Musicheria. La rivista digitale di educazione al suono e alla musica

Formarsi… a bottega

Antonio Contarino

Diario di bordo di un’esperienza estiva

Già nel primo Rinascimento, esisteva una grande quantità di botteghe o maestranze in cui i maestri d’arte istruivano al mestiere i propri allievi, facendo apprendere loro tutte le tecniche e le pratiche utili per il loro lavoro. Molteplici, infatti, sono le testimonianze di queste botteghe che tra il XIV e il XV secolo fiorivano soprattutto nelle grandi città come Firenze e Roma. Basti pensare che lo stesso Giotto fu preso a bottega dal maestro Cimabue, così come tanti altri esempi nel corso della storia possono essere citati.

Anch’io, aspirante al ruolo di docente, posso affermare di esser andato a bottega da uno degli esperti del mestiere, tra i più operativi nel nostro campo. Per una settimana, insieme a Gaetano Termini – mio collega durante il percorso di studi – abbiamo avuto la grande opportunità di poter osservare il lavoro di Paolo Scatena nell’ambito del secondo campo estivo musicale organizzato dall’Istituto Musicale “Bonaventura Somma” a Chianciano Terme (SI), con circa quaranta partecipanti tra bambini e ragazzi.

Se è vero che per apprendere un mestiere bisogna operare direttamente sul campo, è anche vero che un’osservazione accurata del lavoro condotto da un maestro esperto, può essere anch’essa efficace. Per l’appunto nel momento in cui sei tu stesso ad operare e a metterti in gioco, qualcosa può sottrarsi alle tue osservazioni, mentre quando si osserva dall’esterno un esperto all’opera, quasi nulla sfugge alla tua attenzione. Per questo motivo ho deciso di redigere un mio personale diario di bordo su quest’esperienza che voglio condividere affinché possa avere per altri la stessa utilità e la stessa valenza formativa che ha avuto per me. Prendendo spunto dalle mie esperienze formative, posso affermare che l’uso di questa pratica è un utilissimo mezzo per poter tracciare memoria e tenere in mente tutto ciò che si osserva o che si mette in atto per poi poterlo rivedere, valutare, considerare per trarne spunto affinché si possano migliorare le proprie azioni didattiche e gli eventuali futuri interventi educativi.

L’articolo che segue è il frutto, come già scritto, delle mie osservazioni all’interno del campo musicale organizzato da Paolo[1], il cui scopo è stato quello di pensare a una pratica musicale d’insieme basata principalmente sull’ascolto attivo e sull’improvvisazione musicale. Per raggiungere tale scopo, tra le diverse attività proposte, si è dedicato molto tempo alla pratica della schiera [2] e a due passeggiate sonore [3] (una nel centro storico di Chianciano e una nella riserva naturalistica di Pietraporciana).  Dopo la narrazione delle diverse giornate di questo campo musicale, in fondo all’articolo, riporto alcune mie considerazioni sull’esperienza condotta, frutto della rilettura del mio diario che, mio malgrado, inizia dalla narrazione della seconda giornata, in quanto il primo giorno, per motivi legati al viaggio, non sono arrivato in tempo per partecipare.

In allegato (riservato agli abbonati – fare login per visualizzarlo) il video della performance finale del campo estivo.

Note

[1] Formatore in ambito didattico-musicale, direttore di banda, compositore: https://www.musicheria.net/formatore/paolo-scatena/

[2] Il metodo, sviluppato dall’Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona, di cui in particolare si occupa Gabriele Vacis, si fonda sull’esercizio della consapevolezza e dell’attenzione e soprattutto sul respiro comune (che prende appunto il nome di schiera). Gabriele Vacis ha sviluppato questa pratica come una sorta di pedagogia teatrale basata sulla costruzione della propria presenza fisica e mentale, su un modo consapevole di occupare lo spazio, su un’attenzione alle relazioni e al proprio corpo che si mette in ascolto dell’ambiente circostante e a disposizione degli altri per creare azioni sceniche comuni. In una sua intervista, Vacis sostiene che: «È tutta una questione di ascolto. […]. Gli attori si accostano l’uno all’altro formando una schiera. Quindi camminano per un numero indicato di passi variabile a seconda delle dimensioni del luogo in cui si lavora, per esempio otto passi. All’ottavo passo ci si volta e si continua a camminare per otto passi nella direzione opposta, quindi ancora in direzione opposta e così via. L’obiettivo è trovare un’unità di presenza tra le persone che camminano, escludendo ogni affettazione, ogni movimento non strettamente necessario a camminare naturalmente. Questo esercizio è il punto di partenza e il punto di arrivo di un allenamento che vuole formare un attore consapevole, autore della propria presenza in scena. Tutto questo non ha niente a che fare con i personaggi, la psicologia, la messinscena, e nello stesso tempo può essere una tecnica utile per ogni idea di teatro. Ma prima di tutto la Schiera è energia, è tempo, è ritmo e ascolto, gioia, fiducia, amore […]. A forza di camminare avanti e indietro cercando di ascoltare gli altri e di comprendere lo spazio, piano piano si sviluppano azioni.
Possono essere danze, canti o vere e proprie scene. C’è un momento in cui tutto sembra accadere da solo. (Scuola per attori a Gerusalemme. Lettera, in «Teatro e Storia», 30, 2009, pp. 214-15).». Cfr. https://www.listituto.it/diario/educare-alla-relazione-gabriele-vacis-e-le-pratiche-teatrali-la-cura-della-persona

[3] E. Strobino, M. Vitali, «Passeggiate centrate su un ascolto multisensoriale, ma in cui l’udito gioca la parte più importante, attento e in movimento, attraversando un luogo, percorrendolo, ancora una volta, abitandolo. La passeggiata sonora è una escursione in cui i partecipanti sono invitati ad un ascolto attento e consapevole, esprimendo eventualmente valutazioni critiche sulla qualità di singoli suoni e ambienti.» in Il paesaggio sonoro come teatro educativo. Ecologia – Etica – Estetica, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2023, p. 126

 

Secondo giorno

Ore 9.00 Ci si riunisce nel cortile della scuola e si sale in aula. Prima di iniziare le attività Paolo presenta me e Gaetano agli allievi e dice loro il motivo per cui siamo venuti. Subito dopo si delineano le tappe di questa giornata e si scende in cortile per iniziare le attività. La prima parte della mattinata viene dedicata alla pratica della schiera. Inizia la traccia musicale e gli allievi iniziano a muoversi nello spazio. Paolo, invita anche noi a partecipare, in modo tale che possiamo far esperienza di questa nuova pratica. Nel contempo, guida gli allievi solo inizialmente, poi sta in silenzio e li osserva dall’esterno. Durante l’intera durata dell’attività gli allievi sono invitati a concentrarsi sull’ascolto della musica e, al tempo stesso, devono tener conto dei movimenti dei compagni, per provare a muoversi tutti nello stesso istante. Prima la schiera si svolge semplicemente cambiando direzione, in un secondo momento gli allievi formano due file di schiera. Queste due file resteranno invariate per tutta la restante parte dell’attività, ma puntualmente alcuni allievi verranno invitati ad uscire e altri ad inserirsi al loro interno. È in questo momento che i ragazzi devono prestare più attenzione, in quanto nel momento in cui gli altri compagni devono entrare a far parte della fila, bisogna far loro spazio, senza però cambiare posizione e senza fermare l’andamento della schiera. Dopo questo primo momento iniziale, si sale di nuovo nelle aule. Prima di essere divisi nei diversi laboratori per continuare lo studio del brano iniziato il giorno prima, si fa un breve brainstorming su quanto accaduto. Paolo fa notare i punti di forza, ma anche qualche punto di debolezza che ancora persiste nella pratica della schiera. Ad ogni modo, Paolo tiene conto anche delle sensazioni e delle considerazioni degli allievi.

Ore 10.30 Dopo questo momento di confronto, ci si divide nelle aule e si procede con la pratica strumentale. Le aule vengono divise in base all’organico strumentale: si ha quindi l’aula degli archi, della ‘bandina’, della ‘bandina’ di secondo livello e delle percussioni. [1] La ‘bandina’ si cimenta nello studio di pochi incipit ritmico-melodici e inizia anche a suonare e ad attenzionare le note della scala pentatonica di Do. La cosa che mi colpisce è che i bambini suonano da pochi giorni (alcuni hanno preso lo strumento solo il giorno prima) e già vengono messi da Paolo nelle condizioni di poter suonare ‘ad orecchio’. Le altre sezioni continuano anche loro il proprio studio guidati dal maestro Tommaso e dai tutor. Prima del pranzo ci si incontra tutti nell’aula adibita alla musica di insieme e si iniziano a mettere insieme le parti dei primi due brani. In questo momento entra in gioco l’ingegno di Paolo e la sua comprovata esperienza nella direzione di gruppi musicali: infatti, presta attenzione alla struttura melodica del brano ma nello stesso tempo si concentra anche su quella ritmica; cerca di mettere tutto insieme nel minor tempo possibile, senza perder troppo tempo sulla ‘spiegazione’ del brano e cercando di raggiungere il miglior suono possibile. Chiunque fosse entrato in aula in questo momento avrebbe visto bambini e ragazzi far musica, senza l’impiego di troppe parole. Inizia anche a farsi strada il raggiungimento dell’obiettivo finale prefissatosi all’inizio del corso: tutti iniziano ad ascoltarsi e a rispettare lo spazio – sia fisico che musicale – di chi gli sta accanto, seppur ancora con qualche difficoltà. Dopo le prime esecuzioni, Paolo presenta il brano su cui ha pensato di poter far suonare e improvvisare gli allievi, utilizzando anche una sola nota della pentatonica, rifacendosi alla proposta metodologica di Giacometti nel suo Musica d’insieme anche senza leggio. [2] Il brano appunto gravita intorno alla nota Do: per l’appunto è uno dei Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola) di Giacinto Scelsi. [3] Si capisce come, dal punto di vista didattico, l’uso della pentatonica su un brano impiantato principalmente su una nota sola, azzera assolutamente ogni tipo di errore.

Ore 12.15 Si conclude la prima parte di giornata e si va a mensa. Mentre si attende il pranzo, Paolo inizia già a trarre le prime considerazioni su questi due giorni passati, confrontandosi anche con me e Gaetano. Intanto inizia anche a ipotizzare il modo in cui condurrà la prima passeggiata sonora al centro storico che vorrà essere anche una sorta di attività propedeutica alla passeggiata sonora che domani faremo a Pietraporciana. Si pranza tutti insieme e ognuno di noi occupa un posto in un tavolo diverso.

Ore 13.30 Durante la pausa, mentre i bambini giocano e i ragazzi stanno insieme tra loro, Paolo ci guida al centro storico e inizia a fare un sopralluogo per capire in quali aeree ci si può fermare, considerando anche il caldo delle ore pomeridiane.

Ore 14.15 Si ritorna a scuola, si radunano tutti e inizia la passeggiata sonora. Visto che nel centro storico iniziano di già a riprendere il loro transito alcune macchine, si decide di fermarsi solo una volta (rispetto alle tre ipotizzate in precedenza) e poi si va dritti nella sala prove della banda musicale cittadina, diretta da Paolo. Per l’appunto, qui si mette a raccontare ai ragazzi come quello sia un luogo importante per la banda, dicendo loro che è proprio lì dove nascono tutte le esecuzioni. Questo suscita nei bambini e nei ragazzi grande curiosità, ma anche quel tono scherzoso tipico della loro età. Tanti di loro sorridono all’idea di occupare il posto degli adulti della banda musicale, chiamandoli per nome o addirittura con il proprio soprannome, il che non mi ha stupito più di tanto: in fondo in una realtà come quella di Chianciano, simile a quella del mio paese, si conoscono quasi tutti. Chissà magari qualcuno dei ragazzi pensa o spera che un giorno quel posto sarà suo! Ad ogni modo, dopo questo breve racconto e questo momento di gioco, Paolo invita i ragazzi a stare in silenzio per qualche istante e poi dice loro che quando qualcuno avesse pensato di trovare il momento giusto avrebbero potuto iniziare a imitare dei versi di animali. In realtà non era stata ben definita quest’attività, ma durante la passeggiata in centro, uno dei bambini ha iniziato a fare il verso delle tortore (o colombe che siano) e questo ha fatto sì che a Paolo venisse quest’idea. E così inizia un breve – ma davvero molto breve – istante di silenzio e poi iniziano i primi versi. L’attività inizia ad andare per le lunghe, però Paolo non interrompe i ragazzi, prova a far trovare da loro il momento giusto per concludere. Tra l’altro, l’unica cosa che era stata prefissata prima di iniziare questo momento di improvvisazione, era il verso finale che uno di loro avrebbe dovuto fare per chiudere, sul silenzio degli altri. Questo momento tarda ad arrivare, ma Paolo continua a non interrompere l’attività. Infine, dopo anche qualche occhiataccia di alcune ragazze più grandi rivolte ai loro coetanei, arriva il tanto atteso silenzio e il verso finale.

Ore 15.45 Tornati a scuola, Paolo esprime le proprie considerazioni sull’attività svolta nella sala prove e in generale sulla giornata. Si apre un breve dialogo con gli allievi e poi, finita la giornata lavorativa, tutti tornano a casa.

Terzo giorno

Ore 8.30 Come d’appuntamento ci incontriamo di nuovo tutti nel cortile della scuola elementare. In attesa dello scuolabus che ci porta a Pietraporciana, [4] ci mettiamo d’accordo sullo svolgimento della giornata.

Ore 9.15 Arrivati a Pietraporciana, ci riuniamo tutti e prima di iniziare la passeggiata sonora, come da programma Paolo raduna tutti gli allievi, delinea le tre tappe della giornata e gli obiettivi di queste attività. Fatto qualche passo, ci fermiamo davanti al centro visite, per un motivo particolare e importante: questo è un luogo della memoria, in ricordo della resistenza dei partigiani che in questa zona hanno combattuto l’occupazione tedesca. Paolo racconta la storia di questo luogo. Mi colpisce il fatto che Paolo tiene conto delle parole che usa, considerando che tanti partecipanti sono bambini di scuola primaria, ma nello stesso tempo non filtra troppo il racconto. Anzi chiama proprio tre bambine a leggere una targa commemorativa che, ognuna con la propria classe, ha scritto e affisso in questo luogo lo scorso 25 aprile.

Finito questo momento iniziale – che a mio parere è stato molto significativo – si riprende il cammino e incomincia la passeggiata sonora. Così come il giorno precedente, quest’attività vuole essere un lavoro che favorisce l’ascolto reciproco e l’attenzione per i suoni che ci circondano. Abbiamo iniziato l’attività con il ripulirci le orecchie da tutti i suoni sentiti fino a quel momento, per essere quanto più disponibili e attenti ad accoglierne di nuovi. Ci siamo fermati una prima volta in un ampio spazio, circondati da rocce e alberi, dove Paolo ci ha invitato ad ascoltare i suoni con un imbuto poggiato alle nostre orecchie. Ognuno degli allievi ha usato l’imbuto come meglio ha creduto, provando anche diversi modi per posizionarlo sulle orecchie: c’è stato chi ha coperto l’orecchio con la parte più larga dell’imbuto, chi invece ha usato il canale più stretto per sentire meglio. Dopo questo momento di silenzio Paolo ha chiesto agli allievi di raccontare ciò che hanno sentito, chiedendo, a chi l’ha fatto, se avesse notato delle differenze di suono quando ha cambiato la posizione dell’imbuto.

Finito questo momento di confronto, abbiamo ripreso il cammino e Paolo ci ha invitato a continuare il silenzio e a fare la schiera anche durante la salita. In parte ci siamo riusciti. Ci siamo fermati una seconda volta e stavolta, invece che stare seduti, ci siamo schierati uno accanto all’altro, appoggiati ad una staccionata che affacciava sulla parte sottostante del bosco. Stavolta Paolo ci ha invitato, rifacendosi agli esercizi di Schafer [5], ad ascoltare i suoni che ci circondavano, prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi, concentrandosi più sui suoni lontani. È in questa seconda tappa che è stato raggiunto un importante obiettivo: mantenere assolutamente il silenzio e concentrarsi solo sui suoni della natura. È stato talmente bello poter fare esperienza di questo silenzio, formato da quaranta respiri, che ho voluto fotografare il segnale del registratore di Paolo che appunto era a zero.

Dopo il confronto sui suoni ascoltati, abbiamo ripreso la salita e Paolo mi ha confessato la sua soddisfazione nell’esser riuscito a far stare in silenzio per almeno tre minuti tutti i suoi allievi. Infine siamo arrivati in cima, abbiamo ripulito le orecchie e i ragazzi hanno fatto merenda tutti insieme.

Ore 12.30 Dopo esser tornati all’inizio del percorso, mentre abbiamo aspettato l’autobus che ci avrebbe riportati a scuola, i più piccoli hanno giocato fra gli alberi, i ragazzi hanno discusso fra loro, qualcuno si è concesso un po’ di riposo. Credo che al di là del valore didattico e formativo, esperienze di questo tipo siano significati anche per riscoprire il proprio territorio che va custodito, valorizzato e rispettato con tutto il valore storico, artistico, naturale che esso può comprendere. Ritornati a scuola abbiamo pranzato tutti insieme.

Ore 14.30 Nel pomeriggio si riprende il laboratorio musicale, ci si concentra su tutti i brani che Paolo ha già pensato di eseguire per il momento finale e le modalità di studio sono le stesse delle giornate precedenti. In un primo momento ci si divide nelle diverse aule di studio per rivedere le diverse parti. La ‘bandina’ di primo livello si dedica ancora allo studio della pentatonica e per un po’ di tempo Paolo è andato a suonare con la ‘bandina’ di secondo livello, lasciando la guida della classe a Gaetano. Finiti gli studi per sezione, ci si rivede nell’aula di musica d’insieme. Novità aggiunta è il brano Jazz swing dalla raccolta Pentatonica Jolly di Sestino Macaro [6]: durante Paolo propone dei piccoli frame ritmico-melodici, quasi in un call and response [7], invitando tutti gli allievi a riprodurli, ad orecchio, mentre a qualcuno di loro chiede anche di fare un breve momento di improvvisazione col proprio strumento. Devo dire che il risultato finale, già alla prima prova, è stato davvero soddisfacente e piacevole da ascoltare, ma anche, volendo trarre il suo valore metodologico, possiamo affermare con certezza che è una pratica efficace per portare gli allievi a una certa sicurezza e padronanza col proprio strumento, aiutandoli a far sviluppare in loro quell’ascolto attivo di cui tanto si parla e che Paolo si è prefissato come obiettivo del campo.

Ore 16.00 Finito il laboratorio, finisce la giornata di lavoro. Paolo si confida nuovamente con noi dicendo che è contento di questo nuovo giorno e inizia a ipotizzare il lavoro per l’esecuzione finale: inizia a pensare al modo per inserire la pratica della schiera e delle strappate nella pratica strumentale.

Quarto giorno

Ore 9.00 Come al solito ci si vede nel cortile antistante la scuola e inizia la quarta giornata del campo. Si inizia a lavorare subito con la schiera. Stavolta Paolo fa provare diverse possibilità di posizioni nello spazio: i ragazzi in un primo momento si muovono liberamente, poi formano le file, infine si dividono in gruppi e, sempre formando delle file, si muovono da parti diverse verso il centro. Già da subito Paolo affida più responsabilità ai tutor invitandoli ad occuparsi di guidare il resto del gruppo. Nonostante si abbia provato più volte la schiera, ancora oggi, durante le prove si aggiungono sempre idee nuove ai fini dell’esecuzione. Dopo la schiera si prova a subito a fare lo stormo [8] che viene guidato da una ragazza, scelta fra i tutor, a cui viene affidato il compito di variare i movimenti durante tutta la durata dell’esecuzione. Paolo da fuori osserva, ma appena nota che si stava rischiando di diventare un po’ monotoni, si aggiunge per un breve momento nello stormo, dà una nuova idea ed esce fuori dal campo, tornando al posto di prima. Dopo la pratica dello stormo si provano le strappate. Per le strappate Paolo divide gli allievi in diversi gruppi. Questi si muovono a ritmo nello spazio ma stavolta ognuno porta con sé il proprio strumento. La strappata quindi, in questo caso, consiste nel suonare lo strumento, mentre ci si muove e tutti nello stesso istante. Dopo questa prova si decide che per lo spettacolo finale le strappate verranno eseguite da tre gruppi divisi fra loro seguendo l’organico degli strumenti: si avranno quindi il gruppo degli archi, il gruppo dei legni e quello degli ottoni.

Ore 10.45 Dopo questo momento in cortile si ritorna nelle aule e si continua a lavorare provando a mettere in pratica gli aspetti tecnici della schiera, sfruttandoli nella pratica musicale. Per l’appunto, Paolo invita i ragazzi a fare un’improvvisazione – come i due giorni precedenti – sul secondo pezzo dei Quattro pezzi per orchestra di Scelsi[9]. Così come la giornata precedente, Paolo si rifà alle possibili attività di improvvisazione proposte da Giacometti riguardo questo pezzo: «porre attenzione alle ondate sonore» e «inserirsi per contrasto nella texture orchestrale». [10] I ragazzi, infatti, forti delle esperienze dei giorni precedenti, sono riusciti a sviluppare un’improvvisazione collettiva, riuscendo a costruire un vero e proprio dialogo sonoro fra loro, mentre tenevano conto anche del brano che, in qualche modo, ‘dettava’ le regole dell’esecuzione.

Ore 12.45 Finito questo momento, si pranza tutti insieme. Dopo il pranzo Paolo concede un po’ di tempo ai ragazzi per riposarsi.

Ore 14.30 Terminata la pausa si ritorna nell’aula per il laboratorio d’insieme e si curano e perfezionano i brani studiati anche nei giorni precedenti, inserendo stavolta alcuni episodi di improvvisazione solistica affidati ai tutor nel Jazz Swing della Pentatonica Jolly. [11] Prima di concludere la giornata, insieme con tutti gli allievi, si scendono le sedie e gli strumenti al primo piano così da averli pronti per l’indomani.

Ore 16.00 Scese le sedie e gli strumenti, finisce quest’altra giornata e si torna a casa.

Quinto giorno

Ore 8.15 Inizia la quinta e ultima giornata. Prima di arrivare a scuola, Paolo ci raccomanda che questo era il giorno in cui bisognava forzare la mano e organizzare le esecuzioni finali, senza però far stancare troppo i ragazzi. Lo scopo non doveva essere tanto quello della buona riuscita dello spettacolo, quanto di riuscire a far suonare insieme tutti gli allievi. Per questo motivo avremmo dovuto farli lavorare sui brani finali, senza più essere divisi in classi di studio differenti, così come è accaduto per il giorno precedente.

Ore 9.00 Arrivati a scuola e radunati tutti i ragazzi, ogni allievo prende il proprio strumento e lo porta in cortile; io, Gaetano e il maestro di Violoncello che ha curato per tutta la settimana il gruppo degli archi, Tommaso Bruschi, portiamo le sedie per ognuno dall’aula percussioni al cortile; i tutor montano le batterie. Paolo da una mano a tutti ma nel frattempo inizia a posizionare le sedie, stende un tappeto in più di prato sintetico per permettere ai ragazzi di spostarsi più liberamente e sfruttare quanto più spazio possibile. Inizia quella che solitamente si chiamerebbe prima prova generale, ma in realtà si è lavorato come gli altri giorni. Ci siamo confrontati, sono state fatte alcune osservazioni in corso d’opera per migliorare le esecuzioni, Paolo e il maestro Tommaso si son messi d’accordo su alcuni accorgimenti che hanno fatto per raggiungere un’esecuzione ottimale dei brani. Non è stato necessario provare più volte le stesse cose e soprattutto con Paolo si è deciso di provare il meno possibile le parti in cui fosse più consistente la parte improvvisativa, in modo da non smorzare quella tensione creativa che solitamente si presenta poi nelle esecuzioni finali.

Ore 12.15 Si finisce un po’ prima di lavorare perché Paolo decide di lasciare liberi i ragazzi e farli riposare per il pomeriggio. Come al solito, arrivato il pranzo, si sta a tavola tutti insieme.

Ore 14.30 Dopo un po’ di pausa, si sale tutti in aula e si fa il resoconto di queste giornate. Paolo condivide le sue sensazioni e le sue considerazioni con gli allievi. Si reputa soddisfatto e precisa ai ragazzi che lo scopo del campo non era solo quello di farli suonare ma soprattutto di farli stare insieme. Dopo queste considerazioni si dividono le maglie da usare per il concerto.

Ore 16.00 I ragazzi ritornano a casa, per poi tornare per lo spettacolo finale, tenendo orgogliosamente in mano quella maglia come fosse un premio. Nel frattempo io, Gaetano, Paolo e Tommaso, insieme ai ragazzi più grandi, prepariamo tutto quello che serve per lo spettacolo finale: dalle casse alle sedie, dagli strumenti alle fettuccine per delineare il luogo dove i genitori si sarebbero messi per poter assistere.

Ore 17.00 I ragazzi ritornano a scuola, ognuno con la maglia del proprio colore. Paolo raduna tutti, presenta i ragazzi, esplicita alcune sue considerazioni e le finalità del campo anche ai genitori e inizia lo spettacolo. I ragazzi e i bambini mettono in atto tutto ciò che hanno appreso: sono tutti concentrati – più del solito – ma sicuri di ciò che devono fare e si legge nei loro volti la voglia di farlo vedere a tutti. Nonostante durante lo spettacolo si staccano le casse e l’audio, Paolo non perde la compostezza e cerca di risolvere tempestivamente il problema, mentre i ragazzi non perdono la loro concentrazione. Ad ogni modo, lo spettacolo finisce per il verso giusto, i genitori sono soddisfatti e i ragazzi contenti del loro lavoro. Finito lo spettacolo si passa un po’ di tempo insieme ai genitori e agli allievi. Andati via tutti, diamo un aiuto a Paolo a riordinare tutto e si torna a casa stanchi ma soddisfatti del lavoro fatto (e osservato!)

Le mie considerazioni

In conclusione a questo mio resoconto su questo campo estivo musicale vissuto Chianciano Terme, mi sento in dovere di inserire alcune mie considerazioni, pieno di ammirazione e gratitudine nei confronti di Paolo e del suo lavoro. Le prime considerazioni che mi vengono in mente riguardano l’approccio educativo e relazionale di Paolo nei confronti di questi ragazzi. Per tutta la durata del campo ha rivestito il ruolo di amico, collaboratore e maestro. Non ha semplicemente imposto dall’esterno le attività da svolgere, ma si è continuamente messo in discussione cercando di tener conto anche delle idee di ognuno e – perché no – anche di certi imprevisti o fuori programma che si sono presentati (vedi l’attività sul verso degli animali, di cui parlo nel paragrafo dedicato al secondo giorno). Infatti, quando Paolo ci ha riuniti qualche settimana prima dell’inizio del campo, non ci ha delineato un’idea progettuale definita nei minimi dettagli e assolutamente irreversibile, bensì ha specificato che quelle erano solo alcune idee che aveva avuto per quest’esperienza e che tutto sarebbe potuto cambiare. Anche durante il campo, si sono vissuti i momenti della progettazione come parte stessa dell’attività, dalla quale si potevano trarre sempre nuovi stimoli. È vero sì, che ogni esperienza ha ruotato attorno alla pratica della schiera, alle passeggiate sonore e al brano di O’ Reilly e Williams, Galactic Episode, [12] che Paolo aveva deciso di far studiare prima dell’inizio del campo, ma è anche vero che tutte le altre esperienze tenevano conto anche – e direi soprattutto – degli interessi e dell’esigenza dei ragazzi. A tal proposito, mi vengono in mente le parole della Tafuri, che riguardo alla relazione educativa afferma, per l’appunto che: «attraverso lo scambio di esperienze, l’evoluzione del gruppo influisce maggiormente sull’evoluzione dell’insegnante, così che si determina una evoluzione congiunta verso l’obiettivo comune. […] l’insegnante attento alla relazione, suscitatore di dialogo, sa anche ricevere e imparare dai propri alunni, la cui esperienza, al di là dei tratti comuni, ha sempre qualcosa di unico e irripetibile». [13]

Un altro aspetto che mi ha colpito dell’operatività di Paolo è il modo in cui gestisce e risolve i problemi all’interno del gruppo: fatta eccezione, infatti, dei casi in cui è servito il suo intervento diretto, ha sempre occupato un posto accanto ai ragazzi, senza mai invadere i loro spazi; ha preferito piuttosto che fossero loro stessi ad accorgersi dei punti di debolezza, affinché trovassero da loro il modo per migliorarli.
Inoltre ho potuto constatare come la pratica dell’improvvisazione musicale è una pratica che all’interno di questi contesti d’apprendimento risulta più che efficace, soprattutto perché permette agli allievi di muoversi in contesti ‘sicuri’, dove l’errore è quasi nullo – se non del tutto – e dove possono dare ampio spazio alla loro creatività musicale. Un altro risvolto positivo di questa pratica è l’attenzione che ognuno dà a ciò che accade intorno a sé, nel momento stesso in cui sta operando: questo vale sia per l’insegnante, quanto per l’allievo che viene invitato a improvvisare. Si capisce da sé che in una società che tende sempre più all’individualismo, quest’attenzione al mondo circostante va perseguito e se lo si fa attraverso la pratica musicale, credo diventi un obiettivo ancora più significativo da raggiungere.  La pratica dell’improvvisazione musicale, favorisce anche il piacere di far didattica – in particolare, di far didattica musicale – in quanto ci si stacca dalla ripetibilità degli eventi, evitando il rischio di incorrere nella monotonia. Ci dice Strobino, infatti, che «si sceglie di improvvisare per il piacere di farlo: un’improvvisazione intenzionale e deliberata, frutto di una scelta consapevole, fatta con lo scopo di inseguire il piacere della sorpresa, dell’inatteso, dell’imprevisto, attivando prassi in cui si cerca un confronto creativo con la contingenza». [14]

Infine, riporto la mia ultima considerazione su questo campo. È stato per me importante e di forte impatto poter osservare come Paolo si relaziona coi suoi allievi, abbattendo le barriere che tante volte si creano – forse anche inconsciamente – tra insegnanti e studenti. Confrontarsi in questo modo con i propri allievi, favorisce, in qualche modo, anche le relazioni tra loro stessi, in quanto è l’insegnante che dà il buon esempio. Il fatto stesso del pranzo consumato tutti insieme, quando Paolo, io, Gaetano e Tommaso, ci mettevamo a tavola coi ragazzi, solo dopo avergli portato il pasto, è stato di grande aiuto per creare e rafforzare le relazioni. A tavola, oltre che mangiare, si parlava, si discuteva, ci si confrontava. Mi preme sottolineare, inoltre, come bambini e ragazzi, uguali a tanti altri, per cinque giorni consecutivi, dalle 9.00 alle 16.00, sono riusciti a passare del tempo insieme e a far musica tra loro, senza ricorrere, neanche per un attimo, all’uso di cellulari e social, senza che nessuno glielo avesse vietato. Forse attività di questo tipo, se riescono a portare questi evidenti risultati, dovrebbero entrare a far parte in modo più consistente delle proposte didattiche nelle nostre scuole.

Quindi cosa mi resta di quest’esperienza? Sicuramente avrò tanto da considerare e sfruttare, dal punto di vista didattico e metodologico, per la costruzione della mia pratica e della mia identità didattica, rifacendomi alle proposte e agli esempi di cui Paolo mi ha voluto far dono. Inoltre, ricorderò con piacere tutti i momenti passati insieme. Porterò con me il carattere dolce e fermo allo stesso tempo di Anna, che a Pietraporciana ha chiesto di salire sulle spalle di Paolo e poi di Matteo, perché stanca di camminare; ricorderò la fame – quasi insaziabile – di Andrea; l’ansia e il perfezionismo di Francesco per il suo assolo, che alla fine ha stupito tutti; la delicatezza di Sofia nel collaborare con Paolo; le biglie di Francesco; la simpatia di tutti i ragazzi che ci hanno fatto passare momenti incredibili; ma soprattutto la grande professionalità e la passione che Paolo mette nel suo lavoro, nonché la sua grande disponibilità.

 

Bibliografia

  1. Strobino E., Il suono, l’istante, l’avventura. Educazione musicale e improvvisazione, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2022, p. 126.
  2. Strobino E., Vitali M., Il paesaggio sonoro come teatro educativo. Ecologia – Etica – Estetica, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2023.
  3. Tafuri J., L’educazione musicale. Teorie, metodi, pratiche, EDT, Torino, 1996.

 

Sitografia.

  1. Scelsi, Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola), II, 1959 in Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=T8ArNg_fZ4I
  2. https://www.listituto.it/diario/educare-alla-relazione-gabriele-vacis-e-le-pratiche-teatrali-la-cura-della-persona
  3. https://www.pietraporciana.com/chisiamo

 

Note

[1] La sezione degli archi è stata guidata dal M° Tommaso Bruschi; la ‘bandina’ è formata dagli allievi che per la prima volta si approcciano alla pratica strumentale; la ‘bandina’ di secondo livello formata dai ragazzi che hanno già partecipato al campo l’anno precedente o che hanno già avuto esperienze con la pratica strumentale; la sezione delle percussioni. A questi si aggiungono i tutor che sono i ragazzi che suonano già da qualche tempo nella banda cittadina.

[2] Cfr. A. Giacometti, Musica d’insieme anche senza leggio, Volontè & Co, Milano, 2017, pp. 24-25

[3] G. Scelsi, Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola), II, 1959  https://www.youtube.com/watch?v=T8ArNg_fZ4I

[4] Pietraporciana ospita una riserva naturale che occupa un ampio territorio e presenta, al suo interno, una grande varietà di animali, soprattutto insetti, che si possono vedere e sentire (che nel nostro caso è stato ciò che più ci ha interessato). Cfr. https://www.pietraporciana.com/chisiamo

[5] Cfr. Schafer M. R..,1998, Educazione al suono 100 esercizi per ascoltare e produrre il suono, Casa Ricordi, Milano

[6] S. Macaro, Pentatonica Jolly, in S. Macaro, G. Piazza, Pentajazz. Diversi usi delle pentafonie per un approccio didattico al jazz immediato e creativo, Collana Didattica OSI, 2005, p. 20

[7] E. Strobino, «si tratta di un modello ospitale: la prima voce è quella di chi propone, la seconda è di chi viene ospitao, invitato a partecipare al gioco. Musicalmente ciò può accadere quando la prima voce fa una proposta piuttosto breve, ritmica e/o melodica, seguita da un tempo vuoto che, appunto, può essere riempito da chi risponde, ad eco o con una risposta personale» in Il suono, l’istante, l’avventura. Educazione musicale e improvvisazione, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2022, p. 126

[8] Un altro esempio della pratica della schiera. Il gruppo segue una sola persona, imitandone i movimenti, spostandosi come se fosse un unico flusso (imitando, per l’appunto, gli stormi degli uccelli)

[9] G. Scelsi, op. cit.

[10] A. Giacometti, op. cit., pp. 24-25

[11] S. Macaro, op. cit.

[12] J. O’Reilly, M. Williams, Galactic Episode in Accent on Achievement, Alfred Publishing, USA, 1997, p. 23

[13] J. Tafuri, L’educazione musicale. Teorie, metodi, pratiche, EDT, Torino, 1996, p. 17

[14] E. Strobino, op. cit., p. 23

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo giorno

Ore 9.00 Ci si riunisce nel cortile della scuola e si sale in aula. Prima di iniziare le attività Paolo presenta me e Gaetano agli allievi e dice loro il motivo per cui siamo venuti. Subito dopo si delineano le tappe di questa giornata e si scende in cortile per iniziare le attività. La prima parte della mattinata viene dedicata alla pratica della schiera. Inizia la traccia musicale e gli allievi iniziano a muoversi nello spazio. Paolo, invita anche noi a partecipare, in modo tale che possiamo far esperienza di questa nuova pratica. Nel contempo, guida gli allievi solo inizialmente, poi sta in silenzio e li osserva dall’esterno. Durante l’intera durata dell’attività gli allievi sono invitati a concentrarsi sull’ascolto della musica e, al tempo stesso, devono tener conto dei movimenti dei compagni, per provare a muoversi tutti nello stesso istante. Prima la schiera si svolge semplicemente cambiando direzione, in un secondo momento gli allievi formano due file di schiera. Queste due file resteranno invariate per tutta la restante parte dell’attività, ma puntualmente alcuni allievi verranno invitati ad uscire e altri ad inserirsi al loro interno. È in questo momento che i ragazzi devono prestare più attenzione, in quanto nel momento in cui gli altri compagni devono entrare a far parte della fila, bisogna far loro spazio, senza però cambiare posizione e senza fermare l’andamento della schiera. Dopo questo primo momento iniziale, si sale di nuovo nelle aule. Prima di essere divisi nei diversi laboratori per continuare lo studio del brano iniziato il giorno prima, si fa un breve brainstorming su quanto accaduto. Paolo fa notare i punti di forza, ma anche qualche punto di debolezza che ancora persiste nella pratica della schiera. Ad ogni modo, Paolo tiene conto anche delle sensazioni e delle considerazioni degli allievi.

Ore 10.30 Dopo questo momento di confronto, ci si divide nelle aule e si procede con la pratica strumentale. Le aule vengono divise in base all’organico strumentale: si ha quindi l’aula degli archi, della ‘bandina’, della ‘bandina’ di secondo livello e delle percussioni. [1] La ‘bandina’ si cimenta nello studio di pochi incipit ritmico-melodici e inizia anche a suonare e ad attenzionare le note della scala pentatonica di Do. La cosa che mi colpisce è che i bambini suonano da pochi giorni (alcuni hanno preso lo strumento solo il giorno prima) e già vengono messi da Paolo nelle condizioni di poter suonare ‘ad orecchio’. Le altre sezioni continuano anche loro il proprio studio guidati dal maestro Tommaso e dai tutor. Prima del pranzo ci si incontra tutti nell’aula adibita alla musica di insieme e si iniziano a mettere insieme le parti dei primi due brani. In questo momento entra in gioco l’ingegno di Paolo e la sua comprovata esperienza nella direzione di gruppi musicali: infatti, presta attenzione alla struttura melodica del brano ma nello stesso tempo si concentra anche su quella ritmica; cerca di mettere tutto insieme nel minor tempo possibile, senza perder troppo tempo sulla ‘spiegazione’ del brano e cercando di raggiungere il miglior suono possibile. Chiunque fosse entrato in aula in questo momento avrebbe visto bambini e ragazzi far musica, senza l’impiego di troppe parole. Inizia anche a farsi strada il raggiungimento dell’obiettivo finale prefissatosi all’inizio del corso: tutti iniziano ad ascoltarsi e a rispettare lo spazio – sia fisico che musicale – di chi gli sta accanto, seppur ancora con qualche difficoltà. Dopo le prime esecuzioni, Paolo presenta il brano su cui ha pensato di poter far suonare e improvvisare gli allievi, utilizzando anche una sola nota della pentatonica, rifacendosi alla proposta metodologica di Giacometti nel suo Musica d’insieme anche senza leggio. [2] Il brano appunto gravita intorno alla nota Do: per l’appunto è uno dei Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola) di Giacinto Scelsi. [3] Si capisce come, dal punto di vista didattico, l’uso della pentatonica su un brano impiantato principalmente su una nota sola, azzera assolutamente ogni tipo di errore.

Ore 12.15 Si conclude la prima parte di giornata e si va a mensa. Mentre si attende il pranzo, Paolo inizia già a trarre le prime considerazioni su questi due giorni passati, confrontandosi anche con me e Gaetano. Intanto inizia anche a ipotizzare il modo in cui condurrà la prima passeggiata sonora al centro storico che vorrà essere anche una sorta di attività propedeutica alla passeggiata sonora che domani faremo a Pietraporciana. Si pranza tutti insieme e ognuno di noi occupa un posto in un tavolo diverso.

Ore 13.30 Durante la pausa, mentre i bambini giocano e i ragazzi stanno insieme tra loro, Paolo ci guida al centro storico e inizia a fare un sopralluogo per capire in quali aeree ci si può fermare, considerando anche il caldo delle ore pomeridiane.

Ore 14.15 Si ritorna a scuola, si radunano tutti e inizia la passeggiata sonora. Visto che nel centro storico iniziano di già a riprendere il loro transito alcune macchine, si decide di fermarsi solo una volta (rispetto alle tre ipotizzate in precedenza) e poi si va dritti nella sala prove della banda musicale cittadina, diretta da Paolo. Per l’appunto, qui si mette a raccontare ai ragazzi come quello sia un luogo importante per la banda, dicendo loro che è proprio lì dove nascono tutte le esecuzioni. Questo suscita nei bambini e nei ragazzi grande curiosità, ma anche quel tono scherzoso tipico della loro età. Tanti di loro sorridono all’idea di occupare il posto degli adulti della banda musicale, chiamandoli per nome o addirittura con il proprio soprannome, il che non mi ha stupito più di tanto: in fondo in una realtà come quella di Chianciano, simile a quella del mio paese, si conoscono quasi tutti. Chissà magari qualcuno dei ragazzi pensa o spera che un giorno quel posto sarà suo! Ad ogni modo, dopo questo breve racconto e questo momento di gioco, Paolo invita i ragazzi a stare in silenzio per qualche istante e poi dice loro che quando qualcuno avesse pensato di trovare il momento giusto avrebbero potuto iniziare a imitare dei versi di animali. In realtà non era stata ben definita quest’attività, ma durante la passeggiata in centro, uno dei bambini ha iniziato a fare il verso delle tortore (o colombe che siano) e questo ha fatto sì che a Paolo venisse quest’idea. E così inizia un breve – ma davvero molto breve – istante di silenzio e poi iniziano i primi versi. L’attività inizia ad andare per le lunghe, però Paolo non interrompe i ragazzi, prova a far trovare da loro il momento giusto per concludere. Tra l’altro, l’unica cosa che era stata prefissata prima di iniziare questo momento di improvvisazione, era il verso finale che uno di loro avrebbe dovuto fare per chiudere, sul silenzio degli altri. Questo momento tarda ad arrivare, ma Paolo continua a non interrompere l’attività. Infine, dopo anche qualche occhiataccia di alcune ragazze più grandi rivolte ai loro coetanei, arriva il tanto atteso silenzio e il verso finale.

Ore 15.45 Tornati a scuola, Paolo esprime le proprie considerazioni sull’attività svolta nella sala prove e in generale sulla giornata. Si apre un breve dialogo con gli allievi e poi, finita la giornata lavorativa, tutti tornano a casa.

Terzo giorno

Ore 8.30 Come d’appuntamento ci incontriamo di nuovo tutti nel cortile della scuola elementare. In attesa dello scuolabus che ci porta a Pietraporciana, [4] ci mettiamo d’accordo sullo svolgimento della giornata.

Ore 9.15 Arrivati a Pietraporciana, ci riuniamo tutti e prima di iniziare la passeggiata sonora, come da programma Paolo raduna tutti gli allievi, delinea le tre tappe della giornata e gli obiettivi di queste attività. Fatto qualche passo, ci fermiamo davanti al centro visite, per un motivo particolare e importante: questo è un luogo della memoria, in ricordo della resistenza dei partigiani che in questa zona hanno combattuto l’occupazione tedesca. Paolo racconta la storia di questo luogo. Mi colpisce il fatto che Paolo tiene conto delle parole che usa, considerando che tanti partecipanti sono bambini di scuola primaria, ma nello stesso tempo non filtra troppo il racconto. Anzi chiama proprio tre bambine a leggere una targa commemorativa che, ognuna con la propria classe, ha scritto e affisso in questo luogo lo scorso 25 aprile.

Finito questo momento iniziale – che a mio parere è stato molto significativo – si riprende il cammino e incomincia la passeggiata sonora. Così come il giorno precedente, quest’attività vuole essere un lavoro che favorisce l’ascolto reciproco e l’attenzione per i suoni che ci circondano. Abbiamo iniziato l’attività con il ripulirci le orecchie da tutti i suoni sentiti fino a quel momento, per essere quanto più disponibili e attenti ad accoglierne di nuovi. Ci siamo fermati una prima volta in un ampio spazio, circondati da rocce e alberi, dove Paolo ci ha invitato ad ascoltare i suoni con un imbuto poggiato alle nostre orecchie. Ognuno degli allievi ha usato l’imbuto come meglio ha creduto, provando anche diversi modi per posizionarlo sulle orecchie: c’è stato chi ha coperto l’orecchio con la parte più larga dell’imbuto, chi invece ha usato il canale più stretto per sentire meglio. Dopo questo momento di silenzio Paolo ha chiesto agli allievi di raccontare ciò che hanno sentito, chiedendo, a chi l’ha fatto, se avesse notato delle differenze di suono quando ha cambiato la posizione dell’imbuto.

Finito questo momento di confronto, abbiamo ripreso il cammino e Paolo ci ha invitato a continuare il silenzio e a fare la schiera anche durante la salita. In parte ci siamo riusciti. Ci siamo fermati una seconda volta e stavolta, invece che stare seduti, ci siamo schierati uno accanto all’altro, appoggiati ad una staccionata che affacciava sulla parte sottostante del bosco. Stavolta Paolo ci ha invitato, rifacendosi agli esercizi di Schafer [5], ad ascoltare i suoni che ci circondavano, prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi, concentrandosi più sui suoni lontani. È in questa seconda tappa che è stato raggiunto un importante obiettivo: mantenere assolutamente il silenzio e concentrarsi solo sui suoni della natura. È stato talmente bello poter fare esperienza di questo silenzio, formato da quaranta respiri, che ho voluto fotografare il segnale del registratore di Paolo che appunto era a zero.

Dopo il confronto sui suoni ascoltati, abbiamo ripreso la salita e Paolo mi ha confessato la sua soddisfazione nell’esser riuscito a far stare in silenzio per almeno tre minuti tutti i suoi allievi. Infine siamo arrivati in cima, abbiamo ripulito le orecchie e i ragazzi hanno fatto merenda tutti insieme.

Ore 12.30 Dopo esser tornati all’inizio del percorso, mentre abbiamo aspettato l’autobus che ci avrebbe riportati a scuola, i più piccoli hanno giocato fra gli alberi, i ragazzi hanno discusso fra loro, qualcuno si è concesso un po’ di riposo. Credo che al di là del valore didattico e formativo, esperienze di questo tipo siano significati anche per riscoprire il proprio territorio che va custodito, valorizzato e rispettato con tutto il valore storico, artistico, naturale che esso può comprendere. Ritornati a scuola abbiamo pranzato tutti insieme.

Ore 14.30 Nel pomeriggio si riprende il laboratorio musicale, ci si concentra su tutti i brani che Paolo ha già pensato di eseguire per il momento finale e le modalità di studio sono le stesse delle giornate precedenti. In un primo momento ci si divide nelle diverse aule di studio per rivedere le diverse parti. La ‘bandina’ di primo livello si dedica ancora allo studio della pentatonica e per un po’ di tempo Paolo è andato a suonare con la ‘bandina’ di secondo livello, lasciando la guida della classe a Gaetano. Finiti gli studi per sezione, ci si rivede nell’aula di musica d’insieme. Novità aggiunta è il brano Jazz swing dalla raccolta Pentatonica Jolly di Sestino Macaro [6]: durante Paolo propone dei piccoli frame ritmico-melodici, quasi in un call and response [7], invitando tutti gli allievi a riprodurli, ad orecchio, mentre a qualcuno di loro chiede anche di fare un breve momento di improvvisazione col proprio strumento. Devo dire che il risultato finale, già alla prima prova, è stato davvero soddisfacente e piacevole da ascoltare, ma anche, volendo trarre il suo valore metodologico, possiamo affermare con certezza che è una pratica efficace per portare gli allievi a una certa sicurezza e padronanza col proprio strumento, aiutandoli a far sviluppare in loro quell’ascolto attivo di cui tanto si parla e che Paolo si è prefissato come obiettivo del campo.

Ore 16.00 Finito il laboratorio, finisce la giornata di lavoro. Paolo si confida nuovamente con noi dicendo che è contento di questo nuovo giorno e inizia a ipotizzare il lavoro per l’esecuzione finale: inizia a pensare al modo per inserire la pratica della schiera e delle strappate nella pratica strumentale.

Quarto giorno

Ore 9.00 Come al solito ci si vede nel cortile antistante la scuola e inizia la quarta giornata del campo. Si inizia a lavorare subito con la schiera. Stavolta Paolo fa provare diverse possibilità di posizioni nello spazio: i ragazzi in un primo momento si muovono liberamente, poi formano le file, infine si dividono in gruppi e, sempre formando delle file, si muovono da parti diverse verso il centro. Già da subito Paolo affida più responsabilità ai tutor invitandoli ad occuparsi di guidare il resto del gruppo. Nonostante si abbia provato più volte la schiera, ancora oggi, durante le prove si aggiungono sempre idee nuove ai fini dell’esecuzione. Dopo la schiera si prova a subito a fare lo stormo [8] che viene guidato da una ragazza, scelta fra i tutor, a cui viene affidato il compito di variare i movimenti durante tutta la durata dell’esecuzione. Paolo da fuori osserva, ma appena nota che si stava rischiando di diventare un po’ monotoni, si aggiunge per un breve momento nello stormo, dà una nuova idea ed esce fuori dal campo, tornando al posto di prima. Dopo la pratica dello stormo si provano le strappate. Per le strappate Paolo divide gli allievi in diversi gruppi. Questi si muovono a ritmo nello spazio ma stavolta ognuno porta con sé il proprio strumento. La strappata quindi, in questo caso, consiste nel suonare lo strumento, mentre ci si muove e tutti nello stesso istante. Dopo questa prova si decide che per lo spettacolo finale le strappate verranno eseguite da tre gruppi divisi fra loro seguendo l’organico degli strumenti: si avranno quindi il gruppo degli archi, il gruppo dei legni e quello degli ottoni.

Ore 10.45 Dopo questo momento in cortile si ritorna nelle aule e si continua a lavorare provando a mettere in pratica gli aspetti tecnici della schiera, sfruttandoli nella pratica musicale. Per l’appunto, Paolo invita i ragazzi a fare un’improvvisazione – come i due giorni precedenti – sul secondo pezzo dei Quattro pezzi per orchestra di Scelsi[9]. Così come la giornata precedente, Paolo si rifà alle possibili attività di improvvisazione proposte da Giacometti riguardo questo pezzo: «porre attenzione alle ondate sonore» e «inserirsi per contrasto nella texture orchestrale». [10] I ragazzi, infatti, forti delle esperienze dei giorni precedenti, sono riusciti a sviluppare un’improvvisazione collettiva, riuscendo a costruire un vero e proprio dialogo sonoro fra loro, mentre tenevano conto anche del brano che, in qualche modo, ‘dettava’ le regole dell’esecuzione.

Ore 12.45 Finito questo momento, si pranza tutti insieme. Dopo il pranzo Paolo concede un po’ di tempo ai ragazzi per riposarsi.

Ore 14.30 Terminata la pausa si ritorna nell’aula per il laboratorio d’insieme e si curano e perfezionano i brani studiati anche nei giorni precedenti, inserendo stavolta alcuni episodi di improvvisazione solistica affidati ai tutor nel Jazz Swing della Pentatonica Jolly. [11] Prima di concludere la giornata, insieme con tutti gli allievi, si scendono le sedie e gli strumenti al primo piano così da averli pronti per l’indomani.

Ore 16.00 Scese le sedie e gli strumenti, finisce quest’altra giornata e si torna a casa.

Quinto giorno

Ore 8.15 Inizia la quinta e ultima giornata. Prima di arrivare a scuola, Paolo ci raccomanda che questo era il giorno in cui bisognava forzare la mano e organizzare le esecuzioni finali, senza però far stancare troppo i ragazzi. Lo scopo non doveva essere tanto quello della buona riuscita dello spettacolo, quanto di riuscire a far suonare insieme tutti gli allievi. Per questo motivo avremmo dovuto farli lavorare sui brani finali, senza più essere divisi in classi di studio differenti, così come è accaduto per il giorno precedente.

Ore 9.00 Arrivati a scuola e radunati tutti i ragazzi, ogni allievo prende il proprio strumento e lo porta in cortile; io, Gaetano e il maestro di Violoncello che ha curato per tutta la settimana il gruppo degli archi, Tommaso Bruschi, portiamo le sedie per ognuno dall’aula percussioni al cortile; i tutor montano le batterie. Paolo da una mano a tutti ma nel frattempo inizia a posizionare le sedie, stende un tappeto in più di prato sintetico per permettere ai ragazzi di spostarsi più liberamente e sfruttare quanto più spazio possibile. Inizia quella che solitamente si chiamerebbe prima prova generale, ma in realtà si è lavorato come gli altri giorni. Ci siamo confrontati, sono state fatte alcune osservazioni in corso d’opera per migliorare le esecuzioni, Paolo e il maestro Tommaso si son messi d’accordo su alcuni accorgimenti che hanno fatto per raggiungere un’esecuzione ottimale dei brani. Non è stato necessario provare più volte le stesse cose e soprattutto con Paolo si è deciso di provare il meno possibile le parti in cui fosse più consistente la parte improvvisativa, in modo da non smorzare quella tensione creativa che solitamente si presenta poi nelle esecuzioni finali.

Ore 12.15 Si finisce un po’ prima di lavorare perché Paolo decide di lasciare liberi i ragazzi e farli riposare per il pomeriggio. Come al solito, arrivato il pranzo, si sta a tavola tutti insieme.

Ore 14.30 Dopo un po’ di pausa, si sale tutti in aula e si fa il resoconto di queste giornate. Paolo condivide le sue sensazioni e le sue considerazioni con gli allievi. Si reputa soddisfatto e precisa ai ragazzi che lo scopo del campo non era solo quello di farli suonare ma soprattutto di farli stare insieme. Dopo queste considerazioni si dividono le maglie da usare per il concerto.

Ore 16.00 I ragazzi ritornano a casa, per poi tornare per lo spettacolo finale, tenendo orgogliosamente in mano quella maglia come fosse un premio. Nel frattempo io, Gaetano, Paolo e Tommaso, insieme ai ragazzi più grandi, prepariamo tutto quello che serve per lo spettacolo finale: dalle casse alle sedie, dagli strumenti alle fettuccine per delineare il luogo dove i genitori si sarebbero messi per poter assistere.

Ore 17.00 I ragazzi ritornano a scuola, ognuno con la maglia del proprio colore. Paolo raduna tutti, presenta i ragazzi, esplicita alcune sue considerazioni e le finalità del campo anche ai genitori e inizia lo spettacolo. I ragazzi e i bambini mettono in atto tutto ciò che hanno appreso: sono tutti concentrati – più del solito – ma sicuri di ciò che devono fare e si legge nei loro volti la voglia di farlo vedere a tutti. Nonostante durante lo spettacolo si staccano le casse e l’audio, Paolo non perde la compostezza e cerca di risolvere tempestivamente il problema, mentre i ragazzi non perdono la loro concentrazione. Ad ogni modo, lo spettacolo finisce per il verso giusto, i genitori sono soddisfatti e i ragazzi contenti del loro lavoro. Finito lo spettacolo si passa un po’ di tempo insieme ai genitori e agli allievi. Andati via tutti, diamo un aiuto a Paolo a riordinare tutto e si torna a casa stanchi ma soddisfatti del lavoro fatto (e osservato!)

Le mie considerazioni

In conclusione a questo mio resoconto su questo campo estivo musicale vissuto Chianciano Terme, mi sento in dovere di inserire alcune mie considerazioni, pieno di ammirazione e gratitudine nei confronti di Paolo e del suo lavoro. Le prime considerazioni che mi vengono in mente riguardano l’approccio educativo e relazionale di Paolo nei confronti di questi ragazzi. Per tutta la durata del campo ha rivestito il ruolo di amico, collaboratore e maestro. Non ha semplicemente imposto dall’esterno le attività da svolgere, ma si è continuamente messo in discussione cercando di tener conto anche delle idee di ognuno e – perché no – anche di certi imprevisti o fuori programma che si sono presentati (vedi l’attività sul verso degli animali, di cui parlo nel paragrafo dedicato al secondo giorno). Infatti, quando Paolo ci ha riuniti qualche settimana prima dell’inizio del campo, non ci ha delineato un’idea progettuale definita nei minimi dettagli e assolutamente irreversibile, bensì ha specificato che quelle erano solo alcune idee che aveva avuto per quest’esperienza e che tutto sarebbe potuto cambiare. Anche durante il campo, si sono vissuti i momenti della progettazione come parte stessa dell’attività, dalla quale si potevano trarre sempre nuovi stimoli. È vero sì, che ogni esperienza ha ruotato attorno alla pratica della schiera, alle passeggiate sonore e al brano di O’ Reilly e Williams, Galactic Episode, [12] che Paolo aveva deciso di far studiare prima dell’inizio del campo, ma è anche vero che tutte le altre esperienze tenevano conto anche – e direi soprattutto – degli interessi e dell’esigenza dei ragazzi. A tal proposito, mi vengono in mente le parole della Tafuri, che riguardo alla relazione educativa afferma, per l’appunto che: «attraverso lo scambio di esperienze, l’evoluzione del gruppo influisce maggiormente sull’evoluzione dell’insegnante, così che si determina una evoluzione congiunta verso l’obiettivo comune. […] l’insegnante attento alla relazione, suscitatore di dialogo, sa anche ricevere e imparare dai propri alunni, la cui esperienza, al di là dei tratti comuni, ha sempre qualcosa di unico e irripetibile». [13]

Un altro aspetto che mi ha colpito dell’operatività di Paolo è il modo in cui gestisce e risolve i problemi all’interno del gruppo: fatta eccezione, infatti, dei casi in cui è servito il suo intervento diretto, ha sempre occupato un posto accanto ai ragazzi, senza mai invadere i loro spazi; ha preferito piuttosto che fossero loro stessi ad accorgersi dei punti di debolezza, affinché trovassero da loro il modo per migliorarli.
Inoltre ho potuto constatare come la pratica dell’improvvisazione musicale è una pratica che all’interno di questi contesti d’apprendimento risulta più che efficace, soprattutto perché permette agli allievi di muoversi in contesti ‘sicuri’, dove l’errore è quasi nullo – se non del tutto – e dove possono dare ampio spazio alla loro creatività musicale. Un altro risvolto positivo di questa pratica è l’attenzione che ognuno dà a ciò che accade intorno a sé, nel momento stesso in cui sta operando: questo vale sia per l’insegnante, quanto per l’allievo che viene invitato a improvvisare. Si capisce da sé che in una società che tende sempre più all’individualismo, quest’attenzione al mondo circostante va perseguito e se lo si fa attraverso la pratica musicale, credo diventi un obiettivo ancora più significativo da raggiungere.  La pratica dell’improvvisazione musicale, favorisce anche il piacere di far didattica – in particolare, di far didattica musicale – in quanto ci si stacca dalla ripetibilità degli eventi, evitando il rischio di incorrere nella monotonia. Ci dice Strobino, infatti, che «si sceglie di improvvisare per il piacere di farlo: un’improvvisazione intenzionale e deliberata, frutto di una scelta consapevole, fatta con lo scopo di inseguire il piacere della sorpresa, dell’inatteso, dell’imprevisto, attivando prassi in cui si cerca un confronto creativo con la contingenza». [14]

Infine, riporto la mia ultima considerazione su questo campo. È stato per me importante e di forte impatto poter osservare come Paolo si relaziona coi suoi allievi, abbattendo le barriere che tante volte si creano – forse anche inconsciamente – tra insegnanti e studenti. Confrontarsi in questo modo con i propri allievi, favorisce, in qualche modo, anche le relazioni tra loro stessi, in quanto è l’insegnante che dà il buon esempio. Il fatto stesso del pranzo consumato tutti insieme, quando Paolo, io, Gaetano e Tommaso, ci mettevamo a tavola coi ragazzi, solo dopo avergli portato il pasto, è stato di grande aiuto per creare e rafforzare le relazioni. A tavola, oltre che mangiare, si parlava, si discuteva, ci si confrontava. Mi preme sottolineare, inoltre, come bambini e ragazzi, uguali a tanti altri, per cinque giorni consecutivi, dalle 9.00 alle 16.00, sono riusciti a passare del tempo insieme e a far musica tra loro, senza ricorrere, neanche per un attimo, all’uso di cellulari e social, senza che nessuno glielo avesse vietato. Forse attività di questo tipo, se riescono a portare questi evidenti risultati, dovrebbero entrare a far parte in modo più consistente delle proposte didattiche nelle nostre scuole.

Quindi cosa mi resta di quest’esperienza? Sicuramente avrò tanto da considerare e sfruttare, dal punto di vista didattico e metodologico, per la costruzione della mia pratica e della mia identità didattica, rifacendomi alle proposte e agli esempi di cui Paolo mi ha voluto far dono. Inoltre, ricorderò con piacere tutti i momenti passati insieme. Porterò con me il carattere dolce e fermo allo stesso tempo di Anna, che a Pietraporciana ha chiesto di salire sulle spalle di Paolo e poi di Matteo, perché stanca di camminare; ricorderò la fame – quasi insaziabile – di Andrea; l’ansia e il perfezionismo di Francesco per il suo assolo, che alla fine ha stupito tutti; la delicatezza di Sofia nel collaborare con Paolo; le biglie di Francesco; la simpatia di tutti i ragazzi che ci hanno fatto passare momenti incredibili; ma soprattutto la grande professionalità e la passione che Paolo mette nel suo lavoro, nonché la sua grande disponibilità.

 

Bibliografia

  1. Strobino E., Il suono, l’istante, l’avventura. Educazione musicale e improvvisazione, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2022, p. 126.
  2. Strobino E., Vitali M., Il paesaggio sonoro come teatro educativo. Ecologia – Etica – Estetica, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2023.
  3. Tafuri J., L’educazione musicale. Teorie, metodi, pratiche, EDT, Torino, 1996.

 

Sitografia.

  1. Scelsi, Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola), II, 1959 in Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=T8ArNg_fZ4I
  2. https://www.listituto.it/diario/educare-alla-relazione-gabriele-vacis-e-le-pratiche-teatrali-la-cura-della-persona
  3. https://www.pietraporciana.com/chisiamo

 

Note

[1] La sezione degli archi è stata guidata dal M° Tommaso Bruschi; la ‘bandina’ è formata dagli allievi che per la prima volta si approcciano alla pratica strumentale; la ‘bandina’ di secondo livello formata dai ragazzi che hanno già partecipato al campo l’anno precedente o che hanno già avuto esperienze con la pratica strumentale; la sezione delle percussioni. A questi si aggiungono i tutor che sono i ragazzi che suonano già da qualche tempo nella banda cittadina.

[2] Cfr. A. Giacometti, Musica d’insieme anche senza leggio, Volontè & Co, Milano, 2017, pp. 24-25

[3] G. Scelsi, Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola), II, 1959  https://www.youtube.com/watch?v=T8ArNg_fZ4I

[4] Pietraporciana ospita una riserva naturale che occupa un ampio territorio e presenta, al suo interno, una grande varietà di animali, soprattutto insetti, che si possono vedere e sentire (che nel nostro caso è stato ciò che più ci ha interessato). Cfr. https://www.pietraporciana.com/chisiamo

[5] Cfr. Schafer M. R..,1998, Educazione al suono 100 esercizi per ascoltare e produrre il suono, Casa Ricordi, Milano

[6] S. Macaro, Pentatonica Jolly, in S. Macaro, G. Piazza, Pentajazz. Diversi usi delle pentafonie per un approccio didattico al jazz immediato e creativo, Collana Didattica OSI, 2005, p. 20

[7] E. Strobino, «si tratta di un modello ospitale: la prima voce è quella di chi propone, la seconda è di chi viene ospitao, invitato a partecipare al gioco. Musicalmente ciò può accadere quando la prima voce fa una proposta piuttosto breve, ritmica e/o melodica, seguita da un tempo vuoto che, appunto, può essere riempito da chi risponde, ad eco o con una risposta personale» in Il suono, l’istante, l’avventura. Educazione musicale e improvvisazione, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro (PU), 2022, p. 126

[8] Un altro esempio della pratica della schiera. Il gruppo segue una sola persona, imitandone i movimenti, spostandosi come se fosse un unico flusso (imitando, per l’appunto, gli stormi degli uccelli)

[9] G. Scelsi, op. cit.

[10] A. Giacometti, op. cit., pp. 24-25

[11] S. Macaro, op. cit.

[12] J. O’Reilly, M. Williams, Galactic Episode in Accent on Achievement, Alfred Publishing, USA, 1997, p. 23

[13] J. Tafuri, L’educazione musicale. Teorie, metodi, pratiche, EDT, Torino, 1996, p. 17

[14] E. Strobino, op. cit., p. 23

 

 

 

 

 

 

 

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