastiche / Discipline formali
Educare alla musica implica quello che Delfrati definisce il “rispetto della disciplina”, per cui
l’educazione musicale è tale solo se fa i conti – mediandola al suo interno – con la cultura musicale ai suoi massimi livelli di realizzazione, con i suoi fondamentali principi organizzatori. E di questa cultura è portatore il “musicista”, nel senso ideale di esperto, pratico e teorico, della disciplina (… per cui ne deriva che) a qualunque livello scolastico, fosse pure l’asilo nido, un’educazione musicale non contraffatta esige nell’insegnante il possesso degli strumenti fondamentali della disciplina.
La “disciplina” di cui Delfrati chiede il rispetto sembra identificarsi con «la cultura musicale ai suoi massimi livelli di realizzazione».
In realtà le cose non sono così semplici come possono lasciar trasparire questi enunciati, non solo perché si tratta di individuare i criteri in base ai quali valutare i massimi livelli e di accordarsi su chi e come può o deve stabilire i criteri stessi (la delega agli “esperti”, in tutti i campi, si sta dimostrando sempre più rischiosa nella nostra società contemporanea); ma anche perché, come sostiene Maurizio Della Casa (1985, p. 15),
[se è vero che] vi sono discipline scolastiche che sembrano rispettare la corrispondenza con una scienza o un sistema di sapere formalizzato nell’universo culturale, […] per altre discipline appare piuttosto arduo identificare una corrispondenza così puntuale. È quanto avviene per l’educazione musicale in cui il referente extrascolastico è costituito da una pluralità di settori d’indagine e di pratiche: il lavoro del musicista, la teoria musicale, la critica, la storiografia ecc. Appare necessaria, perciò, una distinzione fra discipline formali o ufficiali e discipline scolastiche, e risulta evidente che la struttura di queste ultime non è codificata a priori per mera specularità, ma deve essere elaborata attraverso una autonoma riflessione pedagogica che comporta scelte, esclusioni, integrazioni in relazione al ventaglio delle fonti possibili cui si fa riferimento.
È sintomatico il fatto che a vent’anni dalla osservazione di Della Casa, nel dibattito pubblicato sulla rivista Musica Domani Alessandra Anceschi si ponga la domanda «può la musica, nella scuola di oggi, definirsi ancora una disciplina scolastica?» (Anceschi, 2005, p. 13). Rispondendo sinteticamente Anceschi individua alcuni elementi che compongono una disciplina scolastica: un livello fattuale che per la musica è costituito dal patrimonio di conoscenze musicali formalizzato, organizzato, analizzato in questi secoli; un livello endogeno, «costituito da un procedimento di sedimentazione compiuto attraverso il decorso storico che abbia decretato i “fatti” appartenenti a un patrimonio di conoscenze umane»; un livello esogeno, «costituito da una serie di assunti paradigmatici che abbiano sancito il valore culturale di tali conoscenze, nel senso di averle individuate come indispensabili a cogliere i significati dei fatti trascorsi e che accadono nel mondo»; un livello gnoseologico, «costituito dalla presenza di uno strutturato pensiero epistemologico e pedagogico che abbia individuato il valore e il fondamento formativo dei contenuti sulla base di quanto sopra».
Occorre dire che, in realtà, la disciplina scolastica “Musica” non ha trovato sino ad oggi una formalizzazione compiuta e definitiva (ma ci si potrebbe chiedere se poi sia essenziale che avvenga…), e di fatto, nella pratica didattica, i contenuti della disciplina sono stati formalizzati nei libri di testo, in particolare quelli proposti per la scuola secondaria, che negli ultimi anni sembra siano stati intaccati solo marginalmente da quella autonoma riflessione pedagogica auspicata da Della Casa nella citazione sopra riportata. Un’analisi dettagliata di tali libri, anche dei più recenti, fa emergere una visione della disciplina scolastica “Musica” come un mosaico di contenuti derivati dalle teorie musicologiche, dalla storiografia, dalle tecniche compositive, dall’analisi e dalle teorie interpretative, e un insieme di repertori per la pratica vocale e strumentale[1]. In particolare, dopo i programmi della scuola media del 1979, l’approccio disciplinare alla musica è “come forma di linguaggio”, e la disciplina scolastica, denominata, come si è ricordato, “educazione musicale” «permette di coltivare e valorizzare una dotazione linguistica universale costitutiva della personalità, educa all’uso di uno dei mezzi essenziali della comunicazione, quello sonoro, e alla comprensione partecipativa dei maggiori patrimoni della civiltà, contribuisce all’affinamento del gusto estetico» (MIUR, 1979, p. 21). L’articolazione dei testi mette, quindi, in evidenza gli elementi strutturali del linguaggio: l’alfabeto (suoni e rumori), la grammatica (teoria e solfeggio), la sintassi (analisi formale), la scrittura (notazione), la letteratura (repertori da ascoltare o da eseguire). In sostanza l’obiettivo è “apprendere la disciplina” che, nei libri di testo, appare come semplificazione e sintesi dei volumi degli esperti (teorici, musicologi, storici, compositori).
Questa articolazione si ripresenta anche nei testi rivolti alla scuola primaria, nei quali di fatto non si fa altro che ridurre quantitativamente e semplificare ulteriormente, anche nella terminologia, alcuni contenuti. Si prospetta, quindi, un percorso in verticale che partendo dai più semplici concetti di suono e rumore e dalla descrizione di quelli che sono considerati i “parametri fondamentali” (altezza, durata, intensità e timbro), si sviluppa con la presentazione degli elementi base della notazione musicale e di alcune forme musicali della cosiddetta musica classica, mentre sul piano della pratica si passa da semplici esercizi ritmici e canti a una voce ad esercitazioni un po’ più complesse e a canti a più voci anche con accompagnamento strumentale. Non a caso in molti testi si fa riferimento alla “propedeuticità” di quanto è esposto in vista delle conoscenze e delle pratiche più complesse che attendono gli studenti nei gradi scolastici superiori. Sintomatico a questo riguardo è la parte relativa alla storia della musica, generalmente presentata in ordine cronologico, con le citazioni dei “grandi autori” del passato e, di fatto, il misconoscimento delle trasformazioni del secolo ventesimo. Non mancano tuttavia proposte metodologiche innovative per un raccordo tra storiografia e didattica della storia musicale e globale (Maule, 2007).
Fortunatamente questa impostazione si è andata modificando, in particolare a partire dai programmi per la scuola elementare del 1985 e, nelle impostazioni metodologiche più recenti, si è in certo qual modo rovesciata la prospettiva: più che “apprendere le discipline” l’attenzione è ad “apprendere dall’esperienza”, ponendo al centro la relazione educativa tra bambini/ragazzi e insegnanti, e quindi la valorizzazione dei vissuti, cioè le concrete interazioni che insegnanti e allievi hanno con i fatti, gli eventi, i prodotti musicali presenti nel quotidiano, da mettere in relazione con le tradizioni e i prodotti delle culture del mondo, sia in senso storico che geografico.
Più che sui contenuti da conoscere e memorizzare, s’insiste sulla costruzione di senso e significato che emerge dalla “pratica musicale”, termine che comprende sia l’uso di strumenti musicali di vario genere, sia il canto corale, sia le attività di ascolto critico e consapevole[2]. L’attenzione al fare talvolta si contrappone all’esigenza del comprendere e dell’ascoltare, mentre invece è necessario, come ben evidenziato da Rosalba Deriu (2007, p. 42) integrare i due piani:
È ormai generalmente riconosciuto (anche negli ultimi programmi ministeriali) che la competenza musicale si costruisce intorno alle attività del fare musica – suonare e cantare sia eseguendo musiche composte da altri sia inventando la propria musica – e dell’ascoltare. È meno pacificamente accettato che le due facce della competenza siano fra loro strettamente collegate e che, così come la comprensione diventa più ricca e profonda attraverso le attività di esecuzione e invenzione – perché queste ultime aiutano a entrare nel cuore dei procedimenti compositivi e dei meccanismi della comunicazione musicale –, così anche il fare musica acquisisce consapevolezza e profondità proprio grazie alle attività di interpretazione e analisi che si effettuano all’ascolto.
4. Lezione / Laboratorio
Lo statuto disciplinare della musica a scuola ha sempre altalenato, come si è accennato, tra la finalità addestrativa (imparare a suonare e a cantare, conoscere la teoria e la storia musicale) e un orientamento educativo che aiuti i ragazzi a dare senso alle proprie esperienze musicali scolastiche ed extrascolastiche. In questa altalena ha giocato un ruolo fondamentale l’elaborazione di modelli operativi focalizzati sull’idea di “laboratorio”. Tra il 1998 e il 2000 questa idea si è concretizzata con un’iniziativa senza precedenti da parte del Ministero: l’attivazione del “Progetto speciale musica”, voluto dall’allora Ministro Berlinguer, che prevedeva la costituzione, e il relativo finanziamento, di circa 300 laboratori, intesi sia come spazi fisici attrezzati per le attività musicali sia come modelli operativi per una didattica attiva (si veda l’ampia documentazione del progetto in Branchesi, 2003; Branchesi, 2006).
Nel documento di presentazione del progetto (in Branchesi, 2003, pp. 321-322) sono delineati i principi generali cui ci si dovrebbe attenere nell’attivazione di un laboratorio musicale:
a) l’educazione musicale deve comprendere una parte fondamentale di attività creativa e non può essere considerata una disciplina scolastica che si risolve in termini di puro apprendimento passivo;
b) l’educazione musicale è intesa come attività globale e implica l’attività gestuale, la pratica vocale, la pratica strumentale, la musica d’insieme, la drammatizzazione;
c) l’educazione musicale è intesa come mezzo espressivo e quindi come linguaggio;
d) l’educazione musicale è intesa in un’ottica di universalità e quindi di interculturalità.
[…] Il ruolo formativo dell’educazione musicale va associato a quello delle altre arti e discipline le quali comunemente sviluppano attitudini, saperi, abilità estetiche ed espressive quali: espressione di sé e comunicazione; conoscersi e rappresentarsi, conoscere e rappresentare; nuove modalità di pensiero (superamento del pensiero lineare e consequenziale); capacità di cogliere ambiguità e pluralità di significati; affinamento della percezione e della capacità di rielaborazione creativa degli stimoli sensoriali.
Le esperienze attivate nei laboratori hanno anche permesso di sviluppare approfondite riflessioni proprio sulle forme d’intelligenza e gli stili di apprendimento che la pratica musicale contribuisce ad attivare e, quindi, sui riflessi che l’esperienza del fare/ascoltare musica proietta sia sulle competenze generali sia sullo sviluppo della personalità dei ragazzi, nella costruzione di una propria identità individuale come anche nelle dinamiche di gruppo che regolano le relazioni sociali.
L’interesse suscitato dai laboratori musicali ha probabilmente spinto il Ministero a mettere in ordinamento, nel 1999, anche le sperimentazioni dei corsi a indirizzo musicale attivi nelle scuole medie fin dagli anni 70. Si viene così a configurare un doppio binario della disciplina “Musica” nella scuola secondaria di I grado, con anche una differenziazione del personale docente: il binario della “educazione musicale” e quello della pratica strumentale, anche se limitata a quattro strumenti. Tutto questo ha favorito la costituzione di cori e orchestre scolastiche, promuovendo anche l’elaborazione di progetti interdisciplinari.
La forma laboratoriale si è sviluppata in modo consistente anche nei servizi per l’infanzia (nidi e scuole dell’infanzia), sostenuta da approfondite ricerche sulle modalità di approccio che bambini e bambine attivano anche spontaneamente nei confronti del suono e della musica. Esplorazione, invenzione, gioco, improvvisazione, scoperta sono termini ricorrenti nella descrizione delle condotte e dei comportamenti musicali infantili (Delalande, 2001 e 2009). Il gioco sonoro dei bambini ha profonde analogie col gioco compositivo e interpretativo degli adulti, dando valore a tutte le variegate forme e ai molteplici linguaggi sonoro-musicali che si manifestano nelle diverse culture.
Una riconsiderazione sul senso e significato dell’educazione musicale fin dalla più tenera età è stata sollecitata in questi ultimi anni anche da alcune ricerche delle neuroscienze che hanno evidenziato i benefici che i giochi sonori e la fruizione-produzione musicale hanno per lo sviluppo complessivo fin dalla prima infanzia (si veda ad es. Tafuri, 2007; Cucchi, 2015; Proverbio, 2019). Recenti ricerche si sono focalizzate, poi, su aspetti specifici delle condotte musicali infantili, in particolare sulla modalità del “dialogo sonoro” (Vitali, 2018). Le pratiche educative rivolte a bambini e bambine già nei nidi d’infanzia hanno, quindi, sollecitato una profonda riflessione proprio su quali possano essere considerati i fondamenti di una educazione musicale che non deriva da una “disciplina musica” predeterminata o aprioristicamente definita da discipline musicologiche ma che scaturisce, si struttura, si modella in relazione a specifici contesti, nonché ai soggetti che interagiscono nei processi formativi e ai tempi e agli spazi in cui si opera.
L’attenzione degli studiosi si sposta dal come insegnare le prime nozioni della teoria musicale o da quali modalità di ascolto possono essere attivate ai fini della comprensione della musica, alle condotte e ai comportamenti che i soggetti mettono in atto nel rapporto con i suoni e le musiche. In pratica, il baricentro è spostato verso un’educazione musicale concepita innanzitutto come predisposizione delle condizioni migliori per un incontro-integrazione-sviluppo di vissuti e identità musicali, sia a livello personale che sociale e interculturale (Piatti 1994; Piatti 1995; Deriu, 2002).
5. Scuola/Società
Le problematiche attinenti alla disciplina “Musica” si accentuano nell’ambito delle scuole secondarie, sia di I che di II grado. Col crescere dell’età si modificano gusti e abitudini relativi all’ascolto e alla pratica della musica, che diventa sempre più una componente abituale della vita dei ragazzi e degli adolescenti. Si acuisce, quindi, il confronto tra ciò che quotidianamente i ragazzi vivono musicalmente fuori dalla scuola, da soli e nel gruppo dei pari, e ciò che invece gli insegnanti propongono nelle lezioni che, per quanto riguarda la scuola secondaria di I grado, si riducono a due ore scarse settimanali, spesso dedicate a stanche ripetizioni d’informazioni sui grandi autori del passato o su esercizi ritmico-melodici con percussioni e flauti dolci.
Alcune ricerche (Baroni & Nanni, 1989; Gasperoni, Marconi, & Santoro, 2004) hanno messo in luce il divario tra il vissuto scolastico e le pratiche extrascolastiche, evidenziando come la costruzione della propria identità s’intrecci inevitabilmente con le pratiche e le passioni musicali quotidiane che la scuola e gli insegnanti dovrebbero saper valorizzare, cercando di capire come avvenga il processo di formazione del sapere e quale sia lo scambio continuo tra soggetti e cultura- ambiente, con le conseguenti aspettative e motivazioni relative all’apprendere e al fare musica a scuola. Si tratta, in definitiva, di porre attenzione alla costruzione di senso che i ragazzi possono attribuire alle esperienze musicali scolastiche che dovrebbero dialogare e integrarsi con la costruzione di senso delle esperienze musicali extrascolastiche.
Tra le otto competenze-chiave indicate nella Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006[3] – riprese anche nella più recente Raccomandazione del 22 maggio 2018[4] – c’è anche “Consapevolezza ed espressione culturali” [che] riguardano «l’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive» (punto 8 dell’Allegato al documento). Sono messe qui in stretta relazione le pratiche creative con quelli che potremmo definire “saperi artistici”, quei saperi, cioè, che coniugano in modo stretto il fare con il pensare in funzione della comunicazione espressiva. Il termine comunemente usato è “competenza”, cioè la capacità di utilizzare le conoscenze e le abilità possedute per interagire nelle diverse relazioni sociali e nei vari contesti operativi.
L’acquisizione di conoscenze e abilità musicali non è, quindi, fine a se stessa ma dovrebbe mettere in grado i ragazzi e gli adolescenti di usare tali conoscenze e capacità in funzione di una comunicazione interpersonale e sociale, di un’espressività che abbia in sé anche elementi di creatività e d’innovazione culturale. Non si tratta solo di presentare e far conoscere ciò che tradizionalmente è considerato “capolavoro” e/o che rientra nel “canone” estetico fissato in genere da esperti accademici o anche dai “gusti” del pubblico abilmente manipolati dall’industria culturale. La funzione delle arti, e quindi anche della musica, è anche quella di contribuire a inserire elementi di provocazione, di disturbo, di spaesamento nell’establishment della cultura dominante. Occorre, quindi, sviluppare una maggiore prospettiva antropologica che permetta di dare valore a tutti i tratti della musicalità umana, così come si sono manifestati nel corso della storia (Spaccazocchi, 2011).
La scuola deve porre attenzione a ciò che si muove fuori dalla scuola, alle manifestazioni musicali di un mondo giovanile a volte inquieto e contradditorio, ma non per questo non degno di considerazione. I sound e i testi delle canzoni che su Youtube ricevono milioni di visualizzazioni degli adolescenti esprimono una ricerca e una voglia di futuro a cui spesso (quasi sempre?) la scuola (insegnanti, dirigenti, famiglie) non sa come rispondere, se mai pone attenzione e ricerca un dialogo e un confronto.
Queste annotazioni valgono, a mio avviso, in particolare per gli adolescenti e i giovani delle scuole secondarie superiori che, a differenza della letteratura e dell’arte visiva, sono privati della possibilità non solo di conoscere e apprezzare fatti, eventi, tradizioni, evoluzioni storiche delle culture musicali, ma anche di poter valorizzare le proprie passioni e aspirazioni di un fare musicale che ben s’integrerebbe nel curricolo formativo globale. Lo studio della musica è ormai relegato nei cosiddetti licei musicali e coreutici e quindi riservato a quei pochi che vivono nelle città sedi di tali licei[5].
Sul versante ordinamentale, recenti disposizioni in merito alla “promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività”[6] possono favorire l’elaborazione di progetti di rete anche nel campo della musica, in particolare nelle scuole secondarie, dove sarebbe possibile anche utilizzare il dispositivo dell’alternanza scuola-lavoro (rinominata “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”[7]) per un approccio a tutti i settori dei servizi culturali e dello spettacolo, o anche incentivare, come previsto dal “Piano delle arti” (di cui al DPCM del 30 dicembre 2017), «tirocini e stage artistici di studentesse e studenti all’estero e promozione internazionale di giovani talenti, attraverso progetti e scambi tra istituzioni formative artistiche italiane e straniere, con particolare riferimento ai licei musicali, coreutici e artistici»[8]. Tali progetti e iniziative dipendono, però, in larga parte dalle buone volontà e dalle capacità gestionali di singole istituzioni, se non di singoli insegnanti e spesso non vanno ad incidere, se non marginalmente, sul curricolo complessivo di tutti gli studenti.
Occorre anche dire che un elemento importante nello sviluppo della creatività musicale e delle attività formative nel settore dell’educazione musicale è rappresentato dallo sviluppo e dal diffondersi di tecnologie digitali, in particolare per attività di tipo compositivo. La conoscenza della notazione musicale tradizionale non è più un prerequisito per iniziare a comporre con i suoni. Si tratta quindi di elaborare e utilizzare una “grammatica della fantasia musicale” (Piatti & Strobino, 2011), intesa come introduzione all’arte di inventare musiche, in analogia alla rodariana Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie (Rodari, 1973).
6. Conclusione
Le prospettive per il rinnovamento della scuola non possono fare a meno di prendere in considerazione la formazione del personale docente, sia per quanto riguarda la formazione iniziale, sia per l’aggiornamento e la formazione in servizio.
Per quanto riguarda la formazione iniziale degli insegnanti occorre evidenziare come in questi ultimi anni si siano avvicendate soluzioni alterne, che hanno coinvolto anche lo specifico della formazione dei docenti di musica, fino all’incongruenza di delineare due percorsi differenziati per la stessa classe di concorso: uno gestito dalle università, l’altro dai conservatori di musica[9]. Le soluzioni in merito ai percorsi formativi sembrano a volte rispondere – anche al momento della stesura di questo scritto – più a criteri di sanatoria di situazioni pregresse che non a un quadro di sistema che concili la formazione pedagogica con la competenza disciplinare e la pratica didattica.
Anche per quanto riguarda la musica, sembra permanere l’opinione comune che un buon musicista sia di per sé un bravo insegnante, misconoscendo quanto da anni si va facendo ed elaborando per promuovere un buon curricolo formativo per i futuri docenti di discipline musicali nei vari ordini scolastici, in particolare nell’ambito delle Scuole di Didattica della musica dei conservatori[10]. Non vanno, poi, sottovalutate le interazioni tra istituzioni scolastiche e associazioni del terzo settore che in questi anni hanno svolto spesso un’opera sussidiaria anche con progetti di formazione dei docenti e con interventi innovativi sia di animazione musicale che in ambito musicoterapico (Piatti, 2012). Rimane comunque prioritario porre molta attenzione alla «rispondenza tra pratiche didattiche messe in atto dagli insegnanti e le pratiche vissute dai ragazzi e dalle ragazze nel loro quotidiano, pena uno scollamento che porta i ragazzi e le ragazze a dimenticare (se non a deprecare), perché insignificante, ciò che di musica hanno fatto a scuola, dichiarando in tal modo il fallimento non tanto dell’educazione musicale, ma semplicemente dell’educazione e della scuola» (Piatti, 2007, p. 40).
Nuove problematiche, se non nuovi orizzonti metodologici, sembrano presentarsi nel panorama della scuola con gli sconvolgimenti che la pandemia del COVID-19 esplosa nei mesi in cui questo scritto è stato elaborato. La “didattica a distanza”, o come la si voglia chiamare, rimette in discussione i paradigmi e le modalità della relazione educativa. Anche per quanto riguarda l’esperienza musicale si prospetta la necessità di un ripensamento in particolare delle pratiche d’insieme, essenziali per un’educazione musicale che non si riduca a conoscenze teoriche da ripetere stancamente alle prove d’esame.
Forse ancora di più si tratta di superare la frammentazione disciplinare e la centralità dei contenuti delle “materie” per valorizzare la dimensione di “comunità scolastica”, con una visione diversa della figura del docente. A questo proposito, ricorrendo nel 2020 il centenario della nascita di Gianni Rodari, per concludere possiamo prendere a prestito le sue parole (1973, p. 174):
Il maestro si trasforma in “animatore”. In un promotore di creatività. Non è più colui che trasmette un sapere bell’e confezionato, un boccone al giorno; un domatore di puledri; un ammaestratore di foche. È un adulto che sta con i ragazzi per esprimere il meglio di se stesso, per sviluppare anche in se stesso gli abiti della creazione, dell’immaginazione, dell’impegno costruttivo in una serie di attività che vanno ormai considerate alla pari: quelle di produzione pittorica, plastica, drammatica, musicale, affettiva, morale (valori, norme di convivenza), conoscitiva (scientifica, linguistica, sociologica) tecnico-costruttiva, ludica, “nessuna delle quali sia intesa come trattenimento o svago al confronto di altre ritenute più dignitose”. Nessuna gerarchia di materie. E, al fondo, una materia unica: la realtà, affrontata da tutti i punti di vista, a cominciare dalla realtà prima, la comunità scolastica, lo stare insieme, il modo di stare e lavorare insieme. In una scuola del genere il ragazzo non sta più come un “consumatore” di cultura e di valori, ma come un creatore e produttore, di valori e di cultura.
Riferimenti bibliografici
Anceschi, A. (2005). Quale musica per quale scuola: le ragioni di un convegno. Musica Domani, 136, 11-14.
Anceschi, A. (2006). La formazione degli insegnanti di musica. Il tirocinio tra prassi didattica e riflessione teorica. Napoli: Liguori.
Anceschi, A. (2008) (a cura di). Fare lezione con un libro. Musica Domani, 148, 39-48
Baroni, M. & Nanni, F. (1989). Crescere con il rock. L’educazione musicale nella società dei mass media. Bologna: Clueb.
Branchesi, L. (2003) (a cura di). Laboratori musicali nel sistema scolastico. Valutazione dell’innovazione. Roma: Armando.
Branchesi, L. (2006) (a cura di). Laboratori musicali. Continuità e qualità. Roma: Armando.
Consiglio dell’Unione europea (2016). Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01)&from=IT (consultazione 27/08/2020).
Cucchi, S. (2015). Il “sistema” cervello e l’apprendimento musicale del bambino. Brescia: Lilium Editions.
Decreto 3 giugno 1991, Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali (GU Serie Generale n.139 del 15-06-1991), https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1991/06/15/091A2596/sg (consultazione 27/08/2020).
Decreto del 10 settembre 2010, n. 249, Regolamento concernente: «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244». (11G0014), https://www.miur.it/Documenti/universita/Offerta_formativa/Formazione_iniziale_insegnanti_corsi_uni/DM_10_092010_n.249.pdf (consultazione 27/08/2020).
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Note
[1] In merito all’analisi dei libri di testo e alla loro evoluzione nel tempo si veda Deriu (1994), Si veda anche Anceschi (2006), e in Musica Domani, n. 148, settembre 2008, la rubrica “Confronti e dibattiti”, a cura di A. Anceschi, “Fare lezione con un libro?”, con interventi di R. Deriu, F. Ciccarelli, S. Chiesa.
[3] Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, 18 dicembre 2006, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32006H0962&from=IT (consultazione 31/08/2020).
[4] Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01) (consultazione 31/08/2020).
[5] Ad oggi sono attivi 40 licei musicali nelle regioni del nord, 28 al centro, 57 al sud, 18 nelle isole. Fonte: http://www.liceimusicalicoreutici.org/ (consultazione 28/04/2020).
[6] Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 60.
[7] Legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145).
[8] Decreto dipartimentale 30 settembre 2019, n. 1412, art. 3 comma 1.3.
[9] Decreto 10 settembre 2010, n. 249.
[10] Si vedano i vari dossier elaborati da DDM-GO (Docenti di Didattica della Musica – Gruppo Operativo): http://afamdidamus.altervista.org/ (consultazione 28/04/2020).