Il libro documenta un lavoro realizzato con tre classi di terza media l’anno precedente, in cui con un buon gruppo di colleghi e colleghe lavorammo per un anno intero su alcune delle Città Invisibili di Italo Calvino, in un’ottica interdisciplinare, percorso che vide anche una realizzazione in forma di spettacolo a fine anno scolastico[2]. Il libro uscì con un CD allegato, contenente una serie di canzoni composte da me, ispirate a sette città descritte da Calvino, e ad alcune altre musiche che costituivano l’ossatura musicale dello spettacolo realizzato con ragazzi e ragazze.
Proprio il riascolto di quel disco mi ha fatto cambiare idea rispetto alla telefonata di Mario. Normalmente non tengo molto a riproporre lavori fatti in passato, perché quasi sempre penso che oggi li rifarei in modo totalmente diverso, sia per esperienza che per possibilità tecnologiche, che non sono di poca importanza per chi produce musica a livello di piccolo artigianato casalingo. Ma riascoltando le mie canzoni, dopo molto tempo, mi ci sono piacevolmente ritrovato e ho pensato che forse oggi non saprei fare di meglio. Il che, naturalmente, non depone automaticamente a favore della qualità di quelle registrazioni, potrebbe essere soltanto dovuto al fatto che, nel frattempo, in quel campo non ho fatto grandi passi in avanti. Sta di fatto che ho ascoltato il disco con piacere, ritrovando nella memoria i suoni e i pensieri che guidarono quel lavoro. Ho ricordato e risentito nel mio modo dilettantesco di cantare l’influenza di Ivano Fossati, di cui in quegli anni ero attento e appassionato ascoltatore, tanto da invitarlo e accoglierlo a scuola in un’occasione che rimane felicemente impressa nella mia memoria. E poi Peter Gabriel, di cui cercavo umilmente di imitare un certo tipo di sound, spremendo fin dove ero capace la mia strumentazione MIDI, che in quegli anni utilizzavo senza remore: ne riconosco molti singoli timbri, sapendoli associare alle due macchine che allora utilizzavo, i cosiddetti Expander (il modulo Roland U220 e il mitico Proteus 2) che, ormai in disuso, ancora vedo dalla mia scrivania, accatastati insieme ad altri moduli acquistati successivamente sull’ultimo scaffale in alto di una libreria.
Allora sì, forse ha qualche senso riproporre quel libro, a partire dalle canzoni, che proposte con il vestito di allora, spetterà ad altri eventualmente rimodellare a proprio uso, partendo intanto dalla possibilità (che fa sempre piacere) che possano essere ricantate. Le avevo pensate allora come canzoni-cartolina, che in altra forma riuscissero a restituire le atmosfere narrative di Calvino: “tentativo umile e giocoso di farne pregustare i profumi, immaginare i paesaggi, di far venir voglia di andarci a passeggiare, di andarli ad esplorare” (p. 17)[3].
Anche risfogliando il libro ritrovo in nuce molte delle boe metodologiche che hanno continuato a guidare il mio lavoro negli anni seguenti: l’idea di interdisciplinarità, la passione per il lavoro con le parole, il riferimento alle musiche e alle arti del Novecento, l’invenzione come proposta che accompagna l’esecuzione nella pratica didattica. Insomma, tappe di un viaggio che è continuato per molto tempo, precisamente per altri venticinque anni, sempre cercando le città possibili dentro ai paesaggi istituzionali della Scuola Pubblica, cercando di scavalcarne strettoie, parcheggi, ingorghi, cercando di creare radure di bellezza, di scambio e di benessere, mio e dei ragazzi e ragazze che ho incontrato. Di questo, tra l’altro, parla la presentazione del libro, che con gratitudine devo a Ersilia Zamponi, che fino ad allora non conoscevo personalmente ma solo letterariamente[4]. Anche lei non ho poi più avuto occasione di incontrare ma conservo il ricordo della visita a casa sua, a Omegna, accolto in un pomeriggio d’estate come quello in cui sto scrivendo.
Allora ok Mario, facciamolo, ma mi resta il pensiero e la voglia di attualizzare in qualche modo la proposta. E allora riprendo in mano il libro di Calvino e anche il mio, e provo a sfogliarne qualche pagina. E se le canzoni di allora le avevo pensate come “cartoline” ora potrei inseguire la prospettiva che ha guidato le mie ricerche negli ultimi anni, lavorando sul paesaggio sonoro, inseguendo l’idea di cartoline sonore di altro tipo, diverse dalle canzoni, oppure, più semplicemente, potrei accompagnarne la rilettura con alcuni appunti che ricollegano quelle pagine al sentire di oggi. Allora ognuna delle puntate con cui scandiremo la ripubblicazione del libro avrà una piccola appendice, una cartolina scritta oggi ripensando a quel viaggio, fatto tanti anni fa.
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Città Possibili 7
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Note
[1] La cittadina toscana ha celebrato nel 2023 il centenario della nascita di Italo Calvino, con un centinaio di iniziative di grande interesse. Calvino riposa nel cimitero di Castiglione. (https://www.radiotoscana.it/%F0%9F%8E%A7100-anni-100-eventi-castiglione-della-pescaia-in-festa-per-calvino/)
[2] Purtroppo, non posseggo documentazioni audio/video di quello spettacolo; forse qualche VHS accatastata da qualche parte ne custodisce qualche traccia ma non è realisticamente recuperabile.
[3] L’idea di cartolina, costituita da due parti, /immagine/parole, o anche indirizzo/testo) aveva allora costituito il riferimento formale: tutte le canzoni sono, infatti, in forma di sfrofa/ritornello (A/B), ma senza far ricorso ad alcun Ponte (o middle eight, o special), che di solito è previsto in questo modello.
[4] Di Ersilia Zamponi mi ero nutrito allora tramite i suoi due libri più conosciuti: I draghi logopei. Imparare l’italiano con i giochi di parole, Torino, Einaudi, 1982, e Calicanto. La poesia in gioco, Torino, Einaudi, 1988.